Una guerra come quella in Ucraina, ma non solo, “distrugge la fraternità, impoverisce, sfregia la creazione”, è “esperienza energivora per eccellenza”. E in mezzo a questo spreco ingiustificabile sono i poveri e le popolazioni inermi, i primi a subire le conseguenze della guerra. Anche per loro, e per le generazioni future, non si può fermare il processo di transizione ecologica, avviato con l’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, e dall’appello alla conversione all’ecologia integrale di Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, ormai quasi otto anni fa. Anche perché, secondo l’ultimo rapporto Ipcc delle Nazioni Unite, siamo in una situazione di cambiamento climatico grave, che si può correggere solo agendo subito. Guerra e crisi ecologica, insomma, si alimentano a vicenda, ma un lungimirante agire per la casa comune “può essere sinergico ad una positiva azione per la pace”.
Questi i temi al centro del 19ª Seminario nazionale sulla custodia del creato “Costruire pace nella transizione ecologica”, organizzato il 14 aprile, presso la sede di Confcooperative a Roma, dagli Uffici nazionali Cei per i problemi sociali e il lavoro e per l’ecumenismo e dialogo interreligioso. Con la collaborazione della Fondazione Ente dello Spettacolo e del Tavolo del Creato, che unisce i due Uffici Cei.

Dopo la lettura del Cantico delle Creature da parte dell’attrice Margherita Mazzucco, don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro, nella sua introduzione, ha ricordato come il conflitto in Ucraina “ha causato inquinamento del suolo, dell’aria e dell’acqua”. Zuppi: c’è un enorme bisogno di ascoltare la voce del Creato.

Don Bignami: chi pagherà i danni della guerra in Ucraina?
Oltre ad aver dilaniato città, la guerra “ha messo in ginocchio l’attività agricola e quella portuale, tra loro strettamente connesse per trasportare il grano in ogni parte del mondo. Si segnalano infiltrazioni di detriti militari nel terreno: sono soprattutto munizioni ed esplosivi a base di metalli pesanti a infestare strade e campagne”. È stato colpito il 20% di tutte le aree protette dell’Ucraina: “coinvolti 812 siti naturali che coprono un’area di quasi un milione di ettari. Altrettanto deformante è la distruzione di terreni agricoli, con il versamento di materiale inquinante dalle aziende chimiche bombardate e con rifiuti provenienti dalle demolizioni delle infrastrutture elettriche”.
Una pessima qualità ambientale che ha conseguenze sulla salute pubblica. “Chi pagherà questi danni? Siamo in grado di accertare le responsabilità e di fermare chi causa disastri ambientali?”.
La transizione ecologica chiede vera conversione ecologica. Ben venga il lavoro degli “artigiani di pace” ha concluso, perché “non si può rimanere prigionieri di un materialismo che misura tutto in termini economici e non investe sulle relazioni”. E ha ricordato che questo seminario di studio “si inserisce nel Cammino sinodale della Chiesa italiana”, che è in una fase di ulteriore ascolto “attraverso i Cantieri di Betania”. Il secondo Cantiere, “quello dell’ospitalità e della Casa, riguarda la qualità delle relazioni comunitarie. Le strutture rimandano alla partecipazione responsabile della comunità alla cura della casa comune”. Il grande tema della transizione ecologica “può avere una qualche chance solo nella misura in cui si innesta in una conversione all’ecologia integrale”, come chiesto dal Papa nella Laudato si’. L’invito è alla capacità di condividere le risorse del pianeta: “Di fronte ai beni comuni dell’acqua e dell’energia non bastano più soluzioni semplicistiche. Servono il coraggio della condivisione e la profezia della sobrietà”.

Quale primo bilancio si può fare del seminario di oggi?
Questo seminario ci ha aperto gli occhi ancora una volta su una triste verità. Cioè che la guerra è distruttiva, e in questo senso genera drammi non solo umani, ma anche ambientali. E da questo punto di vista mi pare molto importante recuperare alcuni fili: per esempio il primo è un filone culturale, che anche la stessa tradizione religiosa ebraica-cristiana ci aiuta a capire, e cioè come giustizia e pace devono abbracciarsi, stare insieme. Dall’altra un filone giuridico, la necessità che le scelte del diritto possano favorire l’attenzione all’ambiente, perché questo ha un impatto anche sull’educazione e sulla formazione. E da ultimo il rendersi conto che le scelte che stiamo facendo, per esempio anche di carattere economico, di investimenti, come per il Pnrr, per tanti versi, possono aprirci davvero a prospettive nuove di attenzione e di costruzione di un modello diverso.
Che vede l’ambiente non come un’attenzione di secondo grado, ma come parte integrante della possibilità di garantire un futuro per le giovani generazioni.
Quindi mi pare che ci sia una forte intonazione educativa che ci permette anche di guardare con prospettive nuove sia il cammino sinodale sia il futuro.

Come si ricostruirà l’ambiente umano e naturale in Ucraina? Cosa serve ora?
La prima necessità è spingere fortemente per una soluzione diplomatica di pace. La pace è precondizione di tutto: lo sappiamo e lo verifichiamo ogni giorno. Senza la pace non è possibile neanche iniziare una ricostruzione e mettere fine a questo scempio ambientale ed ecologico. Quindi la prima condizione è quella di sedersi intorno al tavolo e chiudere un’esperienza di guerra. L’altra è poi curare le ferite, che sono ferite culturali, perché l’inimicizia che si è creata chiederà tempo per rimarginarsi. E in secondo luogo c’è tutta la questione concreta di rimettere in piedi le possibilità di speranza di una popolazione che per buona parte è profuga, è all’estero e per buona parte è stata massacrata e messa in difficoltà dalla guerra. E per buona parte rimane ancora sconvolta da questa esperienza. Quindi tutta la ricostruzione psicologica umana e sociale entra a pieno titolo anche nella questione ambientale ed ecologica.

Questo sforzo della Chiesa italiana di “spezzare il pane” dell’enciclica Laudato si’, di farla davvero conoscere, deve essere calato di più nelle singole parrocchie, nelle singole comunità?
Sì, assolutamente sì. Questo è un grande tema, che non è di oggi. Perché la Laudato si’ ha aperto una strada, che per tanti versi fatica ancora a decantare dentro i territori vissuti. Ci sono belle esperienze, ci sono iniziative interessanti, che possono diventare in qualche modo modelli da replicare, però non basta.
Occorre che ci sia una maggiore incisività proprio a livello educativo e formativo. E soprattutto che questi temi entrino dentro la teologia, dentro la riflessione culturale, altrimenti il rischio è di pensare che siano mode del momento. Invece è proprio una fedeltà alla tradizione cristiana e al mondo biblico che ci permette di dire come custodire la creazione è un compito che Dio ha assegnato all’uomo.

Giovannini: fare presto una transizione ecologica giusta
Le relazioni della mattinata, moderata da Alessandra Vischi (Università Cattolica di Brescia), hanno indicato alcune coordinate bibliche, con la rilettura del Salmo 85 “Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno” del biblista Daniele Garrone, presidente della Federazione Chiese Evangeliche in Italia. La giurista Monica Lugato, docente di diritto internazionale e delegata Lumsa per la Rete delle Università per la pace, ha concluso la sua analisi commentando che nella legislazione internazionale “c’è un’attenzione crescente al rispetto dell’ambiente nei conflitti tra gli Stati, ma è ancora troppo poco”.
E infine è intervenuto l’economista e statistico italiano Enrico Giovannini, oggi docente universitario, ma fino all’ottobre 2022 Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili nel governo Draghi. Giovannini ha offerto una rilettura del Pnrr, invitando il nuovo governo a valorizzarne le potenzialità e i principi per la transizione ecologica.

La transizione ecologica, quindi, ha bisogno anche di un coinvolgimento più ampio dell’opinione pubblica, per evitare che i disagi futuri creino anche contestazioni?
Certamente! O la transizione è giusta, cioè porta benefici a tutti, oppure non si realizzerà perché le reazioni a tornare indietro, a rinviare le scelte, fermeranno questo processo, mentre non abbiamo più tempo. Come ci ha ricordato anche l’Onu recentemente. E dunque le politiche devono fare questo, ma non solo le politiche pubbliche, anche le politiche delle imprese. Che, nel momento in cui per esempio cambiano il mix produttivo, possano anche impegnarsi a formare i propri dipendenti come investimento sul futuro. La transizione ecologica è un processo molto complesso e lo dobbiamo fare in tempi molto rapidi. Per questo serve la collaborazione di tutti, servono politiche adeguate, soprattutto serve la convinzione che è l’unica strada verso cui andare.

Serve anche la collaborazione delle Chiese, in questo senso, perché i fedeli siano sensibilizzati ad una vera conversione ecologica?
Non c’è dubbio che è necessario anche un cambiamento degli stili di vita, di consumo, ma anche di investimento, come già in alcuni casi sta accadendo. Anche perché vogliamo che le imprese producano prodotti molto più ecologici, quindi ci deve essere qualcuno che sia pronto a pagare anche un briciolo di più per averli. Quindi trasformazione della cultura e transizione da un punto di vista tecnologico e politiche: sono gli ingredienti indispensabili perché questa transizione ecologica così indispensabile si realizzi. E poi ci deve essere un controllo che le leggi future rispettino anche queste modifiche della Costituzione, in senso di tutela del creato e di rispetto dell’interesse delle generazioni future… Questo è un modo per accelerare la trasformazione dei principi che abbiamo fatto con il cambio della Costituzione in leggi coerenti, non solo con la tutela dell’ambiente e della biodiversità degli ecosistemi, ma anche il riconoscimento che tutto questo viene fatto in nome dell’interesse delle future generazioni. Quindi abbiamo portato nella Costituzione il concetto di giustizia tra le generazioni. Accanto al modo diverso di fare le leggi, poiché l’altro cambio è quello dell’articolo 41, in cui si dice che le imprese sono libere nella loro attività economica, ma non possono andare a detrimento della salute e dell’ambiente. C’è infine la grande novità che i nuovi criteri di rendicontazione delle imprese di media dimensione europee, dall’anno prossimo, imporranno la preparazione di un bilancio di sostenibilità, nel quale le imprese dovranno dichiarare la verità in modo che non ci siano dichiarazioni false proprio sul loro impatto sull’ambiente, ma anche sulla società. Abbiamo bisogno di trasformare il nostro modo di funzionare, quindi anche questi nuovi criteri contabili sono importanti.

Anche noi adulti dovremmo accettare i disagi nel traffico per i lavori pubblici, per avere poi città più sostenibili in futuro per i nostri figli…
E utilizzare di più i mezzi di mobilità condivisa, la cosiddetta mobilità dolce. La nostra generazione è cresciuta con il mito dell’automobile, mentre le nuove generazioni già hanno un approccio molto diverso. Se noi anche sostituissimo oggi tutte le auto a combustione interna con auto non inquinanti, le nostre città resterebbero paralizzate dal traffico, quindi abbiamo bisogno di nuovi modelli di mobilità sostenibile. E su questo sono stati fatti molti investimenti con il Pnrr. Bisogna continuare ad andare in quella direzione.

Confronti su “emergenza idrica” e su “energia e suolo”
I lavori pomeridiani si sono svolti su due tavoli di lavoro paralleli, uno dedicato all’emergenza idrica, introdotto da Giustino Mezzalira, (Veneto Agricoltura), e l’altro su Energia e suolo, avviato da Stefano Masini (Area Ambiente di Coldiretti). Simone Morandini, teologo dell’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” di Venezia, ha condotto infine la restituzione in plenaria dei due tavoli da parte dei rispettivi coordinatori. Le conclusioni, orientate ai Cantieri di Betania del percorso sinodale della Chiesa Italiana, sono state affidate a Giuliano Savina, direttore Ufficio Nazionale Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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