Cultura ed erudizione
Oggi si parla molto di “mediazione culturale”, di “fare cultura”, di “valore culturale”. Potremmo dire che “cultura” è una delle parole testimonio del nostro tempo. Ma che cos’è veramente la cultura?
Nell’orizzonte francescano la cultura non si riduce al conoscere, non è un insieme di contenuti da possedere, ma una modalità di approccio al mondo che pone al primo posto la dignità della persona umana. In questo modo due persone possono avere le stesse nozioni e una cultura completamente diversa. Per esempio di fronte al problema della globalizzazione si può essere esperti nei minimi dettagli e, nel contempo, si possono trovare giustificazioni a una globalizzazione intesa come occasione per offrire al libero mercato un campo di azione vasto e senza freni, oppure si può intendere la globalizzazione come una rete di solidarietà nel rispetto di tutti.
La cultura umana non è un segno di potere per dominare chi non la possiede, ma è responsabile di fronte al compito umano di difendere la dignità dell’uomo.
Molte volte il significato della parola ‘cultura’ viene equivocato perché lo si confonde con parole, ritenute sinonimi, come ‘erudizione’. Il vocabolario etimologico Pianigiani dice che erudire significa togliere dalla mente la rozzezza naturale ammaestrando. Ma questa definizione non restituisce al termine il suo pieno significato.
Per il francescano S. Bonaventura l’erudizione soddisfa chi è mosso dalla curiositas, parola che il pensatore francescano collega alla presunzione, atteggiamento che egli ritiene contrario “all’armonia concorde della lode divina” (Collationes in Hexaemeron, I), poiché “il presuntuoso non magnifica Dio, ma loda se stesso; e il curioso non ha devozione. Purtroppo – continua – sono molti costoro, incapaci di lode e privi di devozione, sebbene abbiano lo splendore della scienza. Essi costruiscono come le vespe, favi senza miele, mentre le api mellificano” (ibidem). L’erudito accumula un conoscere che cresce sul piano quantitativo, ma che non fa crescere sul piano qualitativo nella profondità del proprio esistere. Per questo Tommaso da Celano dice che il Santo cercava “non multa sed multum” (FF 775), non molte cose, ma il molto.
L’erudizione, nella visione francescana, è una dimensione che riguarda il conoscere teorico astratto, non coinvolge in se stessa la pratica della vita, non interroga sulle scelte da prendere. La cultura, invece, interpreta la visione teorica nell’azione, rende la vita un cammino aperto al futuro.
L’erudizione fa pensare a una mente-contenitore di nozioni, di dati legati al passato senza divenire. Invece la cultura umanizza l’incontro con i dati, li armonizza tutti in un’unità di senso del cammino umano. La cultura riconosce nella storia una crescita ininterrotta della creatività umana ed è aperta al futuro, poiché sa che le possibilità umane non si esauriscono nel passato, nel nome di un tradizionalismo fine a se stesso.
La cultura è essenzialmente aperta, altrimenti non è cultura. L’uomo colto è uno che si apre al dialogo con altri e cerca di capirli, che congiunge in un progetto il passato con il futuro, rimanendo ben ancorato alla tradizione culturale che ha ricevuto dalla fatica dei suoi padri e da cui si fa ispirare per cogliere possibilità sempre nuove.

Cultura e natura
La parola cultura deriva dal latino colere che significa coltivare. È una parola che nasce in una dimensione agricola: come l’agricoltore coltiva la terra per far uscire da essa un prodotto che sia sempre migliore, così l’uomo in modo naturale ha il compito di coltivare se stesso, la propria interiorità; ha il compito di sviluppare le proprie potenzialità che la natura gli ha dato, ma che quest’ultima non può realizzare. Le parole ‘cultura’ e ‘natura’ sono participi futuri che indicano il continuo impegno dell’uomo a realizzare la propria natura in un processo di sviluppo che dura quanto la vita.
Ma perché si possa veramente parlare di cultura umana, bisogna che ogni dimensione dell’uomo sia sviluppata in modo integrale e armonico a vantaggio dell’uomo. L’uomo è come un campo che, se è coltivato nel modo giusto e integrale, può esprimersi pienamente. Perciò la cultura, pur essendo distinta dalla natura, è essenzialmente in relazione ad essa.
Nell’antichità la cultura era aristocratica, a carattere contemplativo poiché si poneva dei fini superiori spirituali, religiosi, etici, estetici, artistici che la natura non offre all’uomo. Suo compito era di perseguirli e rispettarli come tappe di un cammino, senza mai perdere di vista la connessione con la natura.
Oggi, invece, la cultura pone al primo posto il progresso tecnologico, il fare, l’utilità, l’efficienza, categorie che portano l’uomo a dare prestazioni efficaci e retributive, basate sulla specializzazione e che, se assolutizzate, portano a lasciarsi catturare dalla volontà di potenza e a cercare di produrre sempre e comunque cose nuove, senza preoccuparsi del come l’uomo con la sua responsabilità sia presente in questo.
La cultura umana non è un ricevere notizie, dati tecnici in modo passivo, ma è un uscire dalle ristrettezze della propria specializzazione per aprirsi al dialogo con gli altri ed “allargare continuamente gli spazi del proprio sapere” – come dice S. Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio (FR 14).
La cultura per questa apertura è un continuo comunicare vitale, non una chiusura nelle proprie sicurezze. L’uomo di cultura è vivo, è partecipe e attivo. Se legge un libro entra in dialogo con il suo autore e di fronte ai media non assume passivamente l’informazione, ma la sottopone a critica.
Oggi la società ha bisogno di uomini di cultura per non frammentarsi, chiudersi, rimpicciolirsi in strettoie che mortificano la creatività insita in ogni uomo. Per questo bisogna guardarsi dal non confondere la cultura con l’ideologia, oltre che con l’erudizione.
L’ideologia è il contrario della cultura, perché nega la creatività, la libertà di pensiero, in quanto stringe la mente nelle maglie di pensieri già pensati e non modificabili. Il risultato è quello di un prodotto umano omologato, a cui si nega la libertà di esistere come soggetto attivo.
Anche il cristianesimo nel tempo ha trovato modalità espressive proprie dell’ideologia fissate in schemi precostituiti e chiusivi di una possibilità ulteriore di espressione. In questo modo la parola profetica di Gesù è stata mortificata. Ciò si può dire di S. Francesco e di tanti profeti che non furono capiti dai loro seguaci. Ma per fortuna la storia è fatta di “corsi e ricorsi”, come dice G.B. Vico, per cui uomini di cultura sono stati capaci di rifarsi alle loro origini per aprirsi a un futuro che offrisse loro nuovi campi espressivi, per attualizzare la parola evangelica fonte di cultura vera (1).

1) Dalle lezioni di p. C. Bigi a Radio Tau del 14 maggio 1987,
del 14 gennaio 1988 e del 21 gennaio 1988.

Lucia Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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