Alessandro Rondoni

Sembra scontato ma non lo è. Oggi, fra la crisi pandemica e le strette causate da un’economia che manda in tilt la classe media e genera nuove povertà, adoperarsi per un mondo più giusto significa riaffermare che il creato è dono di Dio da custodire, conservare e non sfruttare. È quanto mai indispensabile una visione integrale, a livello personale e comunitario, dell’uomo sul creato. Perché si giunga ad una condivisione piena della consapevolezza di quanto siano in gioco il presente e il futuro delle nuove generazioni.
Il mondo che ci è stato dato non è una risorsa infinita, da sfruttare senza limiti.
Preoccupano, infatti, il consumo sfrenato, lo sviluppo predatorio che disequilibra popolazioni e Stati.
Occorre, quindi, condividere nuovi stili di vita. Abbiamo il compito di riconsegnare la casa comune ai fratelli che ci sono e che verranno. Custodire quella casa voluta da Dio per l’uomo, non contro l’umanità. Se diventa ostile è perché chi la abita si scorda degli altri e pensa solo a sé.
La tutela della terra, del bene comune, passa attraverso un nuovo modo di abitare, di essere dimora per tutti. In un’accoglienza inclusiva perché ognuno abbia casa. In questo cambiamento d’epoca l’uomo è chiamato ad un nuovo modus vivendi di abitare la terra, la casa, la famiglia, la chiesa, il lavoro, la città.
Negli ultimi decenni si è puntato molto sul benessere, sulla qualità di vita, che sono ancora da perseguire, ma non sarà la quantità il parametro di questa ricerca perché così si rischia di sfruttare pericolosamente le risorse. Sarà, invece, sempre di più la qualità delle relazioni umane, personali e sociali, a performare un nuovo modello di sviluppo. I beni relazionali saranno sempre più importanti. Perché senza fraternità non esiste libertà. Nell’anno dedicato alla «Laudato si’», anche l’iniziativa diocesana sulla custodia del creato e nuovi stili di vita, svoltasi mercoledì 14 ottobre in streaming dalla Sala Santa Clelia, ha richiamato non ad un ecologismo di maniera ma alla responsabilità delle proprie e altrui scelte.
Anche di amministrazione e di governo, perché saper calcolare le conseguenze dei propri comportamenti e progetti è decisivo per il futuro. Il vocabolario, quindi, oggi si aggiorna e indica per la responsabilità sociale parole come conservazione, custodia, sopravvivenza, piuttosto che lo sviluppo senza freni. E quando si parla di conversione ecologica non si svolge un tema green, ma si conduce la ragione a riconoscere l’interconnessione per cambiare il modo di vedere le cose, la terra, la natura, il mondo. Il nostro posto nel creato non dipende dalla globalizzazione. Dipende piuttosto dal rapporto con Dio. E con gli altri.
Quindi è una questione di fede. È tema educativo e di grande attualità perché ha a che fare con la conservazione dell’umanità.

“Da Avvenire” Bo7

 

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata