Commento di S.E. Mons. Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Scuola di Pace – Roma, 3 gennaio 2012

PREMESSA: FIDUCIA NEI GIOVANI, MA PRIMA DI TUTTO IN DIO CHE È GIÀ ALL’OPERA NELLA STORIA
educare-i-giovani--001Ringrazio per l’opportunità di essere in mezzo a voi, in questa realtà così attiva e viva, come ho verificato attraverso la semplice visione delle pubblicazioni che rendono conto delle iniziative, dello spessore culturale, della progettualità volta a realizzare un mondo pacifico alla scuola di S. Francesco.
Mi limiterò a commentare alcuni punti fondamentali che costituiscono l’ossatura del Messaggio della Giornata Mondiale per la Pace 2012.
Il Pontefice, reduce dall’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Madrid, conscio dei problemi e delle ansie dei giovani nell’attuale società, ma anche di una certa stanchezza delle generazioni adulte di fronte alla complessità dei problemi, invita a guardare al futuro con fiducia e speranza, con un maggiore investimento di energie e con un impegno più determinato. Il Messaggio ha al proprio centro le preoccupazioni dei giovani manifestate in questo tempo in varie Regioni del mondo (cf n. 1). Si riferisce anche ai giovani che hanno partecipato alla «primavera araba» che, se non è ben condotta nel suo dinamismo di transizione, può trasformarsi in un «inverno arabo».
Bisogna guardare ai giovani come a soggetti capaci di intuizioni nuove. Come soleva ripetere Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, i giovani sono come le rondini: annunciano la primavera.
Bisogna, poi, guardare ai giovani come a quella porzione della società – essi, in realtà, sono più di tre miliardi e mezzo, quasi la metà della popolazione mondiale – che rappresenta il futuro dell’umanità, e che non può essere ingannata né emarginata. Essa non può, a causa di una prevalente mentalità consumistica e dissipatrice, essere sovraccaricata di responsabilità rispetto al futuro, gravandola di un pesante fardello prima ancora che nasca, sia per quanto riguarda il debito pubblico, la custodia dell’ambiente, la sostenibilità dei sistemi sociali, cioè l’esistenza dello Stato sociale, il rinnovamento delle istituzioni e della cultura.
Prima di parlare dei giovani e di chiedere di accompagnarli nella loro educazione – i giovani devono essere aiutati a realizzare le loro intuizioni e devono essere messi in condizione di diventare essi stessi protagonisti della costruzione della pace e della giustizia – l’introduzione del Messaggio parla dell’atteggiamento col quale guardare al nuovo anno (cf n. 1). In essa c’è l’invito a guardare la storia con un approccio di fede, che aiuta a scorgere la presenza di Dio già impegnato nella storia per costruire una nuova umanità. L’umanità, allontanandosi da Lui, sceglie le proprie vie e così si costruisce le proprie «prigioni» o «gabbie», ma poi, riconoscendo i propri errori, si rammarica e grida verso Dio chiedendo aiuto. Al grido dell’umanità Dio risponde non lasciandola sola, bensì si incarna, entra nella storia, diventa il «Dio con noi». Egli è il primo a costruire una nuova umanità. È il capofila di una innumerevole teoria di persone che, insieme a Maria, Madre di Dio, si impegnano ad iniziare una nuova storia.
Dio è presente in essa, perciò non si deve perdere la fiducia. Si deve, invece, nutrire una ferma speranza ed attendere, come le sentinelle, l’aurora di un mondo nuovo. Bisogna soprattutto operare affinché quest’aurora diventi giorno colmo di sole.
I giovani sono tra coloro che attendono questa nuova umanità e vanno coinvolti nella sua crescita.

1. I GIOVANI PROTAGONISTI DI UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE DEL SOCIALE
Il Pontefice, dedicando il Messaggio al tema «Educare i giovani alla giustizia e alla pace», in sostanza, dopo averli incontrati a Madrid, desidera che diventino protagonisti della nuova evangelizzazione del sociale e vuole mobilitare tutti i soggetti sociali per aiutarli a diventare artefici di un’evangelizzazione implicante la promozione umana, la costruzione di un mondo più giusto e pacifico.
educare-i-giovaniInvita prima di tutto la Chiesa a investire sui giovani attraverso l’educazione. Il Messaggio, oltre che alle comunità ecclesiali, si rivolge alle famiglie, a tutte le componenti educative e formative, ai responsabili dei vari ambiti della vita sociale, politica, economica, culturale, della comunicazione, a tutti coloro che hanno responsabilità nei confronti dei giovani. Questi ultimi, hanno sì l’intuito per le cose grandi, e sono anche disposti a scendere in piazza, ma non sono sempre dotati dei mezzi necessari per divenire costruttori di istituzioni più giuste, democratiche e partecipative. Per questo, i giovani hanno bisogno di essere educati per diventare protagonisti di una nuova cultura, di una nuova politica, di una nuova economia, di una nuova comunicazione.
Il Messaggio offre un quadro generale per l’educazione. Un tale quadro, però, ha bisogno di essere specificato con riferimento ai problemi odierni.

2. I RESPONSABILI DELL’EDUCAZIONE. I CONTENUTI ESSENZIALI
I responsabili dell’educazione sono veri educatori se non sono solo maestri, ma autentici testimoni. Sono, come già accennato, i genitori, i responsabili di istituzioni con compiti educativi, i responsabili politici, i responsabili dei media, gli stessi giovani. I giovani non sono da considerare come imbuti che ricevono passivamente i contenuti educativi, ma persone-soggetti che devono essere coinvolti facendo leva sul loro innato desiderio di bene, di un Bene Sommo, immettendoli in esperienze di pratiche buone di vita: in cooperative, nel volontariato, nelle associazioni, nelle varie istituzioni (Chiesa, Ong, partiti, sindacati…).
La parte centrale del Messaggio si occupa dei contenuti dell’educazione: verità, libertà, giustizia, amore, pace. Indica, cioè i pilastri della costruzione della casa che è la pace, come aveva già detto Giovanni XXIII nella Pacem in Terris. La pace è un retto ordine sociale che si fonda su quattro pilastri: verità, libertà, giustizia e amore.
Se si desidera educare i giovani ad essere protagonisti della pace bisogna, pertanto, educarli a questi quattro valori fondamentali, vedendoli e tenendoli interconnessi. Tra parentesi: l’accenno alla Pacem in terris ci ricorda il suo prossimo 50° anniversario. Si tratta di una grandissima enciclica, ancora attualissima, soprattutto per il tema dei diritti umani connessi ai rispettivi doveri, per i temi della democrazia, dello Stato di diritto e dell’autorità politica mondiale, a cui si è pure richiamato Benedetto XVI nella Caritas in veritate (cf n. 67). Comunemente si associa quest’ultima al potere di dominio, quando invece l’autorità politica è la “facoltà di comandare secondo ragione”, cioè è una forza morale, non impositiva, non arbitraria, bensì commisurata alla libertà e alla responsabilità dei cittadini.
Nel Messaggio c’è una parte finale che non va tralasciata. Qui si dice che i giovani per essere autentici protagonisti della pace debbono alzare gli occhi verso Dio. Perché? Perché Egli è la fonte dell’amore, della verità, della libertà, della fraternità. Dove non c’è Dio non c’è verità piena, non c’è libertà piena, non c’è fraternità piena, non c’è amore pieno. Il Messaggio si dipana in maniera semplice e piana. Tuttavia esso, specie in alcune parti è più che mai concreto. Per cui il testo va riletto, meditato, andando alla ricerca di ciò che implica una solida educazione con riferimento all’orientamento vocazionale, alla vita interiore spirituale, alla relazionalità, alle buone pratiche, agli ambienti di vita: famiglia, scuola, lavoro, economia, politica, cultura, mass-media.

3. CONDIZIONI PER EDUCARE I GIOVANI
Vorrei rileggere il Messaggio attirando anzitutto l’attenzione su quali sono le condizioni essenziali per educare i giovani ad essere protagonisti di giustizia e di pace. L’educazione non è mai un rapporto unidirezionale, ma di reciprocità, di interdipendenza: è un rapporto fra soggetti liberi e responsabili. Il docente non deve trattare il discente come un oggetto. Cosa occorre fare con i giovani e per i giovani?
Occorre:

  • essere attenti ad essi, saperli ascoltare e valorizzare.
    Molto spesso nelle nostre famiglie questa è solo un’intenzione. Al lato pratico, poiché i genitori sono costretti ad uscire dal contesto domestico per lavorare e mantenere la famiglia, i giovani non sono accuditi a sufficienza. C’è oggi una scissione profonda tra lavoro di cura dei figli e lavoro produttivo, che rischia di immettere in un circolo vizioso: più alte sono le aspettative sui figli tanto più si tende ad aumentare il tempo dedicato al lavoro produttivo a detrimento dell’educazione.
    Quando, invece, si riesce a stare insieme ai giovani e ad ascoltarli è facile trovare la stessa lunghezza d’onda, si instaura un legame di empatia, mediante cui c’è comunicazione e ricezione. Va tenuto presente, poi, che spesso i giovani non vengono adeguatamente responsabilizzati dagli adulti. Nelle famiglie oggi si cerca di risolvere i loro problemi più che di aiutarli a risolverli da se stessi. L’educazione autentica punta a far crescere i giovani secondo un’autonomia responsabile.
  • comunicare l’apprezzamento per il valore positivo della vita suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del bene.
    In qualità di testimoni dobbiamo aiutare i giovani a capire che la vita è un dono che non va consumato utilitaristicamente o egoisticamente, ma speso e impegnato a servizio del bene. Nell’attuale contesto socio-culturale la vita umana non è sempre apprezzata come dovrebbe. Può valere di più un cagnolino, o un altro animale, di un bambino. Si è, poi, imbevuti di clichés nichilisti che negano un senso all’impegno sacrificato e puntano al successo immediato. In un contesto in cui prevalgono queste visioni depotenziate e utilitaristiche della vita, come suscitare il desiderio di spendere la vita al servizio del bene? Chiediamocelo.
  • offrire una formazione non mediocre, bensì una buona formazione intellettuale, affettiva, pratica, critica, che li prepari ad affrontare la realtà e la complessità dei problemi con un approccio sapienziale, suscitando il gusto del vivere.
    Noi, in genere, vediamo nelle scuole cattoliche degli ambienti protetti, ma non prestiamo attenzione allo specifico che esse possono offrire. Occorre che docenti e genitori si impegnino affinché le scuole cattoliche e le scuole statali siano scuole di qualità.
    Se i giovani escono dalle scuole con idee storte e non addestrati ad un minimo di vita buona, non possiamo sperare molto in nuove generazioni costruttrici di pace.
  • aiutare i giovani a formarsi una famiglia e a trovare un lavoro.
    Cosa implica questo al lato pratico? Che vi siano politiche sul piano dell’istruzione, del lavoro, della famiglia e per la famiglia. Perché le politiche siano più adatte alla famiglia, occorre che le famiglie siano raggruppate in associazioni familiari e queste devono essere propositrici di nuove politiche. Bisogna inserire i giovani nel mondo del lavoro, supportando adeguatamente anche le scuole professionali, altrimenti non potranno formarsi una famiglia. Occorre impegnarsi e sollecitare i nostri politici ad operare in queste direzioni.
  • renderli capaci di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia.
    Occorre, quindi, investire nella formazione per preparare nuove generazioni di cittadini, di amministratori, di politici, di uomini di cultura, di imprenditori, di professionisti in tutti i campi, compreso quello della comunicazione. Un compito immane. Bisogna essere molto seri e sistematici nell’intervenire, data l’attuale emergenza educativa. Non lo si può fare dall’oggi al domani, ma gradualmente, con progetti a lunga gittata e in maniera continuativa, ponendosi in rete. Bisogna parlare ai giovani della politica, della sua importanza, nonostante il discredito che la colpisce. Occorre sensibilizzarli al bene comune, educarli ad averne un’alta considerazione. Ma, come può un giovane interessarsi del bene comune se non sa che cos’è o se confonde un bene comune come l’acqua, con il bene comune?
    Bisogna, quindi, muoversi a partire dalle cose semplici, da una «grammatica sociale» di base.
    Preparare una nuova generazione di politici cattolici non significa volere un nuovo partito, un partito cattolico, semmai un partito laico, aconfessionale, di ispirazione cristiana. Significa, piuttosto, preparare politici che sappiano comportarsi con sincerità e coerenza secondo i valori del Vangelo. La loro vita dev’essere caratterizzata da una testimonianza trasparente, ossia da un’esistenza che mostra la trasformazione operata dall’incontro assiduo con il Signore Gesù. Oggi, poi, siamo di fronte al rischio della diaspora. Perché, in un contesto culturalmente frammentato ed intriso di un secolarismo virulento, i valori irrinunciabili si affermino, occorre coltivare l’unità su ciò che è imprescindibile e non «negoziabile».
    Occorrono, in un contesto in cui il «quinto potere» la fa da padrone, anche nuove generazioni di comunicatori attraverso i mass-media. Nelle conferenze stampa mi accade spesso di incontrare giornalisti che paiono più presi dalla smania degli scoop che dal desiderio di offrire un’informazione obiettiva. Per fortuna esistono giornalisti che svolgono il loro lavoro nell’umiltà e con professionalità.
    I giovani, in breve, devono essere resi competenti professionalmente, eticamente, spiritualmente. Devono lavorare pensando di svolgere un servizio alla verità e alla gente, vivendo secondo la logica del dono e della gratuità, che non significa tanto regalare il proprio lavoro, ma operare con passione, con voglia di servire gli altri nel miglior modo possibile, intercettando i loro bisogni, rispettando la loro dignità. Devono, cioè, essere professionisti orgogliosi di offrire il proprio contributo alle persone con competenza e con efficacia.
    Sono indispensabili, pertanto, itinerari educativi che aiutino a concepire il proprio mestiere come una vocazione da vivere con passione, con amore per il prossimo e per Dio.
  • aiutare le famiglie perché nella società post-industriale i genitori possano assolvere il loro compito di educatori, garantendo la loro adeguata presenza nel contesto domestico.
    Bisogna supportare le famiglie sul piano della paternità e della maternità, perché possano esercitare il loro diritto-dovere di educare e di scegliere le strutture educative. Occorre, quindi, pensare alle molteplici politiche relative all’organizzazione del mondo del lavoro, alla creazione di infrastrutture, di servizi di pre e post-scuola.
  • far sì che i vari ambienti di vita (scuola, gioco, luogo di lavoro, società, mass-media) aiutino la ricerca della verità.
    Si pensi al mondo della politica così contrapposto ed estremizzato, tutto impegnato a demonizzare l’altra parte. È un «ambiente» che educa o che diseduca? Si tenga, poi, presente che in un contesto sociale in cui con la legge si è liberalizzato e non contenuto il fenomeno dell’aborto, di fatto i giovani sono sollecitati a pensare che l’aborto sia un diritto. Non pochi, poi, dicono che alla donna è riconosciuta la sua uguaglianza e la sua libertà se le si riconosce il diritto all’aborto. Uno Stato che dà la possibilità di eliminare, tramite un aborto liberalizzato, un buon numero di esseri inermi – si pensi che la Costituzione italiana riconosce il diritto di ereditare per i nascituri – avrà un futuro e, poi, si fonda sul diritto? Coltiva, in tal modo, prassi omogenee alla pace? Qui si entra in campi molto delicati che ci obbligano a riflettere. Dobbiamo pensare che la politica educa anche attraverso le leggi ben fatte, ma può diseducare attraverso leggi mal fatte.
    Ecco perché i responsabili delle varie istituzioni culturali, sociali e politiche devono curare che le stesse istituzioni siano educative e giuste. Ecco perché Benedetto XVI nel Messaggio invita i politici ad offrire un’immagine limpida della politica come vero servizio per il bene di tutti (cf n. 2).
    Ci pensiamo o lasciamo che le cose vadano per il loro verso? È inutile che scendiamo in piazza a fare la manifestazione della pace se non diciamo anche che vogliamo il diritto alla vita. Altrimenti ci contraddiciamo e non siamo protagonisti autentici della pace e della giustizia!

4. EDUCARE ALLA VERITÀ E ALLA LIBERTÀ
Ma veniamo ai contenuti del Messaggio. Educare alla verità, alla libertà, alla giustizia, all’amore e alla pace. Bisogna educare alla ricerca della verità, poiché nessuno la possiede in maniera definitiva e totale. Non siamo possessori neanche della verità, che è Cristo, perché il nostro cervello è limitato. Noi oggi abbiamo a che fare con verità parziali sull’uomo, sui suoi diritti e doveri. Abbiamo posizioni culturali che si preoccupano solo dei diritti e non dei doveri. Abbiamo posizioni culturali che dicono che la persona si riduce al suo essere biologico. Abbiamo posizioni culturali che considerano l’uomo solo secondo la sua dimensione economica, corporea, cosicché la dimensione economica è la principale, i lavoratori vanno subordinati alle esigenze dell’economia. Oggi, per certi aspetti, siamo in posizioni peggiori di quelle dell’Ottocento, quando l’uomo veniva considerato una merce. Con la finanziarizzazione dell’economia il lavoratore è considerato meno di una merce. Il lavoratore semplicemente non esiste, e questo risulta dal fatto che si preferisce investire in Borsa piuttosto che in imprese! È oramai convincimento diffuso che si possono fare soldi senza il lavoro produttivo. Educare alla verità in questo contesto significa, pertanto, aiutare a superare le varie menzogne sulla finanza assolutizzata e idolatrata, sulla ricchezza, sul lavoro.
educare-i-giovani--002Il creato stesso e i beni alimentari sono sottoposti ad azioni di speculazione. Il mondo è considerato un ammasso di cose da usare senza scrupolo. E non si considera, invece, che la natura è espressione di un disegno di amore e di verità. Educare alla verità vuol anche dire educare ad un giusto rapporto dell’uomo con il creato. La natura non è più importante della stessa persona umana. Peraltro, bisogna anche considerare che l’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una grammatica che indica finalità e criteri di un utilizzo sapiente. La verità è relativa a tutto l’uomo. Educare alla verità sull’uomo, implica dunque che si tenga presente che la persona è un essere trascendente, un essere che ha sete di infinito, giacché è creato ad immagine e somiglianza di Dio.
La verità intera sull’uomo è fondamentale per la libertà. Questa si compie quando si lega alla verità globale, al bene, a Dio, considerato come il proprio Tutto. La libertà si compie quando si raccorda con la legge morale naturale che si trova nella coscienza.

5. EDUCARE ALLA GIUSTIZIA
Anche riguardo alla giustizia ci troviamo in difficoltà nel nostro contesto culturale. Abbiamo a disposizione una corretta visione della giustizia? La giustizia è qualcosa di convenuto, che emerge dai dati statistici? È frutto di un accordo fra le persone indipendentemente dalla verità sull’uomo? Nasce solo da un consenso sociale? O la giustizia ha altri fondamenti o radici?
Sicuramente la giustizia deve coagulare attorno a sé un consenso pubblico, ma questo non è la radice ultima del suo esistere! I suoi contenuti si stabiliscono attorno all’essere delle persone che non è stabilito dal consenso o dai sondaggi di opinione.
L’essere trascendente di una persona non viene determinato da un’indagine sociologica. Esso è colto tramite una ragione speculativa che riconosce l’essere così com’è. L’essere non si inventa, bensì è scoperto, trovato!
Nel Messaggio viene detto in maniera chiara che bisogna educare ad una giustizia che ha radici non solo sociologiche, di consenso, ma trascendenti, cioè che superano l’ordinamento giuridico esistente. Quest’ultimo può essere imperfetto, cioè può non riconoscere tutti gli aspetti della giustizia morale. Le radici della giustizia, che trascendono il diritto positivo, sono la solidarietà, la dignità della persona, la fraternità…
La giustizia, dunque, è più che consensuale, è più che giuridica. Ha riferimenti che sono metagiuridici, metapositivi. Purtroppo, nell’attuale contesto, abbiamo concetti di giustizia di tipo prevalentemente sociologico, dialogico, neocontrattualista, neo-utilitarista, secondo i quali ciò che fonda la giustizia è il semplice consenso sociale, il semplice sondaggio d’opinione, la convergenza storica (l’overlapping consensus di cui parla John Rawls). Invece, la giustizia si fonda primariamente sulla natura dell’essere umano, sulla realtà dei suoi rapporti con gli altri, che non possono essere inventati.
Oggi, in particolare, occorre educare alla giustizia sociale. La giustizia sociale è commutativa, contributiva e distributiva, in armonia col bene comune. La giustizia sociale è la giustizia del bene comune. Ma, purtroppo, noi abbiamo perso il concetto di giustizia sociale e il concetto di bene comune! Ecco perché educare oggi alla giustizia non è un’impresa facile.
Che cos’è il bene comune? Secondo la Gaudium et Spes “il bene comune è l’insieme delle condizioni sociali che consentono ai singoli, alle famiglie, ai vari gruppi, ai vari popoli di raggiungere il loro compimento umano”. Tale pienezza umana è data dal riferimento a tutti i beni e i valori della persona, non solo a quelli materiali, tecnici, corporei, economici, giuridici, ma soprattutto a quelli spirituali, etici, culturali, religiosi. L’acqua è uno dei «beni comuni» che il bene comune deve salvaguardare e consentire che sia accessibile a tutti.
Il bene comune è un insieme di condizioni che non devono essere gestite in qualsiasi maniera, ma devono essere gestite in modo che si raggiunga la pienezza umana. Le condizioni economiche, i mercati, la finanza, la politica devono essere gestiti come «ambienti di vita» in modo che consentano il compimento umano di tutti. Il bene comune non si riduce alle infrastrutture, alle strade, ai ponti, all’acqua sana accessibile a tutti…
Comprende tutte queste cose, ma ciò che conta è che esse devono essere gestite in modo da consentire la pienezza umana. Tutto ciò va fatto con costanza, con rettitudine. Per gestirle in funzione della crescita integrale è necessario avere come punto di riferimento il compimento umano che è definito da un insieme di valori ordinati secondo una scala di valenze, per cui non ci può essere il primato dei valori materiali sui valori spirituali. Il bene comune è correlativo al bene umano integrale che non è dato dalla somma dei beni umani presi in qualsiasi maniera. I beni umani vanno considerati secondo una gerarchia.
Il bene comune, pertanto, va progettato come un insieme di condizioni che non consentono l’assolutizzazione dei valori economici, l’assolutizzazione della tecnica, ma li subordinano ad una visione globale della persona umana. Su questo dobbiamo insistere parecchio. Non dobbiamo perdere, comunque, il concetto del bene comune di ispirazione liberale dato dalla Gaudium et Spes. Tale concetto di tipo formale implica quello di tipo sostanziale formulato da Aristotele, S. Tommaso d’Aquino, Maritain, La Pira… Essi dicevano che il bene comune è la vita retta del popolo, della moltitudine, cioè non si può realizzare il bene comune se non si è retti, se non si conduce una vita buona. Inoltre, bisogna farlo in maniera stabile e perseverante, conoscendo la verità intera sull’uomo. Il bene comune è correlativo al bene integrale dell’uomo ed è correlativo al bene integrale della famiglia umana.

6. EDUCARE ALLA PACE
Educare alla pace è educare ad essere operatori di pace. Nel paragrafo n. 5 del Messaggio i giovani sono invitati ad essere persone giuste, operatori di giustizia e di pace, anche se ciò può costare sacrificio e l’andare contro corrente. Viviamo in un mondo in cui ci sono crisi alimentari, ambientali, finanziarie, economiche e sociali. Siamo entrati, almeno nei paesi occidentali, in una fase di post-democrazia. Educare alla pace vuole dire tenere presenti i contorni di questa attualità.
educare-i-giovani--003Leggiamo nel Messaggio: «dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali e internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di redistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti» (cf n. 5).
Su certi beni i conflitti sono internazionali. Per risolverli non basta l’autorità sovrana di uno Stato. Bisogna che almeno gli Stati si mettano insieme e trovino un accordo. Ma non basta neanche questo. Chi garantisce la fedeltà alle decisioni prese? C’è bisogno di un’autorità superiore che garantisca l’attuazione delle decisioni prese. Si profila, per conseguenza, la prospettiva di un’autorità politica mondiale o almeno di un’autorità regionale (ossia, un’autorità politica europea, africana, latinoamericana ecc.), altrimenti non c’è proporzione tra i dinamismi finanziari transnazionali e le istituzioni politiche che agiscono ancora prevalentemente su piani nazionali oppure sulla base di accordi come quelli fatti nel G20 o nel G8, che sono club di amici, ma non sono autorità politiche legittimate attraverso il principio della rappresentanza nei vari processi democratici.
Che cosa significa, poi, «destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali» se non far sì che tutti i soggetti sociali, compresi i giovani, si rendano conto dei problemi suscitati dalle migrazioni bibliche, dalla povertà, dal debito estero di alcuni Stati (non è risolto questo problema, tutt’altro), dalla caduta dei regimi dittatoriali, dalla crisi finanziaria ancora in atto, dalle crisi alimentari e ambientali, dalla trasformazione della democrazia verso il populismo oligarchico? Tutti problemi, tra l’altro, che si pongono in un contesto di globalizzazione, che se propizia un processo di maggiore unificazione della famiglia umana, non evita il crearsi di nuovi squilibri e disuguaglianze.
L’elenco di questi problemi non obbliga a prendere atto delle nuove esigenze del bene comune mondiale e della giustizia sociale globale che postulano, come dice la Caritas in veritate, una nuova sintesi culturale, una nuova progettualità, un nuovo modello di sviluppo più qualitativo, sostenibile e inclusivo, la riforma dell’Onu e dell’architettura economico-finanziaria internazionale affinché si possa dare reale concretezza al concetto della famiglia delle nazioni?
Educare alla pace vuole dire prendere coscienza della questione sociale mondiale che è complessificata in tante questioni particolari. Ma non solo prendere coscienza. Occorre mobilitarsi in modo che si muovano i responsabili politici, o almeno si muova la società civile che è l’ultima responsabile. Nella Gaudium et Spes si dice che, rispetto alla politica, la comunità civile ha il primato. Il che significa che gli ultimi responsabili siamo noi, ma ben educati, ben organizzati, capaci di far sentire la nostra voce con mezzi adeguati, capaci di fare una giusta pressione (vedi i referendum sull’acqua, sull’energia nucleare, con tutti i problemi che sono sul tappeto). L’elemento principale è l’educazione, la sensibilizzazione, l’informazione. Inoltre: come poter immaginare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza? La “ridistribuzione della ricchezza” è un tema enorme. Come poter immaginare adeguate modalità di ridistribuzione se non educando ad organizzare l’economia in modo che in tutte le sue fasi, come suggerisce la Caritas in veritate, sia vissuta la giustizia commutativa, distributiva, contributiva ossia la giustizia sociale sia sul piano nazionale sia sul piano internazionale? Non è poi necessario una ridistribuzione, oltre che nel mercato, anche da parte degli Stati e della comunità internazionale?
educare-i-giovani--00Ma come potrà quest’ultima ottemperare alle esigenze della giustizia sociale globale se non si doterà di un’autorità politica proporzionata, articolata su diversi piani secondo il principio di sussidiarietà?
Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace si è ultimamente cimentato su uno di questi temi, specie con riferimento alla riforma del sistema finanziario internazionale, elaborando una Nota.1 Penso che questa Nota possa essere utilizzata nei vostri ambienti di vita educativi, perché aiuta a realizzare la giustizia in questo senso, aiuta a far sì che si possano avere dei mercati, delle istituzioni finanziarie funzionali al bene comune. La funzione della finanza è questa. E se non obbedisce a questa funzione finisce per fallire. Quando non si appoggia sull’economia reale diviene in pericolo per se stessa, per il lavoro, per le famiglie e i territori. Sarebbe bello anche approfondire tutto quello che nel Messaggio è sottointeso riguardo alla democrazia. I giovani della primavera araba hanno capito che non c’è giustizia sociale se non c’è democrazia e che non c’è democrazia senza giustizia sociale. Questo discorso vale senz’altro per quei Paesi, ma vale anche per noi, vale per l’Europa, per i Paesi occidentali dove la democrazia è in crisi. Oggi, secondo illustri studiosi, siamo in una fase di post-democrazia. Dobbiamo ripristinare il funzionamento regolare della democrazia rappresentativa. Bisogna riformare il sistema elettorale e che ci prepariamo a gestire bene le nostre istituzioni.
Ma nel mondo cattolico chi sta lavorando per un mondo politico diverso? Per riformare, cioè, i partiti in modo che siano collegati con la società civile e non siano realtà create da uno solo? Le comunità ecclesiali cosa stanno facendo? Dicono che non ci si deve interessare della politica o programmano seriamente un’opera educativa al riguardo, supportati anche dagli intellettuali? Oggi la politica è diversa da quella degli anni ‘50. È diversa la gestione della politica, è diversa l’influenza dei mass-media. Bisogna, dunque, ripensare le cose, la rappresentanza, la partecipazione, tenendo conto delle nuove realtà. Abbiamo bisogno di una classe politica che dia ascolto agli intellettuali retti e che non li consideri come persone che vivono sulle nuvole.
[Trascrizione dalla viva voce]

1 Cf PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011. Non è la prima volta che il Pontificio Consiglio della Pace affronta tematiche relative all’economia e alla finanza. Basti anche solo pensare a: PONTIFICIO CONSIGLIO DELLAGIUSTIZIA E DELLA PACE, Un nuovo patto finanziario internazionale 18 novembre 2008. Nota su finanza e sviluppo in vista della Conferenza promossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Doha, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2009. Prima ancora il Pontificio Consiglio si è interessato delle ricorrenti crisi finanziarie e della necessità di nuove istituzioni pubblicando i seguenti testi: ANTOINE DE SALINS-FRANÇOIS VILLEROY DE GALHAU, Il moderno sviluppo delle attività finanziarie alla luce delle esigenze etiche del cristianesimo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994; Social and Ethical Aspects of Economics, Atti relativi al I Seminario di economisti organizzato il 5 novembre 1990 presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Vatican Press, Vatican City 1992; World Development and Economic Institutions, Atti del II Seminario di economisti organizzato il 4 gennaio 1993, Vatican Press, Vatican City 1994. Entrambi i Seminari sono stati possibili grazie alla collaborazione dei professori Ignazio Musu e Stefano Zamagni, esperti del Pontificio Consiglio.