Testimonianza di Sveva della Trinità, Eremita diocesana

test svevaMa cosa fai tutto il giorno?… Non ti annoi?… Ce l’hai la televisione?… E le galline le hai?… Provo a rispondere a queste che sembrano essere, statisticamente, le domande più urgenti da porre a un eremita.
Cosa faccio tutto il giorno? Sto col Signore. Mi prendo cura di Lui e lascio che Lui si prenda cura di me. Non è scontato: quante volte vorrebbe raccoglierci come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali ma non lo lasciamo fare! (cfr. Mt 23,37)
Quella a cui sono chiamata è una vita di preghiera – in cui si alternano lectio divina e lavoro; meditazione e suono dell’arpa, strumento di lode; studio e adorazione eucaristica, nel silenzio continuo e fecondo – aperta, in alcuni momenti settimanali e in determinati periodi dell’anno liturgico, all’accoglienza dei fratelli. Una vita monastica scandita giorno e notte dalla Liturgia delle Ore, che vuole al centro il primato di Dio, in cui tutto trova senso, anche le faccende più comuni e quotidiane. Fare tutto per Lui, con Lui e in Lui, respirando alla sua presenza, anticipa ciò che saremo nell’eternità: come annoiarsi? Non siamo chiamati alla noia eterna ma alla pienezza della vita e della gioia, quella che Gesù promette e che dona già qui, su questa terra, a chi lo accoglie. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9), questo chiede: per il resto fa tutto Lui, ve lo assicuro.
Quando un fratello bussa alla porta dell’eremo è bello sedersi allo stesso tavolo, come in famiglia, e ascoltare il cuore: nella Verità di uno stare insieme autentico, privo di maschere, in cui ognuno possa vivere la libertà di essere se stesso, senza sentirsi giudicato ma accolto e amato per quello che è, di quell’amore di cui solo Gesù è capace e rende capaci. Solo l’amore cambia, fa ripartire, rende nuova creatura.
Nessuno va al Signore da solo, tantomeno un eremita: uno che, senza nessuna marcia in più, è chiamato a vivere nel cuore della Chiesa, a camminare minuto per minuto con il popolo di Dio. Solitudine densa di presenze: ogni fratello, spesso ignaro, viene custodito nel cuore e nella preghiera, anche togliendo l’erba dall’orto o pelando le patate: quanti nomi, quanti volti, quanta vita… Sola? Non direi proprio. Felice sì, tanto, e grata anche per questa benedetta povertà, che libera il cuore da ogni attaccamento per aprirsi all’Unico Necessario: perché di tutto si può fare a meno per essere veramente felici, tranne che di Dio.
E io mi fido di Lui, perché sa di quali cose abbiamo bisogno, e se si decide di metterlo al primo posto tutto il resto viene in aggiunta. È Gesù a dircelo: ci possiamo credere. Nel distacco da ogni forma di possesso, da ogni bene materiale, ma anche culturale e spirituale, riposa la più grande libertà. Non c’è nulla che io possa dire mio, neanche me stessa: tutto è dono ricevuto, patrimonio di ogni piccolo e della Chiesa intera. Ma in questo vuoto di tutto, quanta Pienezza…
Ecco, tutto qui. Niente di straordinario, tutto molto normale. La bellezza di questa vita è data dalla sua ordinarietà, nel nascondimento, nel silenzio, nell’essere dimenticati dal mondo che conta, nell’occupare l’ultimo posto, quello che nessuno vuole: nella logica del mondo nessuno farebbe a cambio con me e io invece ci sto così bene! Sto all’ultimo posto ma ci sto da regina. Com’è bello condividere questa condizione di marginalità con tutti i fratelli della terra che agli occhi del mondo del potere – a quelli della politica malamente intesa, a quelli dell’economia che dimentica il bene comune, a quelli della moda e dello spettacolo, consacrati non alla lode della Bellezza eterna ma al misero culto dell’apparire (subdolo idolo dei nostri giorni) – non valgono niente. Ma agli occhi del Padre non è così e per ciascuno Gesù ha dato la vita.
A questo amore continuo ad affidarmi, alla sua fedeltà, alla sua grazia. E mi affido alla Chiesa, specialmente a quella di San Marino-Montefeltro, dove il Signore ha voluto riportarmi. In questa Chiesa sono venuta al mondo. Qui, nello spazio minimo – ma com’è ampio il cielo su quelle zolle! – che unisce Santa Maria d’Antico e Antico Altosono rinata nel Battesimo e ho ricevuto la grazia della Prima Comunione (e una parte di me è ancora là: li conosco palmo a palmo i miei boschi…).
Qui, molto presto, ho avvertito la chiamata del Signore: voce inconfondibile, che non mi ha più lasciato. Qui ho potuto muovere i primi passi nella vita eremitica e professare i consigli evangelici. Poi, il 10 maggio, la grazia del “per sempre” come eremita diocesana. Da qui spero partire per la nascita definitiva: il faccia a faccia con il Signore dei miei giorni. Senza fretta, quando Lui vorrà.
È talmente incontenibile la gioia e tanta la gratitudine che ancora non mi capacito, e continuo a domandarmi e a balbettare al Signore: «Perché a me? Perché un dono così grande a questa poveretta?»… Come la rosa che, dice Silesius, fiorisce perché fiorisce, così l’amore: ama perché ama, ama per amare, non sa fare altro.
Per questo amore vorrei fiorire anch’io, come Maria, nel giardino bellissimo della mia Chiesa. Così: senza nulla davvero, se non l’Amore Uno e Trino che mi sostiene e mi conduce. Tutto. Senza annoiarmi, senza televisione, senza galline… e anche senza un perché – misterioso disegno di pura gratuità ‒, radicata nel cielo della mia terra