“La restaurazione dell’immagine”
Secondo S. Bonaventura, dopo il peccato, l’uomo ha perso la “condizione di integrità, di innocenza e pienezza del primo uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio” (V.C. Bigi, Studi sul pensiero di S. Bonaventura, Ed. Porziuncola, 1988, p. 277), ma può recuperare, riconquistare, restaurare lo “splendore dell’immagine e somiglianza divina” (V.C. Bigi, ibidem, p. 281) attraverso il divenire incessante di un cammino spirituale.
Questa aspettativa è racchiusa nell’essere creatura. Infatti la parola “creatura” deriva dal participio futuro del verbo creare, perciò ha in sé il senso del tempo che ha una prospettiva nel futuro che verrà. S. Bonaventura dice: “Ora siamo inizio di creatura, ma allora saremo creatura completa” (S. Bonventura, La sapienza cristiana, Collationes in Hexaemeron, Coll III) e S. Francesco addirittura considera “un retrocedere il non progredire sempre” (FF 743).
Un “cammino di elevazione progressiva che ci restituisce la pienezza primitiva… è una conquista personale attraverso un succedersi graduale di esperienze subordinate le une alle altre, espresse e promosse da un discorso aperto alla luce divina” (V.C. Bigi, ibidem, p. 276-277).
L’itinerario bonaventuriano “impegna tutto l’uomo, non solamente la sua intelligenza” (V.C. Bigi, ibidem, p. 280).
L’uomo è spirito incarnato e si forma incessantemente lungo il corso della sua vita attraverso la somma delle sue esperienze e delle sue azioni in cui si esprimono anche valori che riguardano l’emotività e l’affettività.
Ma l’occhio dell’uomo “accecato” (S. Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum, cap.1, n. 7) dal peccato non vede il cammino da percorrere se non è accompagnato da Cristo che gli fa recuperare la “vista spirituale” (S. Bonaventura, ibidem, cap. 4, n. 3) oltre agli altri sensi spirituali.
Cristo è la porta, è l’unico mediatore tra Dio e l’uomo. Agendo in comunione con Lui, mediante l’interazione tra grazia e natura, l’uomo è chiamato a riprodurre nel modo più perfetto possibile il suo modello. Sorpassandosi continuamente viene assimilato sempre più a Lui.
In tutte le fasi del cammino il Verbo conduce, purifica, illumina, perfeziona lo spirito dell’uomo per la “restaurazione” (S. Bonaventura, ibidem, cap. 4, n. 4) in esso dell’immagine divina.

Le creature attorno all’uomo
Anche nelle creature irrazionali c’è un’attesa di futuro, ma la loro speranza è riposta fuori di esse, nella conversione dell’uomo. Ce lo ricorda S. Paolo: “L’ardente aspettativa della creazione, infatti è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19). Grazie ad essi la creazione perviene alla grazia e diviene cieli nuovi e terra nuova.
L’uomo ha “la possibilità religiosa che consiste nell’accorgersi e trovare Dio come misteriosa e luminosa presenza santa e sacra, svelata e velata insieme dai fenomeni e dalle esperienze del mondo e della coscienza” (V.C. Bigi, ibidem, p. 282).
“Questa esperienza religiosa è altamente qualitativa per l’uomo; S. Bonaventura la dice possibile, non necessaria, in quanto l’uomo può rifiutarla o trascurarla scadendo in piani di coscienza sempre più esteriorizzata e materializzata” (V.C. Bigi, ibidem, p. 286).
Nella rottura tra l’uomo e Dio c’è la rottura tra l’uomo e il mondo “onde l’uomo non è più in grado di leggervi il significato genuino inteso dal Creatore” (V.C. Bigi, ibidem, p. 279).
S. Bonaventura rimpiange con nostalgia e ripropone nel futuro quello stato felice precedente il peccato, quando l’uomo aveva “cognizione delle cose create e, mediante la loro rappresentazione, si portava in Dio per lodarlo, venerarlo, amarlo. Per questo appunto sono le creature e, pertanto, così si riconducono in Dio.” (S. Bonaventura, Coll XIII).
Il mondo “è ricco di indicazioni se l’uomo le sa decifrare. Certo, se l’uomo rimane fermo nella sua situazione di colpa, scaduto e diminuito, non è in grado di cogliere questo significato simbolico che la realtà creaturale gli offre, risultando così cieco, sordo, muto e stolto” (V.C. Bigi, ibidem, p. 282).
La creazione è il primo “libro” scritto da Dio, ma l’uomo lo può comprendere solo alla luce di Cristo che rende possibile la conoscenza come la luce naturale rende possibile la vista dei colori. Senza la luce di Cristo l’uomo guarda e non vede, ma se vede il mondo con gli occhi di Cristo esplode in un canto di lode.
Nel Cantico delle Creature non sono le creature a lodare Dio, come invece accade nel brano di Daniele (Dn 3,57- 81). È l’uomo Francesco che esprime la sua lode a Dio attraverso le creature. È l’uomo il protagonista della lode! È l’uomo che vede in esse il simbolo di Dio! È l’uomo che legge e interpreta le parabole scritte nel “libro” della natura!
Questo libro, “morto e cancellato” (S. Bonaventura, Coll XIII) a causa del peccato, è vivo nel cuore di S. Francesco che lo sa leggere. Egli dialoga con le creature, “quasi novello Adamo innocente… è aperto ad un esperire qualitativo del mondo in cui sa cogliere il vestigio della Parola creatrice” (V.C. Bigi, ibidem, p. 283).
Per esempio egli dice: “La sorella allodola… è un umile uccello che va volentieri per le vie a cercarsi qualche chicco. Se anche lo trova nel letame, lo tira fuori e lo mangia. E volando loda il Signore, proprio come i buoni religiosi che, guardando dall’alto le cose terrene, vivono sempre rivolti al cielo… Mirando questi pregi nelle sorelle allodole, il beato Francesco le amava molto e le vedeva volentieri” (FF 1560, CA n.110).
Il Santo d’Assisi vede nelle creature “un segno, un simbolo della potenza, sapienza, bontà del Creatore.” (V.C. Bigi, ibidem, p.284). Vede l’autoespressione di Dio.

Graziella Baldo

ISSN1974-2339