L’incontro oltre l’abisso
“Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue so le laude, la gloria e l’onore e onne benedizione. A te solo, Altissimo, se confano e nullo omo è digno te mentovare…” (FF 263).
Queste parole di apertura del Cantico delle creature riconoscono la grandezza di Dio, ma soprattutto l’abisso che lo separa dall’uomo al quale è preclusa perfino la possibilità di nominarlo.
S. Francesco afferma che “il Padre abita una luce inaccessibile” (FF 141), ma è possibile superare questo abisso attraverso Cristo che dice: “Chi vede me vede il Padre mio”.
S. Bonaventura specifica che la Parola eterna è assolutamente sproporzionata (“improportionabilis omnino”) e perciò incomprensibile all’uomo a causa della sua debolezza che è accresciuta dal peccato.
Per congiungere l’uomo a Dio il piano divino, espresso nella Scrittura, ha previsto l’incarnazione- abbassamento. Con questo atto di degnazione massimamente eccedente (“incarnatio Dei est superexcedentis dignationis”) il Verbo eterno si umilia ponendosi alla misura dell’uomo.
L’uomo è la creatura più indigente, la più povera, perché il suo spirito ha bisogno di trovare compimento, ma la più ricca potenzialmente, perché può diventare simile a Dio e trovare in Lui la pace dello spirito. Però “nessuno… può entrare in sé, perché in sé si diletti del Signore, se non mediante Cristo che dice: “Io sono la porta” (S. Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum, cap IV, 2).
Cristo assume la funzione di unico mediatore tra l’uomo e Dio in quanto in lui la natura umana è unita alla natura divina; pertanto può essere termine medio tra l’uomo e Dio, e manifestare il mistero di Dio in modo comprensibile per l’uomo.
Nel disegno di Dio il Verbo si è commisurato all’uomo per congiungerlo al Padre (“fontale principium”), si è fatto carne per dirigere l’uomo verso il Padre, si è avvicinato all’uomo, gli ha rivelato il Padre dandogli la possibilità di conoscerlo, di amarlo e di entrare con Lui in una comunione personale che conferisce all’uomo una grande dignità.

Il corpo di Cristo
La risposta dell’uomo al piano di Dio consiste nel conformarsi sempre più a Cristo di cui è immagine dinamica e non statica, cioè in un divenire che si sorpassa continuamente, poiché la vita è un incessante succedersi di esperienze.
Secondo S. Bonaventura la vita dovrebbe essere un itinerario verso il Padre attraverso Cristo che si è incarnato nella povertà (cfr. FF 182) dando nuovi orizzonti da percorrere per avvicinarsi al mistero dell’Amore.
È per vivere come Cristo povero che il Santo pone a fondamento del cammino spirituale “l’eccellenza dell’altissima povertà” (FF 90) che libera da ogni ostacolo che si frapponga tra sé e Dio.
S. Francesco rivolge tutta la sua attenzione alla contemplazione- imitazione del divino nel corpo di Cristo, in cui si manifesta il mistero dell’Amore “eccedente di Dio”.
L’interiorità di Cristo si rivela col suo corpo, cioè col suo agire, col suo linguaggio, con i suoi miracoli per i quali pronuncia parole, con la sua dottrina che è pensiero espresso con la voce, con i suoi atteggiamenti, con la scelta della povertà, della croce…
La morale non è l’ultimo termine del rapporto con Cristo, ma lo è la relazione personale con Lui nel conformare le nostre azioni alle sue.

“La grande esperienza”
L’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” pone in risalto l’importanza del rapporto esperienziale con Cristo per la formazione-maturazione della persona umana. Tale Esortazione ritiene fondamentale la grande esperienza che sostiene la vita cristiana. È l’esperienza a cui si riferisce il “primo annuncio”: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (EG 164).
L’Esortazione Apostolica “Christus Vivit” ribadisce: “Egli vive!” (CV 124). Dialogando con Cristo vivo e seguendolo nella concretezza della vita si può fare la grande esperienza, l’esperienza fondamentale per diventare cristiani (cfr. CV 129); possiamo realizzare quel progetto che Dio ha su ogni persona colmandola del suo Amore, della sua luce, della sua forza (cfr. CV 130).
La scuola francescana insiste sempre sul principio fondamentale che è l’Amore svelato dal Figlio incarnato.
L’incarnazione è voluta liberamente da Dio per la manifestazione totale dell’Amore infinito. Il discendere della luce eterna ci consente di compiere un cammino di ascesa verso Dio e ci introduce nella Trinità.
Il senso della nostra vita diventa l’accoglienza dell’Amore divino riversato nei nostri cuori come proclama S. Francesco rivolgendosi al Dio Altissimo: “Tu sei la nostra carità” (FF 261). Così il tempo entra nell’eternità e l’abisso è colmato da Cristo rivelatore.

Graziella Baldo