Il referendum sulla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, proposta dall’Associazione Luca Coscioni è inammissibile dunque non ci sarà. La Corte Costituzionale ha così deciso sulla consultazione denominata “Abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente, che punisce con la reclusione da 6 a 15 anni chi procura la morte di una persona con il suo consenso.)”, in quanto – così riporta l’Ufficio comunicazione in attesa del deposito della sentenza – “ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. In sintesi se vincessero i sì, le norme che resterebbero in piedi non assicurerebbero sufficiente tutela delle persone più fragili. L’associazione Coscioni si è detta delusa e preannuncia il proseguimento della sua battaglia. L’intenzione dei promotori, che avevano raccolto 1 milione e duecentomila firme, era arrivare all’eutanasia appunto con la parziale abrogazione della legge sull’omicidio del consenziente, esclusi alcuni casi specifici. Nell’eventualità di consenso dato da minore, o da persona inferma di mente oppure carpito con inganno, si sarebbe proceduto comunque per omicidio doloso. Ora restano altri sette referendum da approvare o meno: il prossimo sulla legalizzazione della cannabis con le 630mila firme raccolte, poi 6 su temi legati alla riforma della giustizia.
Il Papa: la vita è un diritto, non la morte
Sulla decisione della Consulta, se la politica si divide, i vescovi, come l’Associazione Scienza e Vita e i Giuristi cattolici, plaudono. “Prendiamo atto con favore – scrive la Cei in una Nota – di tale pronunciamento. È un invito ben preciso a non marginalizzare mai l’impegno della società, nel suo complesso, a offrire il sostegno necessario per superare o alleviare la situazione di sofferenza o disagio”.
In questa occasione i vescovi italiani rilanciano le parole pronunciate da Papa Francesco durante l’udienza di mercoledì 9 febbraio scorso: “La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”. Occorre rivolgere – spiegano ancora i presuli – “maggiormente l’attenzione verso coloro che, in condizioni di fragilità o vulnerabilità, chiedono di essere trattati con dignità e accompagnati con rispetto e amore”.
Di decisione “giustificata” e “comprensibile” parla don Renzo Pegoraro cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita:
L’abrogazione dell’articolo che vieta l’omicidio del consenziente avrebbe aperto uno scenario di impossibilità a proteggere ogni vita umana e alla garanzia di ogni soggetto, in qualsiasi situazione.
Perché era abrogativo, quindi, vuol dire togliere un divieto, un reato, lasciando aperta la possibilità di omicidio in tutte le situazioni.
È una scelta di saggezza etica da riconoscere?
Ma anche di saggezza giuridica, e di coerenza giuridica, di un diritto che si pone come garanzia di tutela della vita umana.
Questo comporta, comunque, che tutto ritorni in mano al Parlamento e dunque si proceda a elaborarla una legge…
Adesso il Parlamento è chiamato in causa sulla questione del cosiddetto suicidio medicalmente assistito, condizione già aperta, in questo caso, potremmo dire purtroppo dalla Corte Costituzionale che ha già ammesso che alcune situazioni molto definite e ristrette di suicidio assistito, possono essere ammesse perché non più reato. E quindi il Parlamento si trova a dover decidere su questa situazione che si è venuta a creare.
Bisognerà sperare che la legge sia la migliore possibile, con tutti i timori che anche la Chiesa ha manifestato…
La Chiesa riafferma il rispetto di ogni vita umana, riafferma il no al suicidio, quindi anche il suicidio assistito. La sua posizione, i suoi valori e i suoi principi morali, sono costanti e richiamati anche più volte da Papa Francesco. Una cosa sono le cure palliative, l’assistenza, il no all’accanimento, e altra cosa è causare la morte di un malato o aiutare al suicidio della persona. La Corte lo ha reso possibile, a certe definite e ristrette condizioni, e adesso il legislatore dovrà intervenire. E si apre tutta una discussione su quale soluzione trovare.
Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Il Cantico
ISSN 1974-2339
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