Brevissimi reportage e frammenti di cronaca in forma di poesia. È l’idea che anima la raccolta di liriche firmate dalla giornalista Stefania Falasca, editorialista di ‘Avvenire’, che è stata presentata il 26 gennaio, nella sede dell’Associazione della stampa estera a Roma (diretta live-streaming su stampaestera. org/live/exitinere.html) in un evento di straordinario rilievo fra letture e musica dal titolo: ‘Ex itinere. Poesia in tre tempi tra Occidente e Oriente’. Ex itinere è anche il titolo del libro, edito da Lev (pagine 96, euro 14). Si tratta di testi meditati e scritti sul filo dei viaggi, spesso al seguito di papa Francesco, compiuti negli anni in vari luoghi del mondo, capaci con poche immagini di immergere il lettore nelle grandi ferite dell’umanità in realtà come l’Amazzonia, il muro al confine fra Usa e Messico, le favelas brasiliane, i campi profughi in Cisgiordania e Grecia, e poi Beirut, Istambul, Najaf, Auschwitz. Poesie per non dimenticare, per fare memoria, ma sempre gettando semi di speranza.
La scrittrice Edith Bruck, sopravvissuta alla Shoah, ne ha scritto la Prefazione che di seguito pubblichiamo.

Questi versi itineranti di Stefania Falasca attraversano il mondo. Ciò che colpisce il lettore, almeno me, è la scrittura che sembra incisa sulla carta: luoghi, toni biblici e storici, Dio. E le parole, la potente voce delle parole che pur nella loro semplicità hanno peso specifico e suonano definitive, come l’urlo di Munch sulla tela: notte, luce, bianco, solo, mare, miseria, radici. Aderiscono sulla carta, quasi attecchiscono, come se avessero una loro vita e narrano in molte lingue un’umanità vicina e lontana, e incontri e fedi profondamente radicati nei secoli, dipingendo realtà che sembrano vergognarsi a emergere, quasi che tutti quei mali elencati riguardassero coloro che soffrono e noi: le favelas, i bambini della strada, i rifugiati, memorie, silenzi e paesaggi muti che emanano malinconia con improvvisi raggi di luce solare. La parola ‘buio’ è nera e alla fine di certe poesie non solo si legge ma si sente il buio, come si sente il bianco avvolgere. C’è qualcosa di interminabile in questi versi, testimonianza del visto come se i vari mondi, pur essendo in perenne subbuglio, sono immoti. L’itinerario del tutto personale dell’Autrice. è illuminato dal suo sguardo acuto e allo stesso tempo sfuggente. Con ciò che ha visto e ascoltato è come se avesse fatto un percorso infinito e solitario, interiore, a tratti inafferrabile, ma solido e impresso sulle pagine come timbro, da un luogo all’altro.

Dalla Prefazione di Edith Bruck

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata