papajpegSono trascorse solo poche ore dall’ultimo sbarco di migranti a Lampedusa – l’ennesimo barcone in difficoltà con a bordo 166 persone, quando il Papa approda al molo Favarolo, dove sbarcano i migranti, sulla plancia di una delle due motovedette della Capitaneria di porto che in otto anni hanno tratto in salvo dal mare più di 30 mila persone.
Come Gesù seguito dai suoi discepoli sul mare di Galilea, “Pietro” sta diritto accanto al timone, nel suo viaggio verso la periferia esistenziale d’Italia. È scortato da più di duecento pescherecci che solcano il mare nell’azzurro terso di una splendida giornata di sole, nell’isola il cui nome significa lampada, faro a ragione dei fuochi d’avviso per avvertire di notte i naviganti a tenersi lontani dagli acuti scogli che la circondano. Isola che è faro di speranza, luce di salvezza, anche oggi.
Prima di giungere al molo Papa Francesco sosta per un breve momento di raccoglimento e lancia una corona di crisantemi presso la “porta d’Europa” di Punta Maluk, in ricordo delle tante persone che hanno perso la vita in questo braccio di mare nel tentativo di raggiungere l’Italia e una vita migliore. Sceso sul molo stringe la mano, ad uno ad uno, a tutti gli immigrati presenti, molti musulmani, in maggioranza ragazzi, li saluta sorridendo, li guarda negli occhi scambiando con loro parole d’affetto. Come spiega nel suo breve intervento, Francesco vuole dare a questa giornata a Lampedusa un senso di preghiera e, nel ricordo di quanti sono morti, un senso di vicinanza alle loro famiglie e alla popolazione di questa piccola isola che generosamente si fa carico del difficile compito di accoglierli.
Un giovane immigrato saluta il Papa in dialetto arabo: «Siamo fuggiti dal nostro paese per motivi politici ed economici, per arrivare in questo luogo tranquillo abbiamo sfidato vari ostacoli, siamo stati rapiti dai trafficanti… Abbiamo sofferto tantissimo per arrivare in Libia… Siamo costretti a rimanere in Italia. Ma vorremmo che altri Paesi europei ci accogliessero ». Papa Francesco ascolta in silenzio, sorride, sta vicino, semplicemente si fa prossimo.
È stata la notizia degli «Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte», a spingere il Papa ad andare a Lampedusa. «Quando ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta – ha detto Francesco –, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza ». E allora «ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare – ha aggiunto –, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta». Si è poi rivolto agli immigrati musulmani, salutandoli con l’espressione dialettale lampedusana «o’ scià» (tipica forma di saluto che significa «o fiato»), con l’augurio di abbondanti frutti spirituali per l’inizio del Ramadan, assicurando: «la Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie».
La messa, a carattere penitenziale è stata celebrata nel campo sportivo; le letture: il peccato originale («Adamo, dove sei?»), Caino e Abele («dov’è tuo fratello?»), la strage degli innocenti (e la fuga dal proprio paese di Maria e Giuseppe con il piccolo Gesù) e il salmo Miserere, scandito da quattro parole: «Perdonaci, Signore, abbiamo peccato». «Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! – afferma il papa – Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito».
I testi sacri sono pronunciati da un ambone fatto con due pale scrostate e una ruota da timone recuperati da un naufragio e sotto l’altare cinque pani e due pesci ad evocare quell’indicazione evangelica di Gesù ai suoi discepoli, «Date loro voi stessi da mangiare», divenuta quotidianità per gli abitanti di questa piccola isola. Il pastorale del pontefice e il calice dell’Eucaristia intagliati nel legno dei relitti che si vedono ancora affianco all’altare.
«Signore, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle ammonisce Francesco ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel suo benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono, Signore». Si cela dietro questa indifferenza il dramma di tanti morti in mare: 19mila in vent’anni nelle acque del Mediterraneo. «Siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza – scandisce Bergoglio – la cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza ».lampedusajpeg
Il grido diventa ancora più forte quando il Papa risveglia la coscienza di tutti: «La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto». Poi si è scagliato contro la società «che ha dimenticato l’esperienza del piangere ». «Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto? Chi ha pianto oggi nel mondo?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile dell’altro, del fratello, «abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna» è la denuncia forte di Francesco.
Dopo la messa, il Papa ha raggiunto la parrocchia di San Gerlando, dove ha incontrato alcuni migranti, un gruppo di cittadini di Lampedusa e il sindaco. Presente all’incontro anche don Stefano, il parroco che lo aveva invitato nell’isola. Uscendo dalla chiesa, il Pontefice ha salutato i lampedusani chiedendo loro di «proseguire in questo atteggiamento tanto umano quanto cristiano» infine ringraziandoli anche per la loro tenerezza.
Dall’inizio del 2013 ci sono stati circa 4.000 arrivi a Lampedusa, l’isola così vicina all’Africa è il primo approdo europeo. Purtroppo è stata condotta una politica tesa a negare questa realtà, dichiarando il porto «non sicuro» e non restaurando i centri di accoglienza. Anzi l’inadeguatezza delle strutture conduceva a gravissimi disagi per gli abitanti dell’isola e i rifugiati. Bisogna riconoscere Lampedusa come la grande porta dell’Europa verso il Sud. Occorre un’assunzione europea della responsabilità verso i flussi diretti al continente. Lampedusa è realmente e simbolicamente la porta di accesso all’Europa, la porta di una casa comune, non solo un lembo d’Italia.
Sorprendentemente papa Francesco compie nella periferia italiana il primo viaggio fuori Roma. La sua scelta è stupefacente, si reca sull’estrema frontiera meridionale dell’Europa. Questi lembi d’Italia sono stati per un millennio una frontiera storica, quella della finis christianitatis a contatto con l’islam. È stato un confine segnato da tanti scontri, spesso un muro immateriale ma reale tra due mondi antagonistici. Oggi, con le rivolte arabe, i recenti fatti in Egitto e la guerra in Siria, il Mediterraneo è nuovamente tormentato. Il grande Sud, con i suoi drammi umani e sociali che provocano le migrazioni, il terrorismo e la grande povertà chiama alla responsabilità di ciascuno di noi. Francesco va da Papa verso Sud. Non va a consacrare una frontiera, ma a pregare per i caduti in mare. Getta così il suo sguardo sulle miserie dell’uomo di oggi e lo fa a partire dal dolore dei migranti e dall’impegno di chi li accoglie come fratelli cercando di rompere con la condivisione il muro dell’indifferenza. Nel suo viaggio ha tagliato tutte le formalità protocollari di una visita papale, vuole scendere nelle profondità del dolore che si concentra in quest’isola, un pellegrinaggio verso il dolore del Sud del mondo. Per l’arcivescovo di Agrigento, monsignor Montenegro: «Lampedusa è divenuta “luogosimbolo” di un bisogno di giustizia che riguarda milioni di figli di Dio che non può più essere taciuto ».
Il Papa stesso al termine dell’omelia conclude dicendo: «Voglio ringraziare una volta in più voi, lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. Il Vescovo ha detto che Lampedusa è un faro. Che questo esempio sia faro in tutto il mondo, perché abbiano il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore.
Il messaggio che Papa Francesco lancia con la sua visita dando voce a milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case, ricorda i diritti che spettano ai perseguitati, ai poveri, agli ultimi. Francesco, figlio di migranti, chiede che «tutti possano vivere con dignità», il suo appello a ciascuno di noi è il farsi prossimo degli ultimi della terra, il farsi fratello nella condivisione e nella solidarietà. Un appello che parte da un esempio, Lampedusa, piccola isola di una regione particolare che soffre di tante povertà, dove però nel cuore degli uomini è iscritta da sempre la legge dell’accoglienza poiché è nel dividere che si moltiplica.

Maria Rosaria Restivo