La scelta di Francesco d’Assisi e della fraternità minoritica fu quella di vivere secondo la forma del santo Vangelo e di conseguenza si caratterizza per una povertà dell’apologia, ossia rifuggire esibizionismo e ostentazione mantenendo una basso profilo. Con la morte dell’Assisiate la sera sabato 3 ottobre 1226, e quindi liturgicamente già nel giorno di domenica che in quell’anno cadeva il 4 ottobre, inizia la costruzione della memoria e del ricordo; tale processo avrà un forte incentivo dal momento della canonizzazione – che consiste nel riconoscimento canonico della santità, da non confondere con la santificazione opera dello Spirito Santo – ad opera di papa Gregorio IX nel luglio 1228. Infatti l’iscrizione di Francesco di Pietro di Bernardone nel catalogo dei santi è un gesto principalmente teologico e la stessa vita del nuovo santo scritta da Tommaso da Celano è una lettura teologica della storia che però non elimina la storia cadendo nel mito.
La canonizzazione richiede anche di avere i testi liturgici per poter celebrare san Francesco e li comporrà frate Giuliano da Spira attingendo anche dall’ufficio di san Martino di Tours; così come quest’ultimo anche l’Assisiate è descritto povero e umile che entra ricco nel regno dei cieli. In questo modo la povertà è centrale mentre frate Francesco nel Testamento afferma che determinate per il suo cambiamento di vita fu il fare misericordia con i lebbrosi (cfr. P. Messa, Francesco il misericordioso, Milano 2018) (immagine san Francesco lava i piedi ai lebboris). Non meraviglia che con il passare del tempo la povertà sarà ostentata ed esibita dai frati Minori come eccellenza della loro vita rispetto a quella degli altri ordini religiosi. In questo modo si passò dalla povertà dell’apologia all’apologia della povertà di cui una delle espressioni è il Sacrum commercium beati Francisci cum domina paupertate e il dipinto della volta sovrastante la tomba del santo rappresentante proprio tale alleanza (immagine san Francesco e povertà) da alcuni definita persino come un matrimonio.
Le obiezioni a tale primato della povertà personale e comunitaria non mancarono soprattutto da parte dei maestri secolari dell’università di Parigi che affermavano essere impossibile da viversi avendo bisogno l’uomo di beni per la sussistenza. I frati risposero prontamente che tale voto di povertà è praticabile e quindi può durare nel tempo e per darne la dimostrazione parlarono a lungo di beni e denaro. Innanzitutto affermarono che essi usavano delle cose necessarie ma senza possederle e così posero la distinzione tra proprietà e uso.
Il semplice uso delle cose però era percepito da molti come un abuso giungendo persino ad affermare che i Minori non possedevano nulla ma usavano tutto. E così anche alcuni frati affermarono che la rinuncia al dominio non bastasse per essere veri seguaci della povertà insegnata da san Francesco e che era necessario un uso povero, che in termini attuali si potrebbe dire anche sobrio.
Allora l’autenticità dell’osservanza della regola minoritica non è data dall’aver rinunciato alla proprietà ma dal modo in cui si usano i beni; da questo il passo a dire che anche i ricchi possono vivere in modo evangelico a seconda del modo di usare i loro possedimenti fu facile.
Gli stessi frati – denominati spirituali – che dichiaravano la necessità dell’uso povero per essere autentici seguaci di san Francesco predicavano che pure i possidenti come i mercanti potevano vivere una vita virtuosa se mettevano i loro beni a servizio del bene comune, soprattutto dei più bisognosi. E certamente tra quest’ultimi vi erano i medesimi frati sostenitori che l’osservanza della regola minoritica esigesse non solo la rinuncia alla proprietà ma anche all’uso di fatto in favore dell’uso povero.
Volendo vivere l’altissima povertà i frati Minori sono costretti a parlare e ragionare molto sui beni e così elaborano un pensiero che sarà un riferimento per quella che oggi è definita l’etica economica.
Il mercante non è più condannato a motivo dei suoi possedimenti ma essi stessi possono diventare mezzo per la sua santificazione se usati con professionalità per il bene comune; nel caso si trovi in difficoltà va sostenuto perché non fallisca – e a questo scopo si fondano i Monti di pietà (mettere immagine verso il monte di pietà) –, ma se è un incapace è bene che chiuda il prima possibile la sua attività così che altri più capaci prendano il suo posto.
La stessa predicazione dei frati contro il lusso, gli strascichi, i monili preziosi, le capigliature eccessive della donne e il vizio del gioco degli uomini è per motivi economici più che contro la vanità: infatti il denaro deve essere usato non per realtà infruttuose ma in modo produttivo così che ne possano beneficiare tutti.
Finché ricchezza e bene comune sono uniti l’attività mercantile rimane nell’alveo evangelico ma quando si separano a profitto della singola persona ecco che prende avvio un sistema che conduce a esiti simili a quelli odierni ossia di una forbice che si allarga con pochi ricchi e molti poveri. Le conseguenze non sono solo a livello economico e finanziario ma anche ambientale e sociale; per questo il pensiero francescano è un riferimento importante nell’enciclica Laudato sì di papa Francesco.
p. Pietro Messa ofm
Pontificia Università Antonianum