Scuola di Pace, Roma 3-5 gennaio 2014

Testimonianza di p. Domenico Domenici ofm

La Scuola di Pace si e aperta al Convento di S. Francesco a Ripa con la testimonianza di P. Domenico Domenici, responsabile del Progetto RIPA (Rinascere Insieme Per Amore) di recupero e di reinserimento nella società di persone duramente provate dalla vita con esperienze varie di sofferenza e di disagio, che hanno trovato nella fraternità la forza per impegnarsi e così scoprire il bene nascosto dentro di loro. Riportiamo la sintesi dell’intervento di p. Domenici.

L’accoglienza
ripajpeg 1La Fraternità dei Frati del Lazio da due anni e mezzo vive qui, nel convento di S. Francesco a Ripa, un’esperienza che è un ritorno allo spirito delle origini, quando Francesco d’Assisi e i primi compagni vennero a Roma e condivisero la vita cristiana e fraterna con alcuni fratelli poveri che trovarono qui.
Il progetto di accoglienza è nato nell’ultimo Capitolo Provinciale dei Frati Minori. Tale progetto si fonda su un’idea di base: noi frati non vogliamo “fare qualcosa per i poveri”, “offrire qualcosa ai poveri”, “dare una mensa o un letto”, ma vogliamo accogliere, all’interno di relazioni fraterne, persone che vivono in strada, che sono sole senza una famiglia o una casa, che provengono dal carcere… o sono comunque state provate duramente.
Stiamo sperimentando che questa è un’opportunità vera, concreta, per costruire insieme una vita relazionale. Viene offerto così un modo per riprendere in mano la propria vita, per sanare le ferite, per superare le difficoltà che hanno portato a vivere l’esperienza della strada, per rimettersi in cammino e ripartire in maniera autonoma.
Le persone accolte attualmente sono di quindici nazionalità diverse. L’ultimo ragazzo arrivato fa parte del popolo curdo ed è vissuto in Siria dove ha assistito alla decapitazione del padre e del fratello, ed ora la madre con i fratelli più piccoli è rifugiata in Turchia.
L’accoglienza si basa sulla convinzione che la persona che vive sulla strada ha un’idea negativa di se stessa, per propria responsabilità o perché la vita l’ha profondamente ferita, per cui crede di non poter più pensare al bene. L’esperienza della strada porta ad atrofizzare le risorse positive che una persona ha sempre dentro di sé e che noi frati vogliamo portare alla luce. Si pensi al ladrone che, nel momento in cui il suo sguardo incrocia quello di Gesù, si apre alla fiducia, riconosce la propria realtà, assume la responsabilità di ciò che ha fatto e si sente dire da Gesù: “Oggi sarai con me in paradiso”. Il ladrone attraverso gli occhi di Gesù ha ritrovato in sé una possibilità, un’umanità, una ricchezza che la persona non perde mai anche se, a volte, non ne ha consapevolezza. La vita relazionale la porta a scoprire ciò che ha dentro di sé.
In questo processo l’input iniziale è molto importante. Quando una persona disperata bussa alla nostra porta incontra chi le dice con lo sguardo che è contento che abbia bussato, la fa entrare, parla con lei e le dona il suo tempo. Dopo il primo approccio e il primo momento di rapporto, se si ritiene opportuno accoglierla, alla persona viene fatta la proposta di intraprendere insieme una vita di famiglia. Il secondo gesto significativo è la consegna delle chiavi. È un segno di fiducia verso un fratello che è venuto a chiedere. Non servono le parole, ma è importante la gestualità che non si riduce ad atti di pura cortesia ma è come dire: “Vieni, cominciamo a camminare insieme!”.
In base alle attese o alle necessità, gradualmente viene elaborato un progetto personale. È così che la persona si inserisce in maniera costruttiva all’interno della casa, diventa creativa, per esempio nel dare un tocco particolare preparando la mensa, nel provocare relazioni…
Il cammino non ha un tempo predeterminato: finisce quando la persona ha raggiunto una sua autonomia interiore ed è in grado di vivere per conto proprio.

La forza rigeneratrice della fraternità

La vita relazionale crea una fraternità che rompe i muri. Si vivono relazioni fraterne che superano conflitti, tensioni e difficoltà. Intorno alla mensa si respira un’atmosfera fraterna e serena. La vita familiare dà la possibilità di recuperare la ricchezza dei valori che ci si porta dentro e restituisce alla dignità di creature portatrici di beni. Ci si mette in gioco attraverso la costruzione di relazioni fraterne.
La diversità delle religioni non è un problema, anzi c’è armonia tra noi, poiché l’esperienza di relazione profonda armonizza le diversità.
In ogni camera vive un ragazzo o al massimo due, ma tutto il resto è in comune coi frati. Questa prossimità aiuta a sentirsi parte di una famiglia che si costruisce con l’apporto di ciascuno. C’è un gruppetto che è qui ormai da un anno e mezzo, e che fa da nucleo portante.
I ragazzi hanno un passato molto diverso, ma nella ricerca del bene e nella fraternità, nel rispetto di ciascuno, si fortificano in maniera armonica.
Talvolta c’è bisogno degli interpreti, però usiamo soprattutto il linguaggio gestuale ugualmente in grado di porre in relazione la persona che, così com’è e non come sarà, è un valore e porta dentro di sé il bene. Bisogna solo tirarlo fuori con l’aiuto della fraternità che consente di riconciliarsi con se stessi ed essere poi portatori di bene, di pace, di armonia per gli altri.
Abbiamo bisogno anche di supporti esterni per poter attuare un cammino di liberazione, ma ciò che dà la possibilità di progredire è la vita fraterna.
Dimora presso di noi un ragazzo pakistano che ora frequenta la facoltà di ingegneria. Era seguito da un’équipe di psicologi dell’istituto S. Camillo, ma la psicoterapia cadeva come l’acqua sulla sabbia, perché non era supportato da un humus familiare, da un’esperienza fraterna. Qui lo abbiamo visto trasformarsi quotidianamente. Era completamente perso ed ora è un ragazzo sereno, impegnato a scuola. Conduce una vita gioiosa, mentre prima pensava che la vita fosse solo tristezza e sofferenza. Ora i suoi occhi parlano di luce, di progetti di vita, di restituzione del bene che di fatto ha potuto scoprire, perché si è reso conto che lui stesso è portatore di bene.
La ricostruzione di una speranza è più faticosa per gli italiani che hanno perduto il lavoro. Sono sempre di più coloro che chiedono di essere accolti dalla fraternità. Spesso provengono da situazioni di divorzi o di separazioni. Con loro il percorso è molto più difficile, perché hanno perduto la speranza di poter riprendere in mano il loro futuro. Ora abbiamo una persona di cinquant’anni che sta intravedendo una possibilità di riscatto del proprio futuro e non si sente più condannata ad un’esistenza sotto i ponti, anche se il problema è come trovargli un lavoro.
Molti giovani vengono da Case Famiglia dove possono restare fino alla maggiore età, dopo di che sono messi sulla strada. Hanno una situazione molto dolorosa poiché avevano iniziato a costruire un minimo di relazioni all’interno di una realtà familiare per cui guardavano al futuro con una certa speranza; poi all’improvviso questa speranza si è troncata. Da noi non c’è un termine di permanenza. La gratuità economica è totale. I ragazzi vengono tenuti perché amati, in un’accoglienza che ha il sapore del come Dio ci accoglie. Per molti di loro è la prima esperienza di questo tipo. Alcuni hanno vissuto esperienze di violenza sessuale oppure da piccoli sono stati mandati a chiedere l’elemosina o usati da qualcuno che ne ha ricavato un profitto.
Oggi siamo convinti che questo approccio evangelico- francescano sia veramente una ricchezza che risana la persona: il modo migliore per dare fiducia e così ricostruire la persona.

Scuola di integrazione
Nella comunità siamo sei frati con attività diverse, ma nella vita relazionale tutti siamo coinvolti. Pranziamo insieme ai ragazzi; per la cena i frati vivono un momento di maggiore riservatezza e due frati a turno mangiano insieme ai ragazzi, 30 persone circa. La cena è preparata da alcuni parrocchiani che noi chiamiamo le “mamme”: a turno assicurano l’organizzazione della cena, a cui collaborano gli stessi ragazzi.ripa2jpeg
È anche un modo di essere dentro la parrocchia e di portare al suo interno questa fiducia che è possibile costruire relazioni fraterne. Non è facile, anche perché c’è un atteggiamento di difesa nei confronti dei poveri, italiani ed extracomunitari che qui sono molti; ma questa esperienza sta rompendo certi muri difensivi. C’è un tessuto sociale, relazionale, che si sta creando in questa internazionalizzazione. Questo è molto significativo oggi, è un percorso di inculturazione. Inserire nel nostro tessuto sociale dei fratelli che vengono dalle altre parti del mondo è una sfida importantissima, il futuro della nostra società passa attraverso la costruzione della famiglia, della pace internazionale. Allora questa esperienza diventa anche scuola di integrazione, inserimento a livello di diversità che convivono insieme da fratelli, in un progetto di vita. Questa fraternità sta ampliando gli orizzonti e sta facendo cadere muri di diffidenza.

La fiducia può cambiare la vita
La fraternità si costruisce su pochi punti fondamentali. Per prima cosa chiediamo la voglia di impegnarsi, per cui non teniamo quei ragazzi nei quali non scatta dentro la voglia di ricostruirsi. Finora tuttavia solo tre o quattro non hanno avuto questa volontà.
Inizialmente non capiscono cosa sia la fraternità, però capiscono se le persone vogliono loro bene. Ecco perché è importante il primo incontro che con lo sguardo manifesta la fiducia in chi bussa alla porta. Li accogliamo senza fretta, dedichiamo loro il nostro tempo per far capire che sono importanti. Così cominciano ad aprirsi e poi diventa sempre più rapido il coinvolgimento. È importante la gestualità della fraternità per far sentire l’importanza della loro esistenza.
Ci sono tuttavia alcuni per i quali non è sufficiente questo camminare insieme, in quanto hanno ferite talmente profonde da aver bisogno di interventi di altro livello. La maggioranza percepisce il valore della vita fraterna anche se qualcuno ci mette a dura prova con sfide continue. Mi è capitato di prendere a ceffoni un ragazzo che aveva litigato con un altro. Ma poi sono salito in camera sua portandogli una bibita. E lui nel bere ha avuto modo di riflettere ed è scoppiato in un pianto liberatorio che ha dato vita ad una svolta nel suo percorso.
Inizialmente la maggior parte non riesce a pensare positivo perché si sente negativa e fatica a recepire la fiducia che le viene accordata. Ma la grazia di Dio agisce anche sotto la scorza più profonda. Dio, che è misericordia infinita, crede che ogni uomo sia un terreno fertile che può portare frutto buono. Ma da soli non ci si riesce e la fraternità è chiamata a fare da specchio.
La vita può cambiare attraverso un incontro che dia fiducia. Pensiamo alla battuta che Zeffirelli ha messo in bocca alla Maddalena: “Nessun uomo mi ha guardata come mi ha guardato lui!”.

Sintesi a cura di Graziella Baldo