Graziella Baldo

cammino-fede“La via della coscienza”
In uno dei suoi Sermoni universitari il card. J. H. Newman si preoccupa per i giovani che, quando si affacciano al mondo, “sono sottoposti alla loro prova”(John Henry Newman, Il cuore del mondo, MI 2011, n.90, p.160). Anche se hanno appreso e accettato tranquillamente le verità rivelate, quando si aprono dinanzi a loro innumerevoli ambienti, opinioni e comportamenti contrastanti, all’improvviso perdono l’orientamento, poiché sono incapaci di applicare nella pratica le lezioni che pensavano di aver imparato accuratamente.

Confusi si convincono gradualmente che “il sistema religioso che fino ad allora hanno accettato, è una soluzione inadeguata”. La Bibbia e le cose apprese in precedenza appaiono “non soltanto poco interessanti, ma anche puramente teoriche”(Newman, ibidem, p.161), inattuabili, innaturali, inadatte alle esigenze della vita e alla costituzione dell’uomo. A loro difesa Newman sostiene che “il modo in cui il mondo agisce nel fare deviare dalla verità, nel fare sembrare bene il male e male il bene, è al di là della loro capacità di comprensione”(Newman, ibidem, p.159).

Può sembrare contraddittorio che il teologo propugnatore della “via della coscienza”(Benedetto XVI) sostenga questa incapacità. Sembra che egli non abbia fiducia nella coscienza dei giovani. In realtà, come dice Benedetto XVI, grande ammiratore di Newton, nell’uomo è stato infuso qualcosa che non è lui a darsi e che non può distruggere, “qualcosa di simile ad un’originaria memoria del bene e del male” (Ratzinger 1991,89): la cosiddetta coscienza naturale. Se è ascoltata essa consente un cammino verso il bene altrimenti non si sviluppa, non si struttura nella verità e la sua voce diventa sempre più debole nei confronti dei luoghi comuni che finiscono con l’avere il sopravvento. Uno di essi, secondo la mentalità oggi imperante, sostiene che il bene non è più ciò che promuove la persona umana ma è ridotto a ciò che genera soddisfazione immediata, per cui si agisce con criteri di efficienza o di calcolo indipendentemente dalle motivazioni legate alla tradizione, ai valori e ai legami con gli altri.

Perciò se vogliamo che i giovani non crescano annebbiando quell’“originaria memoria del bene e del male”, ma, al contrario, la rafforzino, è importante mettere in atto un’azione educativa alternativa che stimoli l’ascolto della coscienza e promuova il compimento di atti che consentano di sperimentare i valori e aprano gli orizzonti verso la ricerca del bene.

La cultura del relativismo
Oggi nel pluralismo etico in cui ci troviamo a vivere, è difficile orientarsi e rispondere alla domanda: che cosa è giusto? È quasi inevitabile adeguarsi alla cosiddetta “dittatura della maggioranza”. “Atti che, presi in casi singoli, sarebbero condannati come crimini, acquistano dignità dal numero dei delinquenti o dalla loro presunta autorevolezza e giungono a pretendere la nostra acquiescenza come una questione di diritto. Ciò che sarebbe insubordinazione, furto o omicidio, quando fosse commesso da un solo uomo, viene santificato dall’importanza o dal numero di chi lo commette”
(Newman, ibidem, p.159).

Si può così arrivare al paradosso che vengano approvate leggi, cosiddette positive, che hanno il consenso popolare, ma che non sono giuste, poiché non riconoscono una norma etica al di fuori del consenso, né si pongono il problema di aderire ad una verità morale di cui il relativismo nega l’esistenza. Ma la cosa più grave è che tali leggi per i più ingenui diventano una giustificazione di una condotta indifferente alla ricerca della verità e della giustizia. Non si dice forse: “Lo dice la legge, dunque… è giusto!”? Tale leggi sono espressione di una coscienza collettiva auto-referenziale in quanto non si forma alla luce della verità, ma segue criteri più comodi: accontentarsi delle buone intenzioni, accettare un piccolo male per ottenere un bene maggiore…

Le radici trascendenti della giustizia
“Nel nostro mondo, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità, del profitto e dell’avere, è importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano…” (Benedetto XVI, Messaggio per la Pace, 2012, n.4).

L’uomo attraverso la ragione, purificata e illuminata dalla fede, può far crescere quell’“originaria memoria del bene e del male” riposta nella coscienza naturale. “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso” (Benedetto XVI, Messaggio per la Pace, 2012, n.3). L’uomo può arrivare ad essere in comunione col bene e col male e così può scoprire e formulare principi morali oggettivi. “Per questo, l’esercizio della libertà è intimamente connesso alla legge morale naturale, che ha carattere universale, esprime la dignità di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in ultima analisi, della convivenza giusta e pacifica fra le persone”(Benedetto XVI, ibidem).