Quando l’uomo vuole essere padrone assoluto e autonomo delle energie, delle risorse della natura nasce un senso crescente di minaccia di distruzione. Tuttavia proprio questo pericolo, avvertito come estremo, apre la prospettiva dell’urgenza di dare vita a una nuova forma del mondo abitata da uomini responsabili “verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera” (C.V. 48) e coscienti del significato delle proprie azioni.
In questo senso ci illumina la Sacra Scrittura che, nel libro della Genesi ci aiuta a non intendere il dominio dell’uomo sulla natura come autonomo e assoluto, ma come compito assegnatogli dal Creatore che ha creato l’uomo per natura diverso dagli altri esseri viventi, in quanto l’ha posto per dominare “sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” e gli ha dato espressamente il compito di soggiogare e dominare la terra e tutti gli esseri viventi. L’uomo è diverso anche perché, pur essendo fatto con la polvere del suolo, il Signore “soffiò nelle sue nari un alito di vita”, ciò che fa dire a Guardini che “vive in lui un soffio dell’alito divino” (R. Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana 1984, p. 128).
Questo essere parte della natura e stare “in un immediato rapporto con Dio” (ibidem), pone l’uomo nella condizione di dover “prendere posizione di fronte alla natura” (ibidem) in modo da adempiere un mandato che gli è stato assegnato. Ciò significa che egli non dovrà esercitare un dominio riconosciuto come un diritto autonomo, ma come “qualcosa che gli è stato prestato. Per la grazia egli è signore, e la sua signoria egli deve esercitare facendosene responsabile di fronte a colui che è Signore per essenza. Il potere allora si fa obbedienza e servizio… La potenza umana non deve dunque costruire un proprio mondo autonomo, ma deve, secondo la volontà di Dio, portare a compimento il mondo di Dio facendone un umano mondo di libertà” (ibidem, pp. 130-131). Il dominio come servizio si fa, dunque, obbedienza a Dio, e attua, così, l’immagine di Dio che è nell’uomo, senza che quest’ultimo pretenda di farsi dio di se stesso. Il serpente è l’ingannatore che altera il rapporto tra Creatore e creatura illudendo quest’ultima di poter diventare creatrice, come se la copia potesse trasformarsi nell’originale.
Sarebbe fuorviante interpretare il peccato originale come risposta alla gelosia di un Dio che punisce l’uomo perché vuole diventare padrone del mondo al suo posto. Dio invita l’uomo alla conoscenza; non lo ostacola in questo. La tentazione consiste proprio nel falsare l’autentico rapporto con Dio, che è dato dal riconoscimento di essere solo simili a Lui, e non di essere dio. Nella similitudine risiede la povertà e la ricchezza della natura umana. Mentre, come dice S. Bonaventura, con la lusinga di rendere l’uomo simile a Dio, il serpente lo ha reso dissimile a Lui.
Nell’attuale epoca storica in cui si profila la possibilità, nel fare ciò che si vuole, di attuare forme estreme di oltraggio e distruzione della natura, si esige più forte che mai la ricerca di un’ascetica (intesa come combattimento contro se stessi e contro il male) che porti l’uomo a divenire signore di sé, ad autodominarsi rinunciando a se stesso, ai miraggi di un’autoreferenzialità che si traduce in una troppo facile autodeterminazione e autoaffermazione. Solo così l’uomo assolverà il compito di dominio affidatogli dal Signore.
Dare il nome alle cose (onomaturgia) è il compito dell’uomo. “Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche” (Gn 2,18-20). Dare il nome alle cose significa farle esistere, farle uscire dall’anonimato indistinto del caos, significa cosmizzarle, dare loro un ordine gerarchico in cui ognuna sia al posto che Dio le ha affidato; significa amare perché riconoscere lo specifico di ogni cosa è valorizzarla rispettandone e potenziandone la natura, farla essere quello che è già, quello per cui è nata e che non deve essere conculcato o deviato dall’intervento manipolatore dell’uomo; significa cogliere l’essenza, la verità della cosa creata dalla volontà del Padre che si esprime, si rivela nella Parola (il Verbo) che opera ciò che dice. Soltanto a partire dal Verbo, dalla Parola vivente le cose sono (“In principio era il Verbo”) e possono essere conosciute secondo verità (il Verbo è principio dell’essere e del conoscere).
La parola umana non è uno strumento né una convenzione, ma è portare alla luce un mondo, perché “nessuna cosa è dove la parola manca” (Stefen George).
Lucia Baldo