Seminario Cei sulla custodia del creato, Roma 23 marzo 2018

Dalla relazione del Prof. Simone Morandini

“La sfida postami dal titolo è quella di disegnare – in una prospettiva etica e teologica ispirata alla Laudato Si’ – alcune coordinate per una rinnovata cultura del lavoro. Di farlo in questo tempo, che vede in alcune aree timidi segnali di ripresa economica e che pone quindi interrogativi: come valorizzarli? Come cogliere le opportunità offerteci da questo tempo – forse non un kairos, ma certo un’occasione che offre margini per scelte, in una fase certo non facile? [..]
In un simile contesto segnato da incertezza, ma anche dall’apertura di possibilità, assume grande valore la Dottrina Sociale della Chiesa, a condizione evidentemente che non la si pensi come ricetta completa e strutturata per orientare le pratiche economiche e sociali….
A chi legge attentamente i segni dei tempi (GS nn.2. 11; EG nn.14.51) è evidente una crisi polidimensionale, efficacemente qualificata con parole come “globale” o riconosciuta come espressione di un “cambiamento d’epoca”. La sfida è, allora, quella di comprendere come superare una forma di vita non più all’altezza di questo Antropocene che ci troviamo ad abitare, di questa realtà globale che influisce direttamente sul nostro quotidiano.
Di comprendere come ricercare un’unità della famiglia umana capace di comprendersi finalmente come “comunità di destino”, per dare un “nuovo inizio” ad una storia assieme, fidando in quella capacità di bene che sta al cuore dell’umano e che nulla può cancellare, in quella “capacità di reagire che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori” (LS n.205).
Ma come farlo? E soprattutto che significa questo per il lavoro? Non è solo un problema tecnico, ma una sfida culturale – e spirituale – di vasta portata”.

Così ha proposto la finalità della sua relazione introduttiva al Seminario il Prof. Simone Morandini, che ha proseguito delineando la necessità di uno stile di ascolto, uno stile di complessità secondo la logica del poliedro ed di uno stile di relazionalità tramite la categoria dell’Ecologia integrale, che invita ad “una visione più integrale e più integrante” (LS 147), a tenere assieme l’ecologia umana e l’ecologia ambientale, la cura per la famiglia umana e quella rivolta alla comunità della creazione e alla terra su cui essa vive.

Diamo di seguito pubblicazione della seconda e ultima parte della interessante relazione.

Uno stile di relazionalità
La Laudato Si’ si inserisce decisamente in tale traiettoria tramite la categoria di Ecologia integrale, che invita ad “una visione più integrale e più integrante” (LS 147), a tenere assieme l’ecologia umana e l’ecologia ambientale, la cura per la famiglia umana e quella rivolta alla comunità della creazione e alla terra su cui essa vive.
img180 (1)Ecco allora che le tensioni sopra richiamate appaiono soprattutto, in tale prospettiva come le inevitabili espressioni di quella relazionalità che lega tra loro le diverse dimensioni del nostro essere umani (siamo viventi come gli animali ed assieme a loro, ma anche culturali e tecnici, in un modo assolutamente unico; siamo sociali e solidali, ma anche singolari; siamo persone). Esse ci orientano allora ad una elaborazione positiva che sappia integrarle in modo efficace.
Questo non significa in alcun modo abbandonare quell’attenzione antropologica privilegiata che caratterizza la DSC, ma inserirla in un quadro più ampio: la comunità di destino è la famiglia umana, ma essa vive in solidarietà con l’intera comunità della creazione Ecologia integrale dice allora anche di un metodo; è il richiamo è ad una cultura della complessità, ad un pensiero sistemico alla ricerca di una mediazione articolata ed intelligente. C’è bisogno di senso della complessità, di analisi e di elaborazione articolata per pensare il lavoro in modo creativo e coraggioso.
Questo non significa che non ci siano dei no e dei sì da dire, ma su altri assi. In questa – che non è solo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca – LS indica, infatti, altre contrapposizioni da pensare (o scelte di campo da fare).
Si pensi a quanto distante sia la miope centratura sul presente di un antropocentrismo dispotico, radicale espressione di relativismo pratico, rispetto all’attenzione alle generazioni future di chi ascolta al contempo il gemito della Terra, sorella e madre e si sforza di pensare un patto tra generazioni per la vita della famiglia umana sulla terra. Si pensi, ancora, alladistanza tra la violenza di una cultura dello scarto, che marginalizza le persone, mentre spreca le risorse (LS 22), ed un’economia solidale, che sa declinare il noi e parlare di beni comuni: LS non dimentica che l’iniziativa privata – elemento importante della dinamica economica – non è l’unico, ma occorre cogliere anche l’interazione dei soggetti istituzionali, così come di quelli della società civile e dei movimenti popolari hanno ruoli importanti da giocare. La stessa LS ancora al n.22 orienta ad un’economia circolare capace di valorizzare appieno quella benedizione che è incorporata nelle risorse della terra e che spesso invece lasciamo degradare nell’usarle.

Per uno sguardo rinnovato sul lavoro
Se questi sono i veri elementi di differenziazione, vale la pena di guardare alla luce di tale rinnovato paradigma ad alcuni dei fattori strutturali del lavoro.
In primo luogo, la sottolineatura fondamentale del lavoro come realtà buona, corrispondente alla figura di un Dio che crea ed opera per amore (non un Dio ozioso, che attenda solo di essere contemplato); “Il Padre mio opera sempre” (Gv. 5, 17) sottolinea Gesù, per dire di un Dio attivo, cui siamo chiamati a corrispondere nella storia umana. Il lavoro, dunque, come realtà antropologicamente imprescindibile; come dimensione qualificante dell’essere uomini e donne su questa terra, quale l’ha vissuta lo stesso uomo di Nazareth (LS 98).
In secondo luogo, la forma della pratica lavorativa che la DSC – inclusa LS ad es. al n. 124 – qualifica raccogliendola in due parole: coltivare e custodire il giardino (Gen. 2, 15). Un lavoro, dunque, che sappia essere ad un tempo coltivazione e custodia.
• Coltivazione in primis e dunque risonanza della Parola creatrice, valorizzazione delle potenzialità che la terra porta in sé – anche grazie a quell’efficace trasformazione che si esprime nella tecnica.
In nessun modo potremmo cedere ad un romanticismo antitecnico o leggere in tal senso il III capitolo di LS4: si tratta piuttosto di essere “strumento di Dio, aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose” (LS 124).
Sappiamo bene che la storia dell’umanità è anche storia di un rapporto con la natura che la tecnica declina in forme sempre nuove, di una vera e propria coevoluzione.img182
• Tale opera domanda, però, di essere realizzata senza stravolgere la realtà del creato, ma anzi custodendone il valore prezioso e vivificante (non dimentichiamo che i due verbi ebraici per coltivare e custodire hanno anche risonanze cultuali, parlano di rispetto e persino reverenza): “Il lavoro è degno quando rispetta la vita delle persone e dell’ambiente, cioè la ‘Casa comune’ come ci dice Laudato Si’. La sicurezza dei lavoratori, la salute dei cittadini e la salvaguardia del creato non solo sono criteri etici irrinunciabili, ma anche premesse per la stabilità e la produttività del lavoro” (Instrumentum Laboris, Settimana Sociale di Cagliari n. 20).
Non si tratta, dunque di istanze da contrapporre, giocandole in una difesa paralizzante, ma piuttosto di ricercare e promuovere un lavoro buono, che valorizzi la novità di una tecnica verde, su cui in alcuni ambiti l’Italia ha aperto e può aprire significative piste.
In tale prospettiva lo sguardo si focalizza però anche sul terzo elemento, soggetto della pratica – soggetto di un lavoro da tutelare e promuovere. Il lavoro è anche spazio di espressione creativa del soggetto umano, condizione perchè egli possa essere pienamente tale, mentre vi sono lavori che valgono a mala pena per sostentare il lavoratore e la sua famiglia – e spesso neppure quello….
“Il lavoro che non vogliamo” si diceva a Cagliari, per contrapporlo al “lavoro degno”, mentre l’Instrumentum Laboris della Settimana Sociale sottolineava al n. 30 il problematico rapporto tra ambiente salute e lavoro.
Infine, la costitutiva dimensione sociale del lavoro: il lavoro che vogliamo dovrà
• garantire assieme reddito, dignità e considerazione sociale, senza allentare il legame tra tali dimensioni;
• costruire – e non distruggere – relazioni, comunità, famiglia;
• non esigere quindi la totalità dell’essere umano e del suo tempo, ma lasciare spazio per altre dimensioni dell’essere (ri-creazione è una bella parola, tra l’altro così carica teologicamente…).
La complessità impedisce ancora una volta di depauperare il nostro sguardo mettendo in secondo piano uno dei fattori evocati a scapito degli altri ed invitando a disegnare figure in cui essi possano declinarsi in modo costruttivo.

F) Quattro parole
Si apre allora un’ultima domanda: come articolare positivamente tali fattori in un processo ed in una rete di pratiche che li facciano interagire costruttivamente?
Mi limito ad offrire quattro parole per abbozzare una risposta; quattro parole che offrono soprattutto direzioni cui guardare; quattro parole da coniugare al futuro ed al plurale:
• Sostenibilità: una parola che ha la sua origine inun contesto ecclesiale (primo organismo internazionale ad usarla è stato il Consiglio Ecumenico delle Chiese, ancora nel 1974) e che mira a tenere assieme la dimensione sociale, quella economica e quella ambientale. Nell’orizzonte della sostenibilità il lavoro è degno solo se attento all’ambiente; un lavoro buono deve esserlo per la generazione presente così come per quelle future.
• Lungimiranza: per un’economia 4.0 capace di prendere sul serio la conoscenza e l’agire tecnico valorizzandole per custodire la persona e la terra. Potremmo pensare – guardando ancora una volta ad LS – di richiamare, assieme all’istanza contemplativa di Francesco d’Assisi anche l’industriosità intelligente di Benedetto da Norcia (LS 126). In effetti, efficienza, se applicata alle materie prime ed all’energia, è davvero una bella parola, diviene ecoefficienza – da declinare assieme a quell’ecosufficienza che dice della leggerezza di nuovi stili di vita. Essa, invita, ad esempio, a guardare alle energie rinnovabili, ma soprattutto ad un uso efficace dell’energia, che minimizzi i costi e l’impatto ambientale della produzione.
• Non a caso LS 129 invita a praticare “diversificazione produttiva e creatività imprenditoriale”.
È una sfida per un’imprenditorialità, chiamata ad abitare in modo consapevole la smart economy, la circular economy, l’economia dei territori (ce lo richiama Coldiretti, con la sua attenzione per la tipicità e la creatività come opportunità preziose).
Diversificazione che dovrà interessare, quindi il settore della manifattura, ma non solo (cura, cultura, accoglienza, agricoltura). Si tratta di valorizzare le opportunità positive, senza dimenticare le negatività potenziali (neo-efficientismo, greenwashing). Né va dimenticata la necessità di un ruolo attivo di sostegno da parte delle istituzioni: Cagliari richiamava la necessità di una fiscalità che non sia affatto flat, ma supporti e valorizzi la responsabilità sociale ed ambientale.
• Educazione, infine, necessaria non solo per formare professionalità, ma anche per costruire competenza, creatività, flessibilità culturale, per sostenere anche sul piano culturale la conversione ecologica, per una rinnovata alleanza tra umanità e natura.
Un’educazione che sostenga processi di positiva circolarità sociale e faccia emergere nuovi soggetti, in grado di valorizzare l’inesplorato. Un’educazione che insegni ad apprendere dalla natura senza mitizzarla; che ricordi l’invito a “pensare come una montagna” di A.Leopold, ma sapendo che occorre pensare assai meglio di una montagna.
Quattro parole, dunque, da declinare nelle città, come laboratori creativi, ma senza dimenticare le periferie e le campagne, per costruire buone pratiche che sappiano esplorare nuovi paradigmi.

Conclusioni
Affido le conclusioni ad una sola ultima espressione: Bene comune. Si tratta di una nozione saldamente radicata nella tradizione della DSC, ma che sempre più si rivela duttile e flessibile, suscettibile di articolazione per comprendere contesti nuovi e per attivare processi – sapendo che “il tempo è superiore allo spazio”. LS ci esorta a pensarla in tale prospettiva anche per una rinnovata cultura del lavoro nell’Antropocene: ecologia integrale dice anche di una rinnovata comprensione di tale parola chiave.
Il lavoro deve essere autorealizzazione, necessario fattore di sostentamento, elemento di crescita, ma sempre compreso entro il bene comune, come componente del bene comune di una comunità e come contributo al bene comune della famiglia umana – ed anzi dell’intera comunità della creazione.
In questa direzione valorizziamo la nostra riflessione, la nostra pratica educativa, la nostra azione – anche in quella sua dimensione che così spesso viene svalorizzata, quella politica e civile.
Abbiamo bisogno di una visione che ispiri buone, sagge politiche per il lavoro, buone sagge politiche per l’ambiente, politiche per il bene comune: si tratta di pensare e progettare assieme, oltre le unilateralità, per il futuro della casa comune, affinché resti spazio abitabile per un lavoro buono e degno.

Ricco di interventi che hanno inquadrato il lavoro e l’ambiente in una prospettiva di ecologia integrale e di agricoltura ed economia circolari, il 15^ Seminario Nazionale per la custodia del Creato ha dato spazio a voci autorevoli come quella di Simone Morandini (Fondazione Lanza), di Sergio Gatti (Settimane sociali) di Gianluca Lelli (Coldiretti), di Danilo Bonato (Remedia). Nonché di giornalisti ambientali – Emanuele Bompan e Luisella Meozzi – che hanno portato la loro esperienza sul superamento dei temi della marginalità e dello scarto: entrambi mutati in opportunità di sviluppo dall’uomo contemporaneo in movimento verso uno stile di vita improntato all’eliminazione del concetto di rifiuto – in tutte le sue accezioni – in favore di una scelta inclusiva e solidale. Hanno completato i lavori l’esperienza formativa dell’Alta Scuola per l’ambiente a cura di Pierluigi Malavasi (Dir. ASA) e le conclusioni di Mons. Fabiano Longoni (Dir. UNPSL). La relazione integrale del Prof. Morandini e gli altri interessanti apporti all’intensa giornata di riflessione sono rintracciabili in www.chiesacattolica.it