Il Papa all’Italia: la fede non è alienazione | ilcantico.fratejacopa.net

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L’assemblea dei vescovi italiani (Roma, 23-27 maggio) si è conclusa con un gesto di umile e fiduciosa, persino accorata preghiera davanti all’icona di Maria, “Salus populi romani”, nella più antica basilica dedicata in Occidente alla Madre di Dio, Santa Maria Maggiore. I vescovi, radunati attorno a Benedetto XVI, hanno voluto “condividere un intenso momento di preghiera con il quale affidare alla protezione materna di Maria, ‘Mater unitatis’, l’intero popolo italiano, a centocinquanta anni dall’unità politica del Paese”.

Così, in un breve e intenso messaggio, si è espresso il Papa che, in questa come in altre frequenti occasioni, ha espresso la sua attenta premura per “questa amata nazione”, di cui nell’assemblea appena conclusa si è parlato con toni preoccupati nell’intento di incoraggiare la ripresa di un cammino di sviluppo e di superamento delle difficoltà e del disorientamento in cui versa l’attuale stagione politica. “Affidare” a Maria con il ricorso ad una delle preghiere più popolari quale il Rosario non è un atto di rassegnata attribuzione ad altri delle responsabilità, non è un gesto magico: “La fede non è alienazione”, quanto una presa di coscienza, più profonda e lucida, della responsabilità delle persone chiamate a “fare spazio a Dio” nella vita privata e pubblica, e porsi “alla scuola di Maria”.

La Vergine ci invita a “condividere i passi di Gesù”, camminare sul sentiero da lui indicato, imitando lui che è “la forma dell’uomo, la sua verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa”. La preghiera dei vescovi con il Papa è invocazione a Dio, richiesta d’intercessione di Maria, è confessione di povertà e insufficienza delle risorse umane di fronte ai grandi e complessi problemi della storia contemporanea, ma è anche messaggio e ammonimento per amministratori, politici e cittadini.

Un invito a prendere sul serio la dimensione politica della vita collettiva, a essere sensibili e capaci di rappresentare le istanze sociali, a ricostruire la storia in termini non faziosi, a concepire la laicità in modo rispettoso dei diritti dei fedeli e delle comunità religiose, a riconoscere l’importanza della presenza della Chiesa nella storia italiana di questi centocinquanta anni. In una parola ad affrontare la vita politica e sociale sulla base delle categorie della fraternità e del bene comune.

Benedetto XVI ha voluto ricordare a chiare lettere: “A ragione l’Italia celebrando i centocinquanta anni di unità politica può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa” e rivendica il diritto di rappresentare le istanze etiche e di difendere i valori e i diritti fondamentali dell’uomo che sono “previ rispetto a qualsiasi giurisdizione statale”, in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana. La Chiesa così fa la sua politica, nel modo più alto e dignitoso, in ginocchio, con lo sguardo in alto, dando un segnale di umile forza, capace di trasformare il modo e lo stile di operare nella sfera pubblica, allontanandone la corruzione in tutte le sue molteplici forme, anche quella devastante degli speculatori finanziari, e le miserie e meschinità quotidiane.

Esplicitamente, mettendosi dalla parte di chi si trova in difficoltà ed è perdente in questo momento, mentre nelle piazze si attivano manifestazioni di protesta, segno di un crescente disagio, Benedetto XVI fa un appello a favore dei disoccupati, dei precari, per costruire insieme una società più giusta, tutelare la vita umana e sostenere gli sforzi della famiglia perché possa dar vita e educare nuove generazioni, persone libere e responsabili, per una società rinnovata. In questo centocinquantesimo anniversario, superato ogni equivoco e dissapore, la Chiesa si trova bene in Italia e l’Italia non ha nulla da rimproverare alla Chiesa, anzi deve esserle grata per tutta l’opera di educazione, di promozione sociale che non ha mai cessato di svolgere.

Ricostruendo la storia del cammino unitario non sarebbe inutile rimarcare il ruolo della preghiera e dell’invocazione, da quel “Gran Dio benedite l’Italia!” di Pio IX (1848), ai dogmi mariani dell’Ottocento e a quello ultimo di metà secolo scorso con la proclamazione di Maria Assunta in cielo. In tutto il territorio nazionale e nei suoi spazi anche più reconditi e riservati, nelle mille edicole di campagna e nelle immagini venerate nelle case, Maria, è una presenza rassicurante e benedetta e lo è anche negli snodi della nostra storia. In comunione con tutti i pastori il popolo non mancherà di perseverare nell’invocazione alla Madre di tutti gli italiani riconosciuta con Dante come segno di “speranza vivace”.

Elio Bromuri, direttore ”La Voce” (Umbria)