La pandemia ci ha messo di fronte alla nostra fragilità, mentre ci credavamo onnipotenti; di fronte al fatto che “siamo tutti sulla stessa barca”; di fronte alla necessità di una scelta tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è. Tutto questo ci interroga sul senso della nostra esistenza e su come custodire il progetto di Dio, che è progetto di fraternità universale.
Siamo in uno speciale “tempo della cura”. Un tempo che ci chiama a rispondere del “dono” dell’intera creazione, a partire dalla cura delle relazioni fondamentali, con Dio, con noi stessi, con gli altri, con la terra, entrando nel vivo di quel “tutto è connesso” che sentiamo più che mai vero e determinante oggi. Tempo della cura per un nuovo vivere insieme con sobrietà, giustizia, fraternità, ancorati alla speranza. E questo implica l’ascolto del grido dei poveri e della terra, un ascolto che il Calendario ci propone a 5 anni dalla Laudato Si’ attraverso un suo frutto: l’Esortazione “Querida Amazzonia”, dove l’Amazzonia, in un mondo dominato da una globalizzazione selvaggia, diventa luogo emblematico sia per l’improcrastinabile custodia del creato, sia per la salvaguardia della dignità umana, convocando tutti a conversione.
Come l’Enciclica Laudato Si’ si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, così l’ Esortazione Apostolica Querida Amazonia (QA), che della Laudato Si’ è il frutto, si rivolge a tutti gli uomini e le donne del mondo, perché si prendano a cuore il destino di questa terra martoriata e facciano proprio il grido d’allarme lanciato nella QA a favore della foresta, polmone del mondo, dalla quale dipende la sopravvivenza di tutti e non solo di coloro che la abitano. L’Amazzonia è prototipo di una regione dove si è messa in atto un’economia di rapina e una persecuzione della vita nelle sue forme più deboli e indifese. Pensiamo al turpe mercato della prostituzione forzata che ha schiavizzato fanciulle private, insieme al documento di identità, della loro stessa dignità. Pensiamo all’attività di estrazione del caucciù che nel secolo scorso ha provocato più morti di quelli della seconda guerra mondiale. In Ecuador con l’estrazione del petrolio da parte della società Texaco, tutto viene inquinato. La monocoltura della coca è uno dei motori principali della deforestazione dell’Amazzonia colombiana, così come lo è la coltivazione della soia geneticamente modificata in Brasile, per consentire un sovrabbondante consumo di carne in altra parte del mondo.
Manaus è la capitale dell’Amazzonia con 2,5 milioni di abitanti che continuano ad aumentare vertiginosamente poiché gli indios devono scappare dalle loro terre per la crescente desertificazione. In questa metropoli grandi stabilimenti delle multinazionali sono venuti a produrre, attratti dai vantaggi della zona franca.
La Chiesa universale (pastori, consacrati, consacrate, fedeli laici), insieme ad ogni persona di buona volontà, non può non sentirsi interpellata dalle problematiche di questa terra, che è anche “nostra”, come dice il Papa. Tutte le creature dell’universo sono collegate fra di loro e formano una grande famiglia che abita un’unica casa comune da difendere e da proteggere. I credenti collegano la cura della terra alla fedeltà al loro Signore e Creatore, ma ciò che accomuna credenti e non credenti è la convinzione che la terra è un’eredità comune i cui frutti devono andare a beneficio di tutti se si vuole assicurare un futuro al nostro pianeta.
La Regione Panamazzonica comprende ben nove Paesi (Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela e Guyana francese). Ma superando le ristrettezze e i limiti di ogni confine nazionale QA auspica che tutto il Popolo di Dio si impegni a vivere una fede incarnata che assuma “volti multiformi” capaci di mani- festare “l’inesauribile ricchezza della grazia” (QA 6). Ecco allora i quattro grandi sogni che Papa Francesco formula nella QA in continuità e completamento del sogno già espresso nell’Evangelii Gaudium: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa” (EG 27).
La dimensione del sogno tanto cara a Papa Francesco riecheggia le parole del profeta Isaia che già ispirarono a M.L. King il famoso detto – Io ho un sogno –: “Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura” (Is 40,4).
Il primo sogno espresso è il sogno sociale di realizzare un “buon vivere” che consista nel superare la mentalità colonizzatrice per costruire reti di solidarietà e di sviluppo. I popoli indigeni hanno molto da insegnare perché hanno un forte senso comunitario che li rende capaci di fraternità e di speranza, nonostante la povertà, e che difetta, invece, nei popoli occidentali dove prevale uno spiccato individualismo. Nella società amazzonica tutto è con- diviso: il lavoro, la festa, i riti, il riposo, le relazioni umane. Sarebbe impensabile un individuo distaccato dalla comunità e dalla natura nella quale gli indios vedono quasi il prolungamento del corpo personale, sociale e familiare.
Il secondo sogno è quello culturale. L’Amazzonia è un universo multiculturale in cui ogni cultura deve difendere se stessa dagli attacchi dell’economia globalizzata che “tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale che è un tesoro dell’umanità”, come insegna la Laudato Si’ (LS 144). In alternativa a questo tentativo di annientamento della diversificazione culturale, Papa Francesco richiamando la “Christus Vivit”, invita i giovani ad “amare e custodire le radici”, perché da esse viene la forza che li fa “crescere, fiorire, fruttificare” (QA 33).
Il terzo sogno è quello ecologico. QA richiama Laudato Si’ che nota la grande rilevanza assegnata dalle comunità aborigene alla cura della terra da esse considerata “un dono di Dio, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori” (146). Questo attesta il valore della correlazione tra ecologia ambientale ed ecologia umana. Per gli indigeni la natura è fonte di armonia e di unità degli uomini tra di loro: “Il fiume – essi dicono – non ci separa, ci unisce, ci aiuta a convivere tra diverse culture e lingue” (QA 45). L’Amazzonia ci può insegnare a contemplare la natura, ad ammirarne le bellezze superando la ristrettezza di vedute di chi considera le risorse della terra unicamente come beni da dilapidare senza scrupoli. Già nella Laudato Si’ il Papa raccomanda di adottare uno stile di vita “meno vorace, più sereno, più rispettoso, meno ansioso, più fraterno” (LS 100) e, quindi, più umano.
L’ultimo sogno è quello ecclesiale volto a sviluppare un processo di inculturazione della Chiesa, che, pur nella consapevolezza dei limiti propri a tutte le culture, valorizzi quanto vi è di buono in ciascuna di esse per portarlo in pienezza alla luce del Vangelo. In particolare delle comunità aborigene dovrà essere apprezzato il carattere sacro della vita umana, il senso di gratitudine per i frutti della terra, la stima della famiglia, il senso comunitario, lo spirito di solidarietà, l’apertura all’azione di Dio. Tutti questi valori, se debitamente considerati, possono aprire la mente e il cuore ad un’accoglienza di Cristo vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore che ha voluto identificarsi specialmente con i più deboli e i più poveri, mostrando il volto umanizzante del Vangelo che dà “piena dignità alle persone e ai popoli, che riempie il cuore e la vita intera” (QA 76).
La dimensione del sogno, che costituisce l’intelaiatura di fondo della QA, è uno stimolo per guardare al futuro con speranza e con slancio di fede, e per non arenarsi di fronte alle difficoltà che la vita riserva soprattutto a chi è impegnato a vivere una fede incarnata nella vita quotidiana in tutti i Paesi del mondo.
Il patrono degli ecologisti, per volere di S. Giovanni Paolo II, è S. Francesco d’Assisi che per primo ha parlato della terra come sorella e madre nel Cantico delle creature e ha aperto gli orizzonti della fraternità a una dimensione universale e cosmica che tutto e tutti abbraccia in un anelito infinito.
Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata