Assisi, 8-10 novembre 2019
La Fraternità Francescana Frate Jacopa si è fatta pellegrina in Assisi in preparazione alla Giornata Mondiale dei poveri, per ritornare alla fonte dell’esperienza evangelica di S. Francesco che ci testimonia in maniera esemplare con tutta la sua vita l’importanza del lasciarsi evangelizzare dei poveri.
Il Capitolo è iniziato in preghiera e in particolare con la Celebrazione Eucaristica sabato mattina nella Basilica di S. Francesco, a cui ha fatto seguito una prima interessante riflessione di Sr. Claudia Maria Grieco delle Suore Francescane Angeline che ha portato in presenza l’orizzonte in cui si muove la vita di S. Francesco in rapporto ai poveri. In particolare attraverso il suo Testamento ha fatto memoria come il punto di svolta della sua vita sia stato nell’incontro col lebbroso, il più povero tra i poveri, reietto da tutta la società. Questo incontro, lo stare con i poveri che ne è seguito, cambia la sua prospettiva di vita, riconoscendo di non essere lui il padrone di se stesso. Francesco riconosce la propria creaturalità e pone Cristo al centro della propria vita, che per sua sola misericordia si è fatto povero per restituire la dignità propria di ogni uomo.
La sapienza di Francesco d’Assisi, “sapienza del povero”, ha poi sottolineato Argia Passoni (FFFJ) nella sua introduzione, è da rimeditare e fare nostra, non solo perché è la nostra peculiare eredità nella Chiesa, ma perché tutta la Chiesa è chiamata a lasciarsi evangelizzare dei poveri per vivere come “chiesa dei poveri” e “madre di tutti”.
E ne ha bisogno più che mai il nostro tempo che umilia il povero, lo dissacra abusandone per la propria avidità e lo scarta, come scarta e riduce a merce la natura e la vita. Il Papa attraverso le Giornate dei poveri sta portando al centro ciò che è centrale per la vita della Chiesa, da cui nessuno può sentirsi esonerato, come ci ricorda Evangelii Gaudium: “Rimanere sordi al grido dei poveri, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare i poveri, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto”.
Sono parole che pongono interrogativi profondi.
La sordità e l’ascolto, l’indifferenza e la cura: due atteggiamenti di fondo opposti che qualificano la nostra vita e lo stato della nostra umanità.
Quando parliamo di povertà non parliamo di qualcosa per cui siamo coinvolti semplicemente in qualche gesto di carità. Stiamo parlando di una categoria teologica, perché Cristo si è fatto povero per farsi nostro fratello e arricchirci della sua povertà. Non ha disdegnato di identificarsi col povero e vuole indicarci per questa strada la via della salvezza, quella via perseguita da S. Francesco a cominciare dall’ascolto.
Come ben sottolinea P. Martín Carbajo Núñez (cf. Prendersi cura del creato, 2019) “Non c’è possibilità di amare Dio e il prossimo senza questo primo atteggiamento: l’ascolto, che genera una prossimità, che si prende cura, conforta, guarisce, dà speranza. E questo a partire dall’ascoltare la Parola, in tutta la sua pregnanza. Essere uditori della Parola è obbedire alla Parola, farne carne della propria carne e portarla all’umanità. Cristo si è fatto uomo perché l’uomo (reso intimamente sordo e muto dal peccato) ridiventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce dell’amore che parla al suo cuore”.
L’uomo diviene così essere amato che dà senso a tutta la realtà, e genera la possibilità di contemplare e servire la dignità di ogni uomo e di contemplare il dono stesso del creato da coltivare e custodire. “Il nostro Capitolo – ha concluso Argia – si inserisce in questo orizzonte per metterlo in rapporto a quella che possiamo chiamare la barbarie del nostro tempo, in cui l’uomo nel suo delirio di onnipotenza si preoccupa di conoscere per dominare e sfruttare uomo e natura e ha bisogno più che mai di pensare alla propria creaturalità per onorare l’impronta buona del Creatore e Padre in tutta la sua famiglia creaturale. La categoria dell’ascoltare, se guardiamo alla prospettiva teologica e francescana, ci aiuta a comprendere ciò che è indispensabile per seminare speranza.
È seguita poi, a cura di P. Lorenzo Di Giuseppe, Assistente FFFJ, la presentazione del Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale dei poveri, un messaggio molto articolato che sollecita a comprendere come il Signore stesso ci affida di continuare con Lui il suo compito, di ridare speranza ai poveri. E ci indica anche il modo: è una speranza che può risorgere solo se i poveri avvertono nella loro vita l’amore di Dio, ma noi questo amore lo dobbiamo mediare col nostro comportamento, con la nostra vicinanza, col nostro avere cura di loro. E tutto questo, ha sottolineato P. Lorenzo, richiama ad un reale pellegrinaggio di conversione che riguarda la nostra vita personale innanzitutto, ma riguarda anche tutta la comunità cristiana perché occorre un’attenzione, una cura, un accompagnamento, un discernimento continuo, per poter dare il nostro contributo ad una società più giusta e fraterna, che metta al centro la persona e non le cose, il potere, il dio denaro (cf. Traccia della riflessione nelle pagine a seguire).
Punto centrale del Convegno è stato l’incontro con la Dott.ssa Stefania Falasca, vaticanista e editorialista di Avvenire, autrice assieme alla collega Lucia Capuzzi di uno straordinario libro inchiesta “Frontiera Amazzonia”. Con la sua appassionata riflessione “Dalla Laudato si’ alle nostre Amazzonie” ci ha immesso nel vivo dell’ascolto del grido dei poveri e della terra nel contesto del recente Sinodo sull’Amazzonia. Siamo in un kairos, un tempo opportuno per la Chiesa e per il mondo, tempo per la riflessione e la conversione. Il Sinodo è figlio della Laudato si’ – ha sottolineato Falasca – ma non si può pensare alla Laudato si’ senza comprendere lo sguardo da cui nasce. La cura per l’ambiente è una dimensione sostanziale della fede. L’emergenza ecologica è parte della missione di liberazione integrale a cui è chiamata la Chiesa che vuole essere fedele al Vangelo. Tutto è interconnesso secondo la volontà originaria di Dio per cui la terra non è un deposito da depredare ma un giardino da coltivare e custodire.
Al contrario del nostro modo occidentale di considerare la natura come materia inerte, ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfezione. Per questo l’uomo deve rispettare la bontà di ogni creatura per evitare l’uso distorto della creazione. Creati dallo stesso Padre nella interdipendenza e nella reciprocità, siamo uniti da legami invisibili in una comunione universale e chiamati a vivere con equilibrio nell’unica casa comune.
Dunque si richiede una preoccupazione per l’ambiente unita all’amore degli esseri umani e ad un costante impegno per il bene della società: pace, giustizia e salvaguardia del creato non si possono trattare singolarmente. Per i credenti si tratta di una questione di fedeltà al Creatore: è la passione evangelica per gli uomini e le donne che si esprime nella premura fattiva per curare la terra ferita e le ferite dei poveri.
Entrando in Amazzonia, davanti a quella natura rigogliosa – ha proseguito Falasca – è stato come entrare nel primo Capitolo della Genesi, cioè nel prodigio mirabile della creazione come è uscita dalle mani di Dio. E un po’ anche nel Capitolo terzo dove questo dono gratuito è posto nelle mani dell’uomo con le conseguenze di un uso di libertà nefasto, evidente lì con progetti speculativi che deturpano, invadono, distruggono. L’Amazzonia è il volto brutale dove tutto questo si esprime all’ennesima potenza.
Non è un mondo lontano dal nostro. È lo specchio del lato oscuro della nostra civiltà che emerge in tutta la sua brutalità nella sostituzione di Dio con il dio denaro.
La decisione di ripercorrere i luoghi emblematici della distruzione della foresta lungo il Rio delle Amazzoni viene presa da Stefania Falasca e dalla collega Lucia Capuzzi proprio perché hanno capito che in Amazzonia è in atto una vera persecuzione della vita in nome del dio denaro. La più grande foresta pluviale è oggi vittima della più grande distruzione artificiale di ogni tempo perché è al centro della disputa mondiale per l’accaparramento delle risorse. Nuove forme di colonialismo predatorio continuano a divorarla incessantemente devastando la vita: l’inquinamento ambientale causato da un estrattivismo selvaggio dall’oro al petrolio, il disboscamento per l’agrobusiness che ci rende tutti “carne da macello”, la tratta di persone, la manodopera schiavizzata, l’abuso sessuale, i commerci illeciti. Il potere economico impone l’irruzione negli ecosistemi a danno del bene comune: tutto ci parla di alterazione di un equilibrio ambientale, ecologico, sociale con la distruzione delle comunità. C’è un modello di sviluppo che pretende sacrifici umani e produce scarti e invisibilità. Il futuro degli indigeni non sarà più nelle foreste: costretti a vivere ormai nella miseria delle favelas “sub normales”. Mai i popoli dell’Amazzonia sono stati minacciati come ai nostri giorni, – ha proseguito la relatrice – mai siamo stati minacciati così anche noi perché l’Amazzonia è “il cuore biologico del mondo”.
Senza l’Amazzonia non c’è più il battito della vita del mondo intero: ogni respiro su cinque di ogni essere vivente viene dall’Amazzonia! È necessaria un’economia compatibile con l’ambiente nel rispetto della loro vita e della nostra. Un esame di coscienza è necessario per tutti, ma soprattutto ci riguarda come cristiani. Mancare di rispetto alla natura è un ecocidio, un peccato contro l’ambiente, contro Dio, contro il prossimo e le future generazioni. Laudato si’ – ha sottolineato Stefania Falasca – indica la possibilità di cambiare rotta con un’ecologia integrale come forma di conversione al Vangelo, antidoto a questo modello disumanizzante che divora l’ambiente e la vita degli uomini. Ora – ha concluso – “il patrono dell’ecologia integrale non viene dall’Amazzonia, ma è un italiano vissuto nel XIII secolo: S. Francesco d’Assisi. È stato lui a parlare della terra come madre e delle creature come sorelle. L’ecologia integrale è un tratto che ci appartiene e appartiene alla Chiesa. È il momento di farlo riemergere ritornando a S. Francesco”.
L’eco profonda di questa intensa testimonianza e dell’appello risuonato in noi dalla preziosità della giornata è stata portata nella preghiera innalzata alla Madre di tutti nella Basilica di S. Maria degli Angeli, invocando per sua intercessione la grazia della conversione per un autentico ascolto del grido dei poveri e l’accoglienza del loro messaggio per riconoscere e servire la vera dignità di ogni uomo col cambiamento profondo dei nostri stili di vita.
Domenica 10 novembre la giornata conclusiva è stata caratterizzata dal pellegrinaggio alla Porziuncola “culla della vocazione francescana”, dove Fra Fabio Nardelli ofm ci ha guidato a metterci in ascolto della “sapienza del povero”. Dopo aver rilevato che il Documento del Sinodo dell’Amazzonia mette insieme la dimensione della sinodalità con la missione della Chiesa che è innanzitutto ascoltare il grido dei poveri, ne ha proposto un breve approfondimento dal punto di vista teologico e francescano nel contesto attuale. Secondo la Scrittura i poveri sono certamente poveri materiali, ma il povero è anche colui che è indigente. È colui che si fa bisognoso, e bussa con insistenza alla paternità di Dio. Dio risponde con la sua vicinanza.
S. Francesco nel suo farsi povero prega non più a partire dal proprio io ma a partire dal tu, dalla onnipotenza e benevolenza di Dio (Lodi di Dio Altissimo). Nei Salmi il credente riconosce la sua povertà, che è innanzitutto povertà di senso; e prega con il respiro universale della Chiesa. Nella Chiesa siamo chiamati a vivere questa dimensione di apertura, accoglienza, e cattolicità. La Porziunzola, culla della vocazione francescana, è per eccellenza culla e immagine della cattolicità e universalità.
Francesco qui ascolta la Parola, vive la Parola, attua la Parola a partire dal contesto della Celebrazione della Festa di S. Mattia: la Parola dell’invio missionario di Gesù.
Tutti siamo vocati a stare con Dio per annunciare il Vangelo in forza del Battesimo uniti all’Ufficio di Cristo. Francesco è un uomo nuovo perché questa Parola di Dio la vuole incarnare e vivere in fraternità, con gioia. E si pone di fronte al grido dei poveri non passivamente, ma lasciandosi interrogare da loro. Evangelii Gaudium ribadisce oggi la necessità di metterci in ascolto dei poveri, di fronte anche a quella grande povertà valoriale che pur si accompagna ad una ricchezza opulenta. Francesco ha tutto ma si sente povero di Dio. E noi come cristiani siamo chiamati ad essere annunciatori del Vangelo, vale a dire ad ascoltare il grido dei poveri portando speranza.
Siamo chiamati a rispondere alle necessità dei poveri attraverso la categoria della testimonianza, una santità della vita di fede e della vita di carità che si protende a tutto campo nel prendersi cura dell’altro. Dalla Porziuncola, casa dell’uomo e casa di Dio, viene il forte richiamo a tenere insieme queste due dimensioni, pena il rischio di spiritualismi (parlando solo di Dio) o di buonismi (se parliamo solo dell’uomo). Francesco vive tutto questo nella sua vita perché Dio si rivela nell’umanità e indica anche a noi la strada per una vita piena.
A conclusione la preziosità di quanto ricevuto si è fatta rendimento di grazie nella solenne Celebrazione Eucaristica in Basilica, interpellati dalla Parola di Dio a vivere nell’oggi proiettati nel “per sempre di Dio”.
A cura di Argia Passoni