L’intervista a Gaia Paradiso / Operatrice della nazioni Unite

La 32enne piacentina è di base ad Antanarivo, la capitale Malgascia, sospesa tra il coprifuoco e la sopravvivenza (Aprile 2020).

Gaia Paradiso non perde il sorriso e lo slancio umanitario, nemmeno ora che è lontana da casa, su un’isola d’Africa, con la quarantena iniziata da tre settimane per il Covid-19 che è arrivato anche laggiù, in Madagascar, dove lei vive e lavora da un anno. La 32enne piacentina è operatrice dell’Onu nella capitale, Antanarivo. Per le Nazioni Unite è “ufficiale di comunicazione” ed opera nell’Agenzia che si occupa del Programma alimentare mondiale. Perché in quei luoghi, più della pandemia, è la fame che fa ancora paura.
«Ci sarà un grande problema economico», prevede la giovane piacentina, che ormai da anni lavora all’estero (dal febbraio 2017 al febbraio 2019 aveva operato in Kenya). Secondo lei, l’elemento chiave – sia per la salute pubblica che per la sicurezza alimentare – sarà la diffusione dell’informazione e l’educazione. D’altronde il suo motto è “Scientia enim est verae divitiae”, che lei – poliglotta – traduce in tutte le lingue del mondo. La connaissance est la vraie richesse./La conoscenza è la vera ricchezza.

In queste settimane si occupa anche di informazione sul Covid?
«Si tutte le agenzie dell’Onu in questo momento sono impegnate nel fare sensibilizzazione a diversi livelli istituzionali e nelle comunità che serviamo. Diamo i tre messaggi fondamentali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, lavarsi le mani, tenere il distanziamento sociale di un metro e cercare di evitare di toccare le superfici e poi toccarsi il viso. Il problema è in Madagascar, in particolare al Sud, non c’è acqua».

Ma senza acqua corrente in casa, come si fa a seguire la regola del lavaggio frequente delle mani?
«L’Unicef distribuisce secchi d’acqua, noi come programma dell’alimentazione abbiamo promosso delle opere per l’irrigrazione e si cerca di recuperare quell’acqua. Poi ci hanno distribuito gel lavamani. A me ne è arrivato un bidone e io ne ho distribuito a tutti coloro che vivevano nel complesso dove abito. Anche le mascherine, su cui c’è grande dibattito se usarle o meno, qua comunque non ci sono. La Fondazione Ah Habà ne ha inviato un bel quantitativo in questi giorni, ma il problema resta».

Quanti contagi si contano finora in Madagascar?
«L’1 aprile erano 46, dopo quattro giorni hanno superato gli 82, ora sono 90 (dati aggiornati a mercoledì 11 aprile) quindi la crescita è continua. Per ora nessun decesso da Covid, stando alle informazioni fornite dall’Oms». Da quando siete isolati? «Il contenimento è iniziato il 21 marzo. All’inizio il presidente aveva annunciato 2 settimane di chiusura, prolungate ora a 3. Alcune misure erano iniziate anche prima: ad esempio noi andavamo in ufficio (ora lavoriamo da casa in smart working) e le guardie di sicurezza ci prendevano la temperatura. L’aeroporto è stato chiuso ai voli internazionali, ma c’è un centro operativo del governo presso l’aeroporto dove si effettuano tutti i test. Hanno aperto una manciata di voli interni in questi giorni, per consentire alle persone di tornare a casa per Pasqua».
Hai il desiderio e la possibilità di tornare in Italia, così come fatto da molti operatori che lavorano in Africa? La Farnesina l’ha contattata?
«Qui esiste l’ambasciata francese ed è molto grande, mentre per noi c’è un piccolo Consolato italiano onorario, che ci ha inviato un formulario google chiedendoci se, in caso di grande epidemia, vogliamo tornare. Ma ora cerchiamo di gestirla qui. Io ho risposto che solo nel caso di rischio alto, sarei interessata al rimpatrio».

Quali misure restrittive ci sono?
«Si può circolare liberamente dalle 6 alle 12 del mattino per fare spesa. Poi chiudono tutto. Ci sono militari fuori che controllano. Non abbiamo certificazioni scritte come da voi in Italia. Le donne qui, in piccoli banchi del mercato, solitamente vendono cachi, pomodori, limoni, avocado, prodotti della loro agricoltura di sussistenza. Anche loro devono chiudere. Sarà una grave perdita economica, anche per queste persone che vivono di economia informale, perché non c’è più commercio. Loro vivono il giorno per la sera.

La povertà già morde in Madagascar?
«Siamo in 25 milioni di persone e il 42% della popolazione è malnutrita, mentre oltre l’80%, vive sotto alla soglia dei due dollari al giorno. Il ministero della Popolazione, della Promozione della donna e della Professione sociale, con il quale stavamo lavorando, si muove ora per dare sussidi alle persone fragili, che già vivono in condizioni miserabili. Stiamo sperimentando proprio in questi giorni un’applicazione col telefono che consente i trasferimenti dei sussidi senza avere contatti.

Ci sono strutture sanitarie?
«Una clinica privata francese (Istituto Pasteur) fa i test Covid, ma bisogna pagare tantissimo. Poi c’è un ospedale privato e un ospedale pubblico fatiscente, nella città. Mentre nel Sud dell’isola ci sono solo piccoli centri sanitari, poco attrezzati»

Come ci si muove a livello di sensibilizzazione sanitaria, con una popolazione abituata a vivere giorno per giorno?
«L’educazione alla modifica del comportamento è il passo più difficile. Noi abbiamo sempre distribuito cibo, olio, riso, oggi lo facciamo osservando il distanziamento sociale. La priorità per tutte le agenzie delle Nazioni Unite è la sicurezza e la sanità. Ma far capire loro che queste sono più importanti del loro cibo quotidiano non è semplice. È il grande dilemma delle persone vulnerabili se non hai cibo nella pancia non capisci più niente ».

Quali mezzi di informazione privilegiate?
«Cerchiamo di raggiungere le persone con poster, manifesti. Usiamo le radio comunitarie, registrando messaggi in francese che qui è la lingua ufficiale, ma anche in malgascio che è la lingua locale.
Occorre più disciplina, cambiamenti nel comportamento sociale, che però non è semplice per una popolazione abituata a stare in strada, nei mercati, in assembramenti, e usare i mezzi pubblici (ora fermi) per tutti gli spostamenti.

Personalmente, come passi le tue giornate?
«Lavoriamo in smart-working; vedo dalla finestra la mattina qualche banco del mercato, dal momento del “coprifuoco” invece solo militari. Stare a casa è ancora più sfidante sono diventata una brava cuoca. Mi sento con persone che conosco e che lavorano in tutto il mondo. O coi miei compagni di Università che ora abitano in Malesia, Ecuador, Colombia (Gaia Paradiso si era laureata alla Cattolica in Economia, con il percorso Deuble Degreie, frequentando anche l’Università di Boston, ndr)».

E con le tue “sorelle” del Soroptimist di Piacenza?
«Sono forti, unite. Mi fanno sentire la loro vicinanza. La presidente Giovanna Ratti, infettivologa all’ospedale di Piacenza, ci tiene aggiornate. Con le donne ti connetti subito; anche qui con le colleghe c’è forte unione. E lo stesso accade con le donne malgasce, le colonne portanti di una casa, con i loro piccoli business, le loro attività imprenditoriali dal basso»

Donata Meneghelli

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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