Stefania Falasca

“A differenza di Chiara d’Assisi, la laica Jacopa non ha lasciato scritti, ma la sua immagine accanto a Francesco costituisce da sola un testamento non scritto. Più attuale che mai”.
Così si conclude l’interessante articolo della vaticanista Stefania Falasca pubblicato nel Mensile dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo” (aprile 2020). Lo riproduciamo qui integralmente, grati all’autrice per l’approfondimento della straordinaria figura di Frate Jacopa, riferimento per la Fraternità Francescana Frate Jacopa, in quanto Iacopa rappresenta emblematicamente l’apertura del messaggio francescano agli uomini e alle donne dell’intera umanità.
Rimandiamo alle pagine successive per la recensione dell’intero Mensile di aprile “Donne Chiesa Mondo”.

E quando Francesco la sentì arrivare non esitò a esclamare davanti ai suoi frati: «Benedetto Dio che ha condotto a noi Donna Jacopa, fratello nostro!
Aprite le porte fatela entrare!» perché «per fratello Jacopa», così riportano Fonti francescane, non valeva «osservare il decreto relativo alle donne» avendo ricevuto «il privilegio di un particolare affetto da parte del Santo». Scrive Paul Sabatier, iniziatore della moderna storiografia francescana:
«Prima di morire, Francesco desiderò rivedere questa carissima amica» a cui lo legava «una comunione profonda». Nell’imminenza del suo dies natalis, dunque, Francesco d’Assisi, non ebbe intorno a sé soltanto i suoi frati. Accanto, ebbe anche una donna, laica, l’unica donna presente al transito del Santo nella casupola di frasche e loto che era stata la sua ultima cella.
Donna Jacopa o, meglio, «frate Jacopa», come la chiamava Francesco, è identificata dalle Fonti come nobildonna di origini normanne, Jacopa de Settesoli sposa di Graziano Frangipane di illustre famiglia romana. Rimasta vedova tra il 1210 e il 1216, con due figli e un patrimonio da amministrare, molto probabilmente sentì parlare di Francesco durante la sua lunga permanenza a Roma, dove era giunto con i suoi penitenti per ottenere da Innocenzo III l’approvazione della loro Regola. Affascinata dalla sua predicazione, Jacopa chiese e ottenne di conoscerlo. Le ripetute visite, i colloqui con Francesco diedero vita a una solidissima amicizia che fece del palazzo romano della nobildonna anche la sua casa ospitale e Jacopa de Settesoli divenne la più valida collaboratrice del nascente Ordine francescano nella Città eterna. Ne assorbì la spiritualità e ne seguì l’esempio pur restando nel mondo, continuando a svolgere i propri compiti di madre e di amministratrice, come capo famiglia, di molti beni e quindi responsabile di molte persone che nei terreni di sua proprietà abitavano e lavoravano.
A volerla accanto nel momento del suo incontro con «sorella morte» era stato lo stesso Francesco. E per lettera l’aveva pregata di affrettarsi a venire, preannunciando a lei l’imminenza della sua dipartita. Un invito accompagnato da alcune richieste, come documenta il testo dal tono familiare della lettera riportato negli Actus: «… E porta con te un panno oscuro in cui tu possa avvolgere il mio corpo, e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma». Ma prima ancora che la lettera partisse, Jacopa era già alla porta della Porziuncola prevenendo come una madre gli stessi desideri del Santo. E per un privilegio di libertà e di pietà, fu lei la prima ad abbracciarlo dopo il transito, accogliendo tra le sue braccia come un figlio colui che l’aveva generata a una nuova vita nello spirito.
È certo significativa la chiamata di questa donna nella circostanza della morte di Francesco al cospetto di frati che pure avrebbero potuto assolvere con diligenza le necessità del momento. E certamente si dimostra carica anche di rimandi evangelici.
Tuttavia, nelle due biografie di Tommaso da Celano, come in quelle di Bonaventura, di questo legame spirituale e dell’ultimo incontro tra Jacopa e Francesco morente non si fa cenno. Un racconto più dettagliato di questo incontro si trova solo nel Trattato dei miracoli, ritrovato alla fine dell’Ottocento. I condizionamenti culturali del tempo influirono notevolmente su questi biografi che si trovarono imbarazzati a far conciliare la sapiente libertà di Francesco con i dettami imposti da una società riguardo alla considerazione verso le donne e con la mentalità del clero che cercava di escludere dalla propria cerchia e rimuovere da sé ciò che non riusciva a far entrare nei suoi schemi e interessi.
È stata rilevata dagli studiosi delle Fonti francescane la portata dei rimandi evangelici della sua presenza al momento del dies natalis del Poverello: il confronto con Maria Maddalena ai piedi della croce, con i Magi, per l’adorazione e i doni. Come i Magi, Jacopa rappresenta l’apertura del messaggio alle donne e agli uomini dell’intera umanità. Ed è proprio questo ciò che incarna la sua presenza, indicata del resto dall’epiteto «fratello» con il quale la designa Francesco. Non ci sono barriere per «frate Jacopa», non ci sono chiusure, recinti élitari. L’unico privilegio che conta è quello del cuore, non della casta, non della congregazione religiosa, del censo, del denaro. Per questo Donna Jacopa è ammessa nella profondità che è il cuore di Francesco, Alter Christus, e nell’abbraccio con lui morente ha il grande dono di cogliere l’abbraccio della misericordia di Dio. «Che ci sia un legame tra Jacopa e il Terz’Ordine francescano – fa osservare la studiosa Lucia Baldo, della Fraternità francescana Frate Jacopa – è attestato anche dal cronista Mariano di Firenze il quale riferisce che nel 1212, dopo il suo viaggio a Roma (dove Francesco incontrò, pare, per la prima volta la nobildonna) il Santo pensò all’istituzione del Terz’Ordine». A differenza di Chiara d’Assisi, la laica Jacopa non ha lasciato scritti, ma la sua immagine accanto a Francesco costituisce da sola un testamento non scritto. Più attuale che mai.

Cappella del Transito alla Porziuncola (Frate Jacopa è sulla destra)

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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