La sapienza del cuore La parola “contemplazione” è spesso intesa in senso superficiale o evanescente, perché si pensa che porti al di fuori della realtà o dei problemi quotidiani della vita comune. Si pensa che sia riservata a chi si chiude nei conventi e vive fuori dal mondo. Questa interpretazione pone una spaccatura tra i contemplativi e coloro che sostengono il “martalismo”, cioè sono protesi esclusivamente a risolvere i cosiddetti problemi pratici.
Per chiarire il significato della parola “contemplazione” è utile scoprire che essa non proviene dalla religione cristiana, ma dal mondo pagano. Nasce dal rito che l’augure pagano faceva per conoscere il destino, il futuro: tracciava con una cannuccia un cerchio, un recinto nel cielo all’interno del quale interpretava il futuro attraverso il volo degli uccelli racchiusi in quel recinto. Contemplando il loro volo prediceva gli eventi.
La parola “contemplazione” è composta da “cum” e da “templum” che significa recinto, luogo separato. “Cum” significa essere in comunione dentro quel luogo sacro, quel modo di essere indicato dalla parola “templum”.
La contemplazione “indica il dimorare col pensiero dentro un luogo sacro che suscita meraviglia e riverenza” (V.C. Bigi, La profezia di Chiara, Ed. Porziuncola, 2003, p. 54), e che è totalmente coinvolgente. Chiede di “fissare l’attenzione e di mantenerla a lungo; un’attenzione non solo intellettiva, ma insieme affettiva che dona consolazione e pienezza di gusto… e produce sapienza” (V.C. Bigi, ibidem, p. 55).
Nell’interpretazione cristiana questo luogo è lo spirito di una Persona divina in cui lo spirito dell’uomo dimora. È fondamentale rapportarsi direttamente a lei (non ai libri che parlano di lei) vivendo le occupazioni della nostra giornata in comunione con lei, seguendola come modello.
La contemplazione non è speculazione, “non si riduce all’idea di Dio. Solo superando l’aspetto astratto ed entrando in una concreta comunione con il Padre o con il Figlio o con lo Spirito Santo, si fa contemplazione” (V.C. Bigi, ibidem, p. 78) e ci si rapporta in una relazione affettiva con le Persone divine.
In Francesco e Chiara c’è sempre la comunione con Cristo. Il recinto, il luogo sacro della loro contemplazione sono i gesti concreti e le parole del modello Gesù Cristo.
La profonda condivisione, la comunione, la concreta sequela, il dialogo, l’imitazione dell’amore di Cristo da parte dell’uomo sono tipici della contemplazione francescana.
La contemplazione cristocentrica è l’anima di tutto il mondo francescano che dà concretamente la sapienza del cuore.

Francesco e chiara veramente teologi
Le biografie testimoniano che Francesco e Chiara erano veramente teologi.
S. Bonaventura dice di Francesco: “Veramente la teologia di questo padre si libra, come un’aquila in volo, sulle ali della purezza e della contemplazione; mentre la nostra scienza striscia col ventre per terra” (FF 1189).
Anche Chiara era considerata sapiente interprete della Scrittura, come risulta dal Processo di canonizzazione in cui sora Angeluccia, monaca del Monastero di S. Damiano, afferma che Chiara “pochi dì innanzi alla sua morte, una sera, incominciò a parlare de la Trinità e dire altre parole di Dio tanto sottilmente, che appena molti dotti le avevano potute intendere” (FF 3110).
Come è possibile che, senza che possiedano scienza teologica, Francesco e Chiara siano considerati veri teologi?
Come è possibile conciliare la sapienza col desiderio di Francesco di farsi “sterile” (FF 1627) della cultura? e con l’affermazione di considerare i libri come una tentazione?
La sterilità nei confronti della cultura non significa opposizione alla cultura, ma significa che la cultura non deve riposare su se stessa bensì sulla contemplazione, cioè sul rapporto diretto con una Persona divina piuttosto che sui libri. La cultura non deve rispondere ad una curiosità o alla ricerca del sapere per il sapere. Secondo Francesco la scienza teologica è una parabola del mistero di Cristo (cfr. FF 1627), pertanto, come tutte le parabole, può consentirci di conoscerlo, ma ci può anche allontanare da esso. È soggetta al rischio e al pericolo di indulgere ai prodotti della mente umana e di compiacersi in essi disattendendo la persona della Trinità su cui si dovrebbe adagiare il nostro cuore.
Un libro è una parabola che è compresa se ci si pone in comunione con una Persona divina. E comunque, per comprendere il mistero di Cristo, la cultura non è necessaria, ma è necessario avere Cristo dentro di sé. Per questo S. Francesco scrive a S. Antonio queste sapienti parole: “Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in tale occupazione, tu non estingua lo spirito della santa orazione e devozione, come è scritto nella Regola” (FF 252).

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata