Giulio Albanese

Quando parliamo o scriviamo, tendiamo a confondere le situazioni complicate con quelle complesse. Proviamo a ragionarci insieme.
Nel primo caso, si tratta di questioni che vanno analizzate e che comunque sono, almeno idealmente, risolvibili. Il termine “complicato”, deriva dal latino “cum + plicare” e significa letteralmente “con pieghe”. Di conseguenza, può essere “spiegato”, identificando le varie parti, ciascuna riconoscibile.
Sì, quasi fossimo di fronte ad una pila di documenti piegati su una scrivania che, uno alla volta, possono essere “dispiegati” per leggerne il contenuto specifico e dunque renderlo intelligibile. Al contrario, il termine complesso deriva dal latino da “cum + plectere”, che significa letteralmente, “con intrecci”, sottintendendo l’estrema difficoltà, se non addirittura persino l’impossibilità, a individuare le modalità per scioglierlo. In determinate situazioni, ad esempio, le condizioni morbose di un paziente in ospedale, possono essere determinate da più malattie, diverse tra loro, non solo sono compresenti, ma tendenti ad interagire tra loro in modo non agevolmente valutabile.
L’equivoco di fondo, nella nostra società e spesso nelle nostre stesse comunità cristiane, sta proprio nel fatto che affrontiamo i problemi come se fossero “complicati”, cioè risolvibili in modo a sé stante, mentre invece sono “complessi”. Sta di fatto che, seguendo questa procedura, ad esempio, certi politici hanno, semplicemente, alzato le tasse, credendo così di diminuire il debito pubblico, per raggiungere il pareggio di bilancio, senza però rendersi conto che, così facendo, penalizzavano la spesa per gli investimenti, acuendo la disoccupazione.
A tale proposito è utile riflettere sulla comune origine filologica che accomuna questi due termini, ovvero la radice indoeuropea: “plek”. Da questa parolina deriva in latino il verbo “plicare” (piegare); il verbo “plectere” (intrecciare), il suffisso “plex” (parte) e la parola “sine plex” da cui proviene nella nostra lingua italiana la parola “semplice”.
La vera sfida, dunque, nel nostro tempo, quello della globalizzazione, consiste nel comprendere la complessità di tutto, senza scadere in banali semplificazioni. Per affrontare correttamente un fenomeno complesso, occorre conoscerlo nei dettagli, negli effetti, nelle cause e non solo come semplice analisi delle parti, perché il risultato finale non è la semplice somma delle componenti. Questo, in sostanza, significa, guardando ad esempio alla questione migratoria, che questa, se opportunamente valutata, non può prescindere dalle cause che la generano (guerre, sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali, povertà…) e dalle difficoltà sociali, politiche, legislative ed economiche dei Paesi di accoglienza. Tutti questi fattori, interagiscono tra loro, a volte rendendo la matassa estremamente intricata e di difficile soluzione.
La stessa missione evangelizzatrice, proprio perché influisce con la condizione esistenziale dell’umanità (spirituale, sociale, politica, economica…), a tutte le latitudini, è un fenomeno complesso. Per questi motivi occorre essere pensanti, operando un sano discernimento sulle questioni da affrontare, se intendiamo segnare la svolta, quella dell’agognato cambiamento…