No alla “mondanità spirituale”
Il Papa ha più volte messo in guardia la Chiesa dalla pericolosa tentazione della “mondanità spirituale che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa” (EG 93). Tale mondanità si manifesta in “forme distorte di cristianesimo” (DD 17) che, essendo legate all’apparenza, sembrano corrette, ma non lo sono, poiché pongono il rapporto con Dio alla maniera del mondo ovvero al servizio di sé e non del suo amore.
Accade così che non si cerchi la gloria che viene da Dio, ma la vanagloria che proviene dal plauso e dall’ammirazione degli altri nei nostri confronti. Accade che non si cerchi la diffusione del Vangelo, ma la promozione di sé.
È quello che Gesù rimprovera ai farisei dicendo: “Come potete credere, voi che cercate gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” (Gv 5,44).
La mondanità spirituale può essere alimentata in due modi profondamente diversi, ma legati tra loro dall’“autocompiacimento egocentrico” (EG 95): lo gnosticismo e il neo-pelagianesimo. “Il primo riduce la fede cristiana ad un soggettivismo che chiude l’individuo nell’immanenza della propria ragione o dei propri sentimenti. Il secondo annulla il valore della grazia per confidare solo nelle proprie forze” (DD 17).
Papa Francesco propone di sanare questa mondanità con un cammino di fede autentica per poter assaporare “l’aria pura dello Spirito Santo che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio” (EG 97).
Sì ad un cammino di fede
Avere fede in Dio significa pensare che la propria salvezza sia perseguibile nel tempo attraverso un cammino compiuto in comunione con Cristo che è l’unico mediatore inviato dal Padre affinché viviamo in pienezza il tempo della nostra vita come ritorno al Padre.
In continuità con l’affermazione di Benedetto XVI, che, nella Lettera Enciclica “Deus Caritas Est”, pone all’inizio dell’essere cristiano l’incontro con Cristo (cfr.DCE 1), papa Francesco, nella Lettera Apostolica “Desiderio Desideravi”, dà una definizione netta della fede autentica: “La fede cristiana o è incontro con Lui vivo o non è” (DD 10).
Prosegue il papa: “La liturgia ci garantisce la possibilità di tale incontro” (DD 10). Essa è un “luogo privilegiato” (DD 33) anche se non l’unico per incontrare Lui. “La sacra liturgia è la fonte primaria di quel divino scambio nel quale ci viene comunicata la vita di Dio, è la prima scuola del nostro animo, è il primo dono…” (DD 30).
Grazie ad essa, sotto l’azione dello Spirito Santo, possiamo “perfezionare la nostra conoscenza del mistero di Dio, che non è questione di comprensione mentale, ma di relazione che tocca la vita.”(DD 39). Tale conoscenza “consiste in un reale coinvolgimento esistenziale” (DD 41) che ci fa “diventare come Lui”.
“In perfetta continuità con l’incarnazione, ci viene data la possibilità, in forza della presenza e dell’azione dello Spirito, di morire e risorgere in Cristo” (DD 12).
Grazie all’incontro con Cristo vivo, reso possibile prima di tutto dalla liturgia, “la nostra vita non è un susseguirsi casuale e caotico di eventi, ma un percorso che, di Pasqua in Pasqua, ci conforma a Lui nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore, Gesù Cristo” (DD 64).
Vedere l’invisibile nel visibile
L’azione liturgica coinvolge in modo esistenziale ed accade per via sacramentale, cioè non riguarda la conoscenza astratta, ma è fatta di cose (pane, vino, acqua, profumo, fuoco, cenere, pietra, stoffa, colori, corpo…) che sono segni visibili dell’invisibile.
Ma l’uomo moderno ha perso la capacità di comprendere i simboli che da potenti sono diventati fragili e insignificanti e hanno perso la loro forza. Il linguaggio simbolico della liturgia è diventato quasi inaccessibile all’uomo moderno.
“Non abbiamo più lo sguardo di S. Francesco che guardava il sole – che chiamava fratello perché così lo sentiva – lo vedeva bellu e radiante cum grande splendore e, pieno di stupore, cantava: de te Altissimo porta significazione” (DD 44).
Per accostarsi alla liturgia bisogna far riemergere la capacità di vedere l’invisibile nel visibile. “L’uomo deve diventare nuovamente capace di simboli” (DD 44) per recuperare – come insegna il Vaticano II – la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica che è la “prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano” (DD 1).
Graziella Baldo
Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata