“Occorre diffondere un nuovo umanesimo, educando ogni persona di buona volontà, e in particolare le giovani generazioni, a guardare alla vita come al dono più alto che Dio ha fatto all’umanità”. Lo affermano i vescovi italiani nel messaggio per la Giornata nazionale per la vita che si celebra domenica 6 febbraio. Con queste parole indicano come la promozione per la vita debba essere sviluppata attraverso scelte coraggiose, ma, ancora prima, con un impegno di tipo culturale. Oggi è urgente.
Riaffiora il legame tanto importante di carità e verità: il cristianesimo senza la verità si ridurrebbe ad una riserva di buoni sentimenti o, quanto meno, a scelte che, in fondo, sarebbero soggettive. Le tante iniziative a favore della vita devono essere l’espressione di una cultura a favore della vita, cioè di una visione globale della persona e del suo destino trascendente. La necessità di passare dal piano dell’azione a quello della cultura è in sintonia con il cammino della Chiesa in Italia, che ha scelto di dedicare le proprie energie al momento educativo.
Lo indicano gli stessi vescovi: “L’educazione è la sfida e il compito urgente a cui tutti siamo chiamati, ciascuno secondo il ruolo proprio e la specifica vocazione”. Se il sostegno alla vita può essere legato a qualche circostanza, che conduce ad essere solidali con chi è in difficoltà, l’impegno educativo chiede un impegno costante e, forse, più faticoso. Per rendersi conto di questa urgenza è sufficiente considerare, quasi richiamandoli dal torpore e dall’anonimato in cui vivono, due fattori contemporanei che sono decisivi per il modo di vivere di tanti. Sono come due nemici non fisici, ma spirituali; non si vedono immediatamente, ma il loro influsso è nell’aria che si respira.
Innanzitutto, il relativismo, la cui forza, ormai, è simile a quella di una dittatura. Sul piano etico influisce da tempo conducendo a pensare che tutte le scelte siano di segno uguale e determinate solo dalla circostanza in cui ci si trova. Sul piano teoretico insinua la convinzione che non ci sia nulla di certo e che neanche sia importante cercarlo. Davanti al relativismo non c’è molto da patteggiare: scendere a compromessi è già cedere alla sua seduzione. La Chiesa è, forse, l’unica ad affermare l’esistenza di principi non negoziabili, perché ragione e fede dicono la loro consistenza.
Il rispetto per la persona, dal concepimento alla morte naturale, la dignità del matrimonio, unione dell’uomo con la donna, la libertà religiosa, in questo momento così violata, costituiscono il fondamento indispensabile per rimanere nella civiltà. Ritenere che si possano adattare alle circostanze o che non siano così importanti, al punto che altri principi lo sarebbero allo stesso modo, equivale a cedere al relativismo. Su questi principi si fondano armonicamente tutti i diritti e i conseguenti doveri della società: l’accoglienza del diverso, la realizzazione nel lavoro o nella casa, la formazione intellettuale e morale, etc.
L’educazione, in quanto trasmissione di obiettivi credibili sui quali costruire la propria esistenza è la doverosa obiezione di coscienza alla dittatura del relativismo. Ma non è la sola. Lo ha ricordato il card. Angelo Bagnasco, incontrando il 30 gennaio un nutrito gruppo di sacerdoti genovesi. È necessaria la preghiera. Il relativismo non è solo un problema culturale ma, più profondamente, spirituale e costituisce una sottile, ma reale, opposizione a Dio e alla sua verità. Senza esagerare, esso ha qualcosa di “diabolico”, perché mira a separare l’uomo dalla legge di Dio, perché insinua al fondo l’idea che Dio non esista o che le scelte umane, specialmente quelle più gravi, siano indifferenti in ordine alla vita eterna. Occorre pregare affinché gli uomini non si allontanino da Dio. Non a caso la Giornata per la vita viene celebrata come preghiera.
Un secondo fattore che domanda attenzione è quello dell’individualismo, così radicato nella società occidentale. Forse, un po’ per colpa della filosofia, che per secoli ha teorizzato che l’uomo sia un individuo di natura razionale e basta. Omettendo che ha anche una traccia trinitaria, che è la relazione. Su questo aspetto altre culture, rimaste immuni da un aspetto negativo del pensiero filosofico, sono maggiormente inclini alla fraternità e alla cura dell’altro. Occorre tornare a pensare che la realizzazione della vita non consiste nella costruzione di sé, attraverso il successo, il denaro, il potere e il piacere, ma nella espropriazione di sé. A immagine di Cristo che, pur essendo di natura divina, ha svuotato se stesso per divenire simile agli uomini. Ritorna oggi, quanto mai urgente la convinzione che nella vita è importante servire. Sempre il card. Bagnasco suggeriva ai preti di avviare presto gli adolescenti a qualche scelta di servizio a favore, per esempio, di persone anziane o sole. L’esperienza di servire l’altro è talmente forte che fa sciogliere come neve al sole i tanti messaggi che la vita sarebbe solo l’attimo presente da vivere senza pensare a nulla.
Marco Doldi