Convegno “La via della misericordia” – Roma 30 aprile-1 maggio 2016

p. Martin Carbajo Nùñez, Ofm

Locandina-molto-piccola1-208x300Mi è stato chiesto di parlare sulla misericordia come virtù civile. Cercherò di mostrare l’importanza di essa per far fronte alle sfide etiche globali odierne e poter costruire adeguatamente la vita in società1.
Nella prima parte di questa relazione analizzerò alcune sfide etiche globali. Farò notare che il paradigma tecnocratico analizza e disseziona, ma non è in grado di arrivare a una visione globale e inclusiva. Nella seconda parte si mostrerà che la virtù civile della misericordia deve permeare lo sviluppo, la giustizia, le relazioni internazionali, la comunicazione e la politica.

1. Un mondo immisericordioso, senza beni relazionali
Il sistema economico globale sacrifica tutto all’efficienza e propone l’interesse come motore del progresso. La lotta di tutti contro tutti sarebbe il modo più efficace di stimolare la creatività e lo sviluppo, oltre a generare le risorse necessarie per poter soccorrere, in un secondo momento, le inevitabili vittime.

1.1. Il paradigma tecnocratico e cultura dello scarto
La Chiesa respinge l‘attuale paradigma tecnocratico, che sostituisce la politica con criteri tecnici e scientifici. “La tecnologia, legata alla finanza, pretende di essere l’unica so luzione dei problemi”. Anziché accogliere e valorizzare, preferisce analizzare, oggettivare, dissezionare. Il paradigma tecnocratico si traduce, a livello soggettivo, in un consumismo esacerbato che riduce tutto all’irrilevanza, a semplici prodotti da usare e gettare in modo compulsivo.
A livello personale e internazionale, si tende a etichettare ed escludere i diversi e quelli che risultano scomodi, rendendo molto difficile il loro reinserimento nella vita sociale. I poveri e gli emarginati sono già “la maggior parte del pianeta”. Anche su Internet è sufficiente un clic per sbarazzarsi dell’“amico” fastidioso.

1.2. La gratuità e la misericordia escluse o ignorate
L’antropocentrismo moderno, individualista e dominatore, esclude la gratuità e promuove la legge del più forte. “Qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato”. La logica del dominio prevale sull’accoglienza e così si cerca di sottomettere e analizzare, anziché contemplare e “ri-conoscere”.

1.2.1. Una dialettica di perenne conflitto
L’indifferenza globale è un’altra manifestazione della concezione antropologica negativa (homo homini lupus) che è alla base della cultura moderna. Si ritiene che l’uomo non sia affidabile e che il suo agire risponda sempre all’istinto di autoconservazione. Di conseguenza, si giustifica una dialettica di perenne conflitto a tutti i livelli. In economia, si promuove la guerra di interessi come il modo più efficace di favorire lo sviluppo; in politica, si parla di scontro delle civiltà e si prepara attivamente la guerra con la scusa di garantire la pace (“Si vis pacem para bellum”); in medicina, si lasciano da parte i trattamenti olistici per favorire la lotta diretta contro gli agenti patogeni; a livello socio-culturale si cerca l’omogeneizzazione per sbarazzarsi di qualunque alterità scomoda. L’eliminazione dell’altro, ad ogni livello, sarebbe una potatura necessaria per far sì che l’albero sociale possa rivitalizzarsi e crescere. p
L’uomo sarebbe costretto a sottomettere le forze ostili della natura per poter sopravvivere, giacché lui stesso sarebbe “estraneo al contesto ambientale in cui vive”. Si privilegia così una visione della natura come campo di battaglia di tutti contro tutti (“o mangi o sei mangiato”). La lotta per l’esistenza tra le specie sarebbe inevitabile e necessaria per garantire la selezione naturale e l’evoluzione (Darwin). Solo gli organismi più forti e meglio adattati prevalgono: gli altri sono un ostacolo da eliminare. La crisi ecologica è frutto di questa visione conflittuale che isola e allontana.

1.2.2. L’odio e la vendetta istituzionalizzata
Gruppi fondamentalisti, come l’auto-proclamato “Stato islamico” (Dáesh o Isis), utilizzano la simbologia dello scontro e della morte per tentare lo sterminio fisico e psicologico degli “altri”, spingendo i propri seguaci a immolare la propria vita per fare il maggior numero possibile di vittime anonime. Oltre a uccidere fisicamente, cercano pure di terrorizzare il resto della popolazione, utilizzando i Mezzi di Comunicazione Sociale (MCS) per amplificare l’effetto della loro brutalità.
Con una retorica equivalente, alcuni politici occidentali usano termini apocalittici per giustificare la propria reazione violenta e spietata. Il modo in cui il mondo ha esaltato l’eliminazione di Bin Laden è solo un esempio.
In questa stessa logica di vendetta spietata, si continua ad applicare la pena di morte decenni dopo che il delitto è stato commesso, senza dare all’imputato alcuna possibilità di redimersi, anche quando non costituisce più una minaccia per la società: “Chi rompe, paga’” senza condono né “per-dono”.

1.3. Relazioni fredde e strumentali
Attualmente, i MCS offrono molteplici modalità di contatto, ma possono altresì isolarci “dai nostri vicini, le persone accanto a noi”. Di fatto, molte persone sono oggi più connesse “ma non si sentono coinvolte, non vivono la compassione”. Questa indifferenza globale, che è l’atteggiamento opposto alla misericordia, minaccia la pace e mette a rischio l’equilibrio ecologico.
Il mancato riconoscimento dell’altro come un Tu (“non-tuismo“) è giustificato dai liberali come la base più sicura per poter garantire una convivenza autenticamente democratica, giacché questo tipo di relazioni anonime libererebbe l’individuo da dipendenze sociali asfissianti, permettendogli di avere la giustizia come unico referente, sia nell’ambito civile che in quello economico. Nel primo caso, potrà relazionarsi in modo maturo e autonomo; nel secondo, potrà gestire le questioni economiche in modo razionale e metodico.
martin 2Questo tipo di relazioni monetarie e strumentali (“ti pago e basta”) facilita la guerra di interessi, perché risulta più facile approfittarsi dell’altro quando si tratta di un essere anonimo, senza volto, uno sconosciuto. Anziché “darsi amichevolmente la mano”, si preferisce far appello a una mano invisibile che ignora “la realtà stessa di ciò che ha dinanzi”, mentre si esalta l’avidità come motore dello sviluppo. Le decisioni sono prese in modo freddamente obiettivo, sulla base dell’indifferenza.
La mancanza del contatto faccia a faccia porta a perdere il rispetto e l’ammirazione di fronte al mistero del Tu. Risultano così più facili l’esibizionismo, il bullismo (cyberbullying) e perfino l’eliminazione a distanza di migliaia di esseri umani (guerra con droni), come se si trattasse di un videogioco.
Si parla di povertà, ma si evita il contatto diretto con i poveri. “Tanti professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in aree urbane isolate, senza con tatto diretto con i loro problemi”.

2. La necessità della virtù civile della misericordia
Di fronte al non-tuismo e alla globalizzazione dell’indifferenza, Papa Francesco insiste sulla misericordia come nucleo del messaggio evangelico e sintesi della fede cristiana. La misericordia è anche il filo rosso del suo insegnamento e dei suoi viaggi. Il suo motto episcopale (“miserando atque eligendo”) indica che Dio guarda ciascuno con occhi di misericordia, gli assegna una missione unica e irripetibile, non si stanca mai di aspettarlo, lo redime. Siamo “miseri”, ma “cordialmente” amati.
Dio rivela la sua onnipotenza “soprattutto con la misericordia e il perdono”. Accogliendo la gratuità divina, l’uomo si sente chiamato a guardare tutti e tutto con occhi di misericordia. Questo atteggiamento misericordioso non è sinonimo di ingenuità e neppure un “buonismo” irresponsabile che trascura la verità e la giustizia. La fede nell’Onnipotente porta ad amare la persona al di sopra di tutto, proteggendola perfino da sé stessa.

2.1. L’amore misericordioso, principale forza dello sviluppo
L‘amore misericordioso è l’origine, la forza principale ed il destino dello sviluppo umano integrale. Di fatto, il vero sviluppo è un dono divino, che sorge con la fraternità e la potenzia ulteriormente. Senza carità e senza fiducia reciproca il mercato si blocca.
“La vittoria sul sottosviluppo richiede di agire […] soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione. […] Sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco” (CV 39).
La carità stimola l’impegno e la responsabilità nel collaborare per il bene comune. Non è un impulso irrazionale, confuso, arbitrario. Senza una certa simpatia non si conosce nessuno e niente!”.
Le relazioni familiari sono un esempio della gratuità che sprona alla collaborazione e alla promozione disinteressata dell’altro. Anche nella vita pubblica, benché l’amore possa sembrare inefficace per risolvere i problemi pratici, in realtà è la maggiore potenzialità umana, quella che più influisce sulla trasformazione della società, come hanno dimostrato i santi e tanti altri personaggi della storia. I Monti di Pietà e il microcredito sono soltanto alcune delle molte iniziative che dimostrano che ciò si verifica anche nel campo economico.

2.2. La giustizia in chiave di misericordia
In una società che promuove il non-tuismo e le relazioni basate sull’interesse monetario (cash nexus), la giustizia è spesso intesa in senso impersonale, oggettivistico e minimalista. Prendendo spunto della definizione classica: “dare a ciascuno il suo”, la giustizia viene ridotta a una norma per le transazioni del dovuto, a un freddo scambio di beni materiali (“i diritti”), esteriori al soggetto: “Ti do quanto ti devo e basta”. Ciò che conta non è la persona, ma gli oggetti scambiati. Il prossimo continua ad essere un estraneo trattato con indifferenza. Questo tipo di giustizia garantisce l’autonomia, ma non la fraternità; l’ordine, ma non la pace.
Questa giuridificazione della società ha avuto il suo riflesso anche a livello teologico. Il peccato sarebbe “il rifiuto di rendere a Dio il dovuto”, non sottomettendo interamente la propria volontà alla sua e offendendo così la sua santità. Per restituire a Dio ciò che gli appartiene e placare la sua ira, sarebbe stato necessario il sacrificio del suo Figlio in croce, perché solo Lui poteva riparare questo debito infinito. Prendendo spunto da queste affermazioni, si potrebbe arrivare a pensare che il dolore, piuttosto che l’amore, avrebbe avuto un posto centrale nella Redenzione.
Anselmo di Canterbury (1033-1109), nel tentativo di rendere comprensibile ai non credenti la sua teoria di soddisfazione, usa un primo livello di ragionamento logico e oggettivo, con un linguaggio tipicamente giuridico-feudale. Questo livello, però, dovrebbe essere sempre inteso insieme agli altri due, in modo che l’intellectus fidei diventi pure contemplatio e visio. Anselmo sottolinea che la misericordia di Dio è sempre espressione coerente di giustizia, di grazia e di assoluta libertà. Il Padre non ha costretto il Figlio “a morire controvoglia, e non ha permesso che fosse ucciso, ma lui stesso, di sua spontanea volontà, ha sopportato la morte per salvare gli uomini». “Dio non aveva bisogno di alcun sacrificio: è l’uomo che aveva bisogno di tale morte per essere redento”.
Inoltre, le tendenze rigoriste e tuzioriste dei secoli XVII e XVIII sottolineano il pessimismo antropologico, sottomettono la coscienza alla rigidità della legge e trasformano il sacramento della riconciliazione in una giudizio carico di severità, che spesso porta alla negazione dell’assoluzione e della comunione sacramentale. Papa Francesco, tuttavia, ricorda che “il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia”. martin 3
Oggi, il mondo globalizzato ha bisogno di assumere un concetto più personalistico di giustizia, alfine di tutelare la dignità della persona e il suo rapporto con gli altri. In effetti, la giustizia “non significa vendetta, bensì la misericordia”; è una questione di cuore anziché un preciso calcolo del dovuto. La condanna e la lotta contro gli abusi non devono impedire di guardare cordialmente il “misero” aggressore.
“Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia” (CV 38).
Il più grande criminale non smette di essere un povero uomo, bisognoso di aiuto per poter superare la propria brutalità. L’opzione preferenziale per i poveri e gli esclusi si estende pure al nemico e all’aggressore ingiusto, che hanno il diritto di essere protetti perfino da loro stessi per renderli capaci di superare la propria malvagità. Allo stesso tempo, si deve fare il possibile perché possano redimersi e reintegrarsi nella comunità.
Il fare giustizia, pertanto, significa proteggere gli innocenti e, allo stesso tempo, restituire la dignità a chi l’ha perduta, dandogli la possibilità di sentirsi di nuovo giusto. Altrimenti non si potrà mai dire di essere riusciti a ridargli ciò che è più suo. Nella Bibbia, infatti, la giustizia è sempre espressione di amore che perdona e che spinge a costruire insieme il destino comune. Praticando questo tipo di giustizia, sarà più facile costruire una cultura della solidarietà, misericordia e compassione, oltre a una relazione più armonica con la natura.

2.3. La risoluzione dei conflitti
Gli esperti in dinamica di conflitti segnalano quattro punti fondamentali per arrivare a una risoluzione duratura: 1) Separare la persona dal problema. 2) Focalizzarsi sugli interessi o sulle necessità che sottostanno alle posizioni contrastanti. 3) Ipotizzare un ventaglio di risoluzioni che possano essere vantaggiose per entrambe le parti. 4) Insistere sull’uso di criteri obiettivi.
Si tratta sostanzialmente di fondare l’accettazione reciproca su nuove basi, al fine di evitare tensioni e di aprire alla collaborazione. A questi quattro punti, la Chiesa aggiunge la necessità della conversione e della misericordia. Dal cuore escono le ingiustizie e, di conseguenza, è necessario guarirlo per rendere possibile la riconciliazione e la giustizia, quella che non si limita a denunciare gli abusi altrui, mentre giustifica i propri. Perfino la soluzione del problema ecologico richiede la conversione, “un cambiamento dell’essere umano”.
“Le migliori strutture, i sistemi meglio idealizzati diventano presto inumani se le inclinazioni inumane del cuore dell’uomo non sono risanate, se non c’è una conversione del cuore e della mente di coloro che vivono in queste strutture o le dominano” (EN 36).

2.4. Recuperare la logica del dono
Il profeta Isaia accetta di svolgere la propria missione quando, alla luce della santità di Dio, si scopre “un uomo dalle labbra impure” (Is 6,5), ma gratuitamente amato e sostenuto. Questa profonda esperienza di gratuità rende possibile la logica del dono e il “per-dono”, che sono essenziali per guarire la radice dei conflitti e stabilire relazioni fraterne.
Bisogna sviluppare un’etica della cura e della tenerezza, perché “non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerez za, compassione e preoccupazione per gli esseri umani”.

2.5. Una famiglia cordiale e universale
“Noi tutti es seri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale“ (LS 89), così strettamente relazionata che “la desertificazione del suo lo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione” (LS 89).
Riconoscendo quest’unità nella diversità, Edgar Morin dice: “Il vero umanesimo è quello che riconosce in ogni essere vivente un altro simile e, allo stesso tempo, diverso da me”. Infatti, tutte le creature esistono solo in dipendenza, e sono state create “per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre”. La natura potenzia la collaborazione tra tutte le creature, sia a livello dei microrganismi sia ad altri livelli più facilmente verificabili da noi. Ad esempio, senza l’impollinazione delle api saremmo privati di molti frutti; senza il lavoro dei vermi, la terra non potrebbe rigenerarsi.
Abbiamo bisogno di un approccio olistico, che metta in evidenza l’interdipendenza organica di tutto il creato.

2.6. La politica della misericordia
A livello internazionale, il dialogo e la misericordia dovrebbero guidare la risoluzione dei conflitti. Una politica di misericordia non confonde la persona con il problema, cerca sempre l‘intesa, non cataloga l’avversario come nemico irrecuperabile, disattiva la spirale dell’odio e dell’intolleranza. Il suo scopo è quello di “creare ponti, favorire l’incontro e l’inclusione”, “uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette”, “prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti”.
Non è mai troppo tardi per cercare la pace e la riconciliazione. Pertanto, “è auspicabile che anche il linguaggio della politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto”. Si deve anche superare la politica dei blocchi chiusi e “la logica binaria che divide il mondo in vittime e carnefici”, buoni e cattivi, perpetuando così la mutua diffidenza. Vanno perseguiti invece obiettivi politici di alto profilo, finalizzati al bene comune di tutta la famiglia umana, superando il populismo e l’ossessione per i risultati a breve termine.
I biografi di Francesco d’Assisi, modello di riferimento per il Papa, fanno notare che “tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace“. Sottolineano pure che il poverello si poneva in mezzo ai litiganti, provava compassione per entrambe le parti e cercava di risolvere le cause oggettive del problema, insistendo pure sulla necessità del perdono2.
La Chiesa ha fiducia nell’umanità e, di conseguenza, il Papa invita alla responsabilità e alla speranza, invece di insistere sulla denuncia: “È molto quello che si può fare!”. La decentralizzazione sussidiaria è preferibile alle decisioni prese dall’alto, che spesso risultano difficili da assumere da parte della popolazione. Faciliterà anche il prendersi cura dell’ambiente, che “è un bene comune, di tutti e per tutti”.
Il Papa invita a “custodire le ragioni della speranza”, “a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza”, a “maturare un cuore umile e compassionevole”.

Conclusione
Abbiamo analizzato alcune sfide etiche globali che mettono in luce gli squilibri di un mondo immisericordioso. L’analisi fatto dimostra che è urgente ricuperare la misericordia come virtù civile. L’attuale paradigma tecnocratico ha favorito la cultura dello scarto e ha privilegiato il ben-avere sul ben-essere.
Abbiamo bisogno di recuperare la gratuità, la fraternità e il bene comune, cioè quel tipo di relazioni familiari che poggiano sulla misericordia e sul perdono.
La Chiesa, “ sacramento universale della salvezza” (GS 45), proclama che tutte le cose saranno ricapitolate in Cristo (Ef 1,10) e cerca di promuovere le relazioni fraterne e affettuose a tutti i livelli. Infatti, il piano di Dio è sempre rivolto all’intera famiglia umana, intesa come un unico corpo sociale.
Questa fratellanza universale si oppone radicalmente al non-tuismo capitalista. Il prossimo non è un essere anonimo, senza volto, e neppure un avversario da sconfiggere o ingannare, ma un dono dell’Onnipotente e un compagno di strada del quale mi sento responsabile. Nella grande famiglia cosmica, niente e nessuno è superficiale o accessorio. Siamo chiamati a rafforzare questi legami familiari e misericordiosi, mentre camminiamo insieme verso «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap 21,1).

p. Martin Carbajo Nùñez
Pontificia Università Antonianum

1 La versione originale, ampliata e completa, in lingua spagnola e con apparato critico, della maggior parte della presente relazione: M. CARBAJO NÚÑEZ, «Desafíos éticos globales a la luz de la encíclica Laudato Si’ y del Jubileo de la Misericordia», in Didaskalia 46/1 (2016) 73-99.
2 Cf. M. CARBAJO NÚÑEZ, Crisis económica. Una propuesta franciscana, BAC, Madrid 2013, 60-62

etica globale

Il mondo globalizzato offre molte possibilità di comunicazione a distanza, ma crea anche particolarismi e discriminazioni. Come contribuire a creare un mondo più solidale e fraterno, senza esclusi? San Francesco d’Assisi e il pensiero francescano possono servire da ispirazione e da segno profetico per un’umanità riconciliata, che rispetti e salvaguardi la creazione.
In questa linea, proponiamo l’ospitalità come la risposta etica più adeguata alle sfide della globalizzazione. La presenza dialogante e l’apertura all’Altro, agli altri e alla natura, sono una base sicura per costruire un futuro di speranza e una convivenza pacifica, rispettosa e arricchente tra civiltà, religioni e culture.
Il libro è edito dalle Edizioni Messaggero Padova.

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Il mondo globalizzato sta soffrendo una grave crisi economico-finanziaria che ha condotto sull’orlo della bancarotta diversi Paesi occidentali, tra cui l’Italia. Molti analisti concordano nell’affermare che essa non si configura come una delle tante situazioni critiche congiunturali, frequenti nel sistema capitalistico, ma come una vera e propria crisi strutturale che sembra aver messo in discussione l’intero impianto economico e i fondamenti antropologici su cui si reggeva.
Il libro documenta l’attualità dell’importante contributo che i francescani hanno offerto alla riflessione e alla pratica economica nei secoli XIII-XV, svolgendo un ruolo decisivo nella nascita della moderna economia di mercato e arrivando persino a fondare istituzioni finanziarie come i Monti di Pietà.
Risulta davvero paradossale – ricorda l’autore – che un contributo così significativo all’umanizzazione della nuova economia sia stato dato proprio da coloro che avevano scelto di abbracciare la povertà più radicale. Proprio per questo non si può escludere che le risposte di ieri possano orientare la ricerca di soluzioni da dare ai problemi di oggi.
Il libro è edito dalle Edizioni Dehoniane Bologna.