II parte

S. E. Mons. Mario Toso

7. L’ESPERIENZA DELLA NON VIOLENZA A SERVIZIO DELLA RIGENERAZIONE DELLA POLITICA

img77Muoviamo qui dall’obiettivo di papa Francesco. «In questa occasione – scrive il pontefice – desidero fermarmi sulla non violenza come stile di una politica di pace».29 Cerchiamo di capire meglio quanto egli si ripropone di insegnare con il suo Messaggio. Lo si può ricavare da quanto si legge subito dopo. Secondo papa Francesco oggi è necessario imprimere nei rapporti interpersonali, in quelli sociali ed internazionali, in quelli politici a tutti i livelli, nelle nostre decisioni e nelle nostre azioni un nuovo modo di essere, di percepire, di atteggiarsi nei confronti degli altri, siano essi singoli o popoli. Il pontefice auspica un cambiamento o conversione radicale nella relazionalità – pena la distruzione del genere umano –, a partire dalla considerazione della altissima dignità di tutte le persone. Questa esige il superamento della violenza e della vendetta. Le controversie tra singoli e popoli vanno risolte sulla base della ragione, del diritto, della giustizia e dell’equità, come hanno insegnato san Giovanni XXIII e il beato Paolo VI. La via della violenza non risolve i problemi, li aggrava. Violenza chiama violenza. «Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo.
Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti».30 In definitiva, papa Francesco, in vista della pace propone una relazionalità che non sia contrassegnata dall’odio e dalla sopraffazione, dall’indifferenza. Solo una relazionalità positiva, ovvero caratterizzata dal pro-essere, dalla cura per l’altro, genera il bene della pace, umanizza la politica. Questa, infatti, è autentica allorché è azione a servizio del bene comune, dello sviluppo integrale e sostenibile per tutti e, quindi, inclusivo. La politica vera non va a braccetto con la violenza, con l’esclusione. Essa è agli antipodi di tutto ciò che provoca ingiustizia, attacchi alla sicurezza altrui, morti e distruzioni. È proprio della politica porre in atto tutte quelle condizioni sociali che consentono ai singoli, alle famiglie e ai popoli il compimento umano in Dio.
Ciò premesso è facile comprendere come per papa Francesco la nonviolenza attiva e creativa può essere fonte di ispirazione di un nuovo stile per la politica, che deve essere naturalmente protesa alla realizzazione della pace, e non distratta rispetto alle esigenze dei poveri, carne sofferente di Cristo.img79
Più volte il pontefice argentino è intervenuto a stigmatizzare lo stravolgimento dell’essenza e della missione della politica, prona al servizio dei più potenti, più preoccupata degli interessi di pochi, resa strumento di conquista di posti e di spazi, meno dedita alla gestione efficace della cosa pubblica, a debellare la fame e la povertà, nonché le crescenti diseguaglianze, a motivo di una globalizzazione non adeguatamente governata.
In un contesto di finanziarizzazione dell’economia e della nascita di un nuovo imperialismo materialista finanziario, la politica non ha posto contrappesi o equilibri al capitale. Anzi. Ne è divenuta, spesso complice nello sfruttamento dei più deboli, nella devastazione dell’ambiente, nella destrutturazione dell’economia reale, nella creazione di nuove forme di schiavitù, come quelle prodotte dalla tecnocrazia, ossia dalla tecnica elevata ad assoluto, ad unico mezzo di soluzione di tutti i problemi.
La politica ha, inoltre, mostrato di essere succube della tirannia invisibile della finanza speculativa, causata in parte anche dalle stesse decisioni dei Governi che hanno liberalizzato i mercati monetari.

Gli Stati non battono più moneta ed è di fatto negato il loro diritto di controllo in nome della tutela del bene comune. Si è così generato il capovolgimento nel rapporto tra politica ed economia, che ha provocato l’attuale situazione per cui non sono più i governi e i parlamenti democraticamente eletti che regolano la vita economica in funzione degli interessi generali, ma sono i mercati che impongono agli Stati politiche antidemocratiche e antisociali, a vantaggio degli interessi privati, della massimizzazione dei profitti, delle speculazioni finanziarie e della rapina dei beni comuni e vitali.
La politica, per queste ed altre ragioni, è preda dell’ideologia che difende l’autonomia assoluta dei mercati, della nuova idolatria del denaro, del «consumismo esagerato», della «cultura dello scarto», che produce e giustifica grandi masse di popolazione esclusa. Si considera l’essere umano come un bene di consumo. Come avverte il pontefice, non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive. Gli esclusi non sono «sfruttati» ma rifiuti, «avanzi».31
Oggi, nonostante numerosi segni positivi di solidarietà e di unità, si vive la triste esperienza di una politica che, invece di includere, esclude, lascia ai margini i più deboli, coloro che dall’attuale sistema economico e dai gruppi più forti sono considerati «inutili» per la società e la stessa economia. Sono considerati più produttivi, non tanto i lavoratori, le imprese, l’economia reale, i servizi sociali, quanto piuttosto gli speculatori che si dedicano alle transazioni velocissime nei mercati finanziari.
img81Il lavoro manuale, artigiano, agricolo, sociale sembra che in certi ambienti imbevuti dall’idolatria del denaro, non sia un bene fondamentale per la persona, le famiglie e le società. Esso è semplicemente una variabile dipendente dai mercati finanziari e monetari.
Con riferimento a ciò il papa ha più volte alzato la sua voce di condanna, richiamando la stessa politica alla sua altissima vocazione, in quanto essa è una delle forme più preziose della carità, che dovrebbe cercare la realizzazione del bene comune. La carità, afferma il pontefice, è il principio animatore non solo delle micro-relazioni (rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo) ma anche delle macro-relazioni (rapporti sociali, economici e politici).
Nell’Evangelii gaudium giunge, conseguentemente, a scrivere: «Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale».32
È indispensabile che la politica presti attenzione alle nuove forme di povertà e di fragilità in cui si è chiamati a riconoscere Cristo sofferente: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, i migranti, coloro che subiscono diverse forme di tratta di persone, le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza; i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo; gli stessi animali ed esseri viventi che spesso sono alla mercé degli interessi economici e di un uso indiscriminato.33

8. L’ESEMPLARITÀ DELLA NON VIOLENZA ATTIVA DI MADRE TERESA PER LA POLITICA, OVVERO RIDARE AD ESSA UN’ANIMA SAMARITANA

Quando la politica non sia fedele alla sua vocazione e missione, implicanti il servizio al bene di tutti e alla giustizia sociale, con le sue omissioni o negligenze non solo ignora le varie forme di violenza esistenti nelle società, nelle strutture e nelle istituzioni ma ne diviene essa stessa una fonte.
img88C’è violenza nella politica e da parte della politica. La politica quando sia gestita male può diventare causa di ingiustizie e di violenza, impedimento all’accesso dei beni che sono destinati a tutti: abitazione propria, lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, dignitoso, debitamente remunerato; alimentazione sufficiente e sana, acqua potabile, libertà religiosa e, più in generale, libertà di opinione e di educazione; diritto alla vita, all’ambiente salvaguardato, alla terra, all’assistenza sanitaria, alla sicurezza sociale.
La politica non deve varare solo politiche di assistenza sociale ma deve provvedere ad abbattere le cause strutturali della povertà, della diseguaglianza, a promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società.34 La politica deve essere impegnata quotidianamente, senza pause, non solo nell’eliminazione delle cause della ingiustizia e della violenza ma soprattutto nella costruzione di popoli in pace, giustizia e fraternità, nei quali le differenze si armonizzano all’interno di un progetto comune. In vista di ciò sono imprescindibili la Dottrina sociale della Chiesa e i quattro principi che derivano dai suoi postulati: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte.35
In vista dell’inclusione sociale dei poveri papa Francesco suggerisce in particolare politiche che superino, come già accennato, i piani meramente assistenziali che fanno fronte ad alcune urgenze ma sono insufficienti rispetto ai mali sociali; una politica economica strutturata dal principio del bene comune; politiche che coltivino la crescita integrale di tutti; una sana economia mondiale; politiche che abbiano cura dei più fragili; politiche che superino le teorie economiche neoliberistiche, politiche di riforma del sistema finanzio e monetario; politiche di democrazia rappresentativa, partecipativa, deliberativa, inclusiva.36
Come e perché l’azione nonviolenta di santa Teresa di Calcutta, peraltro accusata di assistenzialismo da alcuni detrattori in quanto non rimuoveva le cause dei mali sociali, potrebbe essere fonte ispiratrice di un nuovo stile per la politica che deve impegnarsi nella costruzione di popoli che vivono in fraternità, giustizia e pace?
A ben riflettere, Madre Teresa, che non ha fondato un movimento nonviolento (semmai ha fondato una Congregazione religiosa delle Missionarie della carità) potrebbe contribuire alla rinascita della politica, che deve lavorare alla realizzazione del bene della pace, indicandole la fondamentalità di un amore samaritano. La politica la cui missione è di servire il bene comune, ovvero il bene di tutti, a cominciare dai più deboli, potrebbe trarre dall’attenzione di Madre Teresa ai poveri più poveri lo sprone ad essere più se stessa, più vicina ai cittadini, animata dall’amore per l’altro, avendo occhi che vedono la loro situazione di emarginazione, avendo un cuore che si fa carico dei loro problemi affrontandoli e avviandoli decisamente a soluzione.
Madre Teresa ha vissuto e praticato un amore samaritano occupandosi dei diseredati, dei poveri e degli ammalati, piccoli e grandi, lasciati a se stessi, a morire nei tuguri o ai margini delle strade, senza assistenza, tra l’indifferenza della gente e delle autorità civili e religiose, che spesso non facilitavano, anzi ostacolavano l’opera caritatevole della suora di origine albanese. Ella raccoglieva i diseredati e li portava nelle sue case, per curarli, assisterli, materialmente e spiritualmente, dando loro attenzione e affetto, riconoscendo in loro non solo la dignità umana ma anche quella dei figli e delle figlie di Dio.
Oggi la politica, che si interessa della gente prevalentemente al momento delle votazioni, e poi si dimentica dei suoi bisogni, potrebbe imparare dall’azione nonviolenta di Madre Teresa ad interessarsi più efficacemente dei poveri, ad essere cioè più samaritana, avendo un «cuore» attento e vigile, che giunge ad offrire assistenza ma anche, per chi ne sia in grado, opportunità di inserimento nella società e nell’economia, oltre che nella vita democratica, mediante politiche che aggredendo i mali sociali alla radice, creano condizioni favorevoli per tutti.
La politica non può sperare in una sua rifondazione e in un recupero della sua missione se non a cominciare dall’attenzione nei confronti del povero, se non mostrando attenzione alle situazioni più estreme e penalizzanti la dignità dei cittadini. Solo a partire dall’amore e dalla cura dei più fragili la politica dispiega e comprova la sua essenza di servizio al bene di tutti. Solo muovendo da un tale atteggiamento e da un simile stile la politica elabora progetti di sviluppo integrale, sostenibile ed inclusivo, riconoscendo e promovendo i diritti e doveri di tutti i cittadini.

9. CAUSE DELLA VIOLENZA

Per combattere i germi della violenza occorre ricercarne le cause. Per comodità si riassumono qui alcune radicazioni culturali della violenza e quelle cause che in parte abbiamo già incontrato presentando una fenomenologia sintetica della stessa violenza.
Per quanto concerne le radicazioni culturali contemporanee della violenza si accenna alle visioni riduttive dell’uomo che possono favorire la violenza più che la pace. Esse sono incarnate nella cultura del nulla, nelle ideologie del benessere e del consumismo, nelle concezioni tecnocratiche della vita.
Fra i vari nuclei culturali che dominano la nostra epoca e che possono favorire la violenza, non si può dimenticare quello del neoindividualismo e del neoutilitarismo che minano lo Stato di diritto, baluardo contro la violenza. La cultura del relativismo assoluto e radicale tende a porre l’individuo come unico riferimento, ne proclama la totale autonomia etica, secondo la quale l’uomo è legge a se stesso. La libertà è separata da ogni responsabilità: l’individuo non deve dipendere da nessuno, né preoccuparsi di nessuno, ma rapportarsi agli altri e al mondo come a oggetti necessari per il proprio godimento e per il proprio incremento di potenza.
L’assolutizzazione moderna dell’uomo, della sua autonomia e delle sue conquiste, ha anche come effetto paradossale l’instaurazione di una cultura nichilista. Non si crede più nell’uomo, nella possibilità di salvezza delle sue conquiste. L’uomo, dapprima immaginato come un dio, rimane orfano, in certo modo, dei grandi ideali della scienza, della tecnica e del progresso. La crisi nihilista dei valori, conseguente all’affermazione che Dio è morto, sbocca con la constatazione che anche l’uomo è morto. Ad esso non resta, all’infuori del suicidio, che l’affermazione volontaristica di se stesso. Ma una volontà, che non è volontà di verità e del bene oggettivo, è solo volontà di affermazione di sé a qualsiasi costo, senza limiti.
È volontà individualistica di potenza, che non può non generare conflittualità e violenza. Per questo la cultura occidentale, ove il pensiero ha abbandonato l’essere e, quindi, la verità intesa in senso metafisico, non può che essere esposta al continuo pericolo della violenza e della guerra. La guerra diventa la conseguenza dell’abbandono dell’essere, della verità. Essa è più vicina di quel che non si pensi, quando serpeggia la cultura del nulla e del neoindividualismo radicale.
img90Ma anche l’errata concezione del benessere e del progresso, quale si può riscontrare nella cultura contemporanea, può essere causa di conflitti e di violenza. La concezione meramente economicistica dello sviluppo, sorretta dall’ideologia del «supersviluppo », o dello sviluppo senza limiti, e, inoltre, da uno spirito tecnocratico areligioso, porta al predominio della modalità esistenziale dell’avere su quella dell’essere, come brama di possesso e conseguente spersonalizzazione e reificazione di sé e degli altri. Tale predominio, si sa, rischia di condurre non soltanto a parziali catastrofi, ma ad una catastrofe mondiale conclusiva.
L’universalizzazione dell’indifferenza e della reificazione, infatti, coincide con la massima negazione dell’etica e l’avidità di possesso delle cose e degli altri ridotti ad oggetto, con l’assoluto dominio della violenza. L’enfatizzazione della modalità esistenziale dell’avere conduce alla violenza contro la natura, gli altri, contro l’umanità.
Lo sviluppo può essere causa della pace se è sviluppo plenario, di ogni uomo, di tutto l’uomo, ossia se è crescita integrale, sostenibile, inclusiva. Per quanto concerne le cause della violenza si segnalano quelle biologiche, psicologiche, sociologiche, economiche, politiche, culturali, ideologiche, etiche, religiose. Tra i fattori psicologici che possono favorire la violenza va segnalata anzitutto la paura, che è di diverse specie: la paura di perdere i propri beni materiali e spirituali, il proprio potere; l’insicurezza di fronte a chi è troppo diverso per razza, cultura, religione; la paura di se stessi (sentimento di inferiorità, di incompetenza); la paura di morire.
Ma non si possono dimenticare le turbe caratteriali, il desiderio di possedere ciò che ha l’altro, l’affermazione sregolata di sè, la mancanza di relazioni affettive. Tra i fattori sociali e culturali va menzionata l’educazione autoritaria o senza attenzioni dei bambini. E, poi, tutta una serie di realtà sociali oggettive che favoriscono reazioni soggettive di violenza: condizioni disumane sul lavoro o nelle abitazioni, ingiustizie, fallimento scolare o professionale, reti commerciali dell’alcool, della droga, della pornografia, consumismo, cultura tecnocratica e agnostica, influenzano i modelli sociali esacerbando la virilità, la competizione sfrenata, l’esaltazione del godimento a tutti i costi, aggressività nei confronti dei più deboli, come i bambini, gli anziani e gli ammalati.
Presso gli adulti possono creare un legame tra l’esercizio della violenza e il piacere. Altri condizionamenti, come ad es. la sottomissione all’autorità, favoriscono il ricorso alla violenza deresponsabilizzando le persone rispetto alle violenze che esse esercitano sull’ordine costituito.
La violenza ha, però, anche dimensioni etiche e spirituali. Al di là e all’interno delle istituzioni, dei sistemi, dei meccanismi socioeconomici, delle ideologie che opprimono l’uomo e i popoli agiscono molteplici passioni, che sviano il «cuore» delle persone e le spingono alla violenza e alla guerra. Sono: il senso della superiorità biologica, razziale, etnica e religiosa, l’odio verso gli altri e il «diverso», la gelosia, la volontà di dominio, la brama della ricchezza. Certo, le passioni nascono spesso da reali frustrazioni degli individui e dei popoli, allorché altri opprimono o rifiutano di garantire la loro esistenza o quando i sistemi sociali sono in ritardo rispetto al buon uso della democrazia ed alla condivisione dei beni, ma molte volte le passioni sono alimentate di proposito e da una coscienza che chiama bene o male ciò che intende scegliere in base al suo egoismo e alla sua volontà di potenza.
Per i cristiani, la violenza è manifestazione del peccato, rottura con gli altri e con Dio. Il fatto di ricorrere alla violenza ed alla guerra deriva, in ultima analisi, dal peccato dell’uomo, dall’accecamento del suo spirito, dalla coscienza distorta.
La violenza è, però, individuale e collettiva. C’è, pertanto, una responsabilità personale e una responsabilità sociale, una violenza che è peccato personale o che è peccato sociale. E come c’è un’influenza della società sul singolo, così si può pensare che il peccato sociale condizioni gli individui nella loro responsabilità morale. Tuttavia, è anche certo che la violenza sociale non può sussistere indipendentemente dalle responsabilità morali degli individui che compongono il gruppo o la società politica, per cui si può anche riconoscere una certa priorità della violenza personale su quella sociale.
Ciò fa anche dire che nell’ordine dei rimedi non viene prima la riforma delle strutture, sebbene necessaria e imprescindibile, ma il rinnovamento del cuore dell’uomo, che la fede cristiana designa con il termine di «conversione». Per togliere la violenza dai sistemi, dalle istituzioni, dai metodi di governo, cose tutte che sono opera dello spirito umano, occorre prima trasformare in profondità lo spirito e le coscienze, infondere nuovi atteggiamenti.
All’origine della violenza e delle guerre, come in parte accennato, stanno talvolta strutture, metodi, sistemi, meccanismi socio-economici, ideologie, che anziché servire l’uomo lo asservono. Le stesse ragioni dello squilibrio nello sviluppo fra i popoli possono considerarsi altrettante, reali e possibili, cause di violenza, se non addirittura di guerre. Esse sono fonte di opposizione, di acredine, di ribellione, complici i meccanismi economici e finanziari non riformati, multinazionali senza scrupoli, egoismi nazionali animati da visioni corte. Insieme cause ed effetti di una tale tensione e della carenza di solidarietà mondiale – non ignorando altri fattori e circostanze di natura storica e culturale –, sono: l’ingiusta distribuzione dei beni materiali, l’insieme degli squilibri settoriali, regionali, nazionali e, per certi versi, la produzione e il commercio delle armi e della droga, il terrorismo internazionale e la stessa deforestazione di molte zone con irrimediabili danni ecologici: Paesi fortemente indebitati distruggono il loro patrimonio naturale pur di ottenere nuovi prodotti d’esportazione. Ora, tali cause ed effetti sono essi stessi sorgenti di nuova violenza; come il neocolonialismo, la preferenza di rapporti da parte dell’Ovest nei confronti dell’Est anziché nei confronti del Sud equivalgono a uccisioni indirette di milioni di persone.img105
Cause ben note di violenze e di guerre sono anche: la diseguaglianza nell’accesso ai beni sociali e culturali, la mancanza di partecipazione al potere economico e politico, la fame, la violazione dei diritti relativi allo spirito, il trattamento ingiusto delle minoranze, la mancanza di un’autorità mondiale.
Come cause di violenza e di guerra un rilievo del tutto particolare va dato alle manipolazioni ideologiche e al fanatismo religioso. Le manipolazioni ideologiche, specie nell’ultima guerra, hanno alimentato di proposito ostilità razziali e nazionali, creando vere e proprie psicosi di odio, che hanno giustificato invasioni, stermini sistematici, la guerra totale. Oggi, le manipolazioni ideologiche hanno a disposizione mezzi più progrediti e sofisticati. La rinascita di nazionalismi, regionalismi e di odi razziali, legati anche a fenomeni di emigrazione, va vista con preoccupazione proprio pensando alla pericolosità dei moderni strumenti di comunicazione, specie alla pervasività e alla possibilità di controllo insite nell’informatica e nella telematica.
I partiti e i governi contemporanei, democratici o no – l’hanno già fatto capire –, se ne servono abbondantemente per la propria legittimazione e per creare consenso attorno ai loro programmi, selezionando e pilotando le richieste della base sociale. La religione, invece, conduce facilmente alla violenza quando sia o divenga falso messianismo. La storia è costellata da «guerre sante». Le religioni, molte volte, anziché essere fattori di unità e di pace, si sono rivelate fonti di divisioni e di guerre atroci. Il volto di Dio e della religione è stato snaturato proiettandovi e prolungandovi proprie distorsioni e strumentalizzazioni. Si è pensato alla propria elezione da parte di Dio come ad una elezione al di sopra e contro altri. Dio è stato invocato a sostegno della propria parte, della propria sete di dominio sugli altri.
Anche la Chiesa cattolica, nel passato, è stata vittima di pseudomessianismi e del fanatismo.
L’identificazione tra pace di Dio e pace della cristianità ha portato alle guerre di crociata, spesso crudeli e mascherate con motivi di salvezza: uccidere il nemico era guadagnarlo, in qualche modo, a Cristo. L’ideologizzazione della verità religiosa ha condotto anche al settarismo, alle scomuniche reciproche e al rifiuto, teorico e sistematico, del dialogo ecumenico.37

10. A MO’ DI CONCLUSIONE: ALCUNI ORIENTAMENTI PRATICI SPECIE CON RIFERIMENTO ALL’ASSUNZIONE DI UN NUOVO STILE DA PARTE DELLA POLITICA

Nel suo Messaggio il pontefice offre alcuni orientamenti dal punto di vista pastorale e pedagogico. Li evidenziamo. Egli indica soprattutto la necessità che la Chiesa continui a partecipare, assieme ad altri di altro credo, alla costruzione della pace mediante la non violenza attiva. Ciò è coerente con il suo essere, come annunciatrice e testimone di Cristo, prototipo della non violenza. La comunità cristiana è chiamata, quindi, a dare il suo apporto imparando Gesù Cristo non violento, come lo ha imparato sua Madre, accompagnandolo nella sua Passione, rimanendo ai piedi della croce.
La Chiesa contribuisce alla costruzione della pace in particolare crescendo come comunità di pace, proponendo norme morali, mediante la partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali, grazie al contributo competente di tanti cristiani all’elaborazione delle leggi a tutti i livelli.
In secondo luogo, la Chiesa deve continuare a proporre ai leader politici e religiosi, ai responsabili delle istituzioni internazionali e ai dirigenti delle imprese e dei media quello che papa Francesco definisce il «manuale» della strategia della costruzione della pace, ossia le otto Beatitudini (cf Mt 5, 3-10). Occorre sollecitarli ad applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità.
«Le otto Beatitudini tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia ».38 Beati quegli uomini e quelle donne che non tollerano l’ingiustizia, che non sopportano che il fratello o la sorella subiscano discriminazioni, emarginazioni, siano messi in schiavitù, siano considerati «scarti», esseri inutili.
Beati quelli che lavorano per la pace, non imbrogliando, non approfittandosi degli altri, non agendo nell’illegalità, mediante corruzione. Beati coloro che si dedicano al bene comune in maniera disinteressata, senza tornaconti. Beati coloro che seminano nelle coscienze il senso di appartenenza a Cristo, Principe della pace, modello della non violenza.
Ma, stando al magistero sociale dello stesso papa Francesco, si possono individuare altri orientamenti pratici per divenire costruttori di pace mediante la non violenza. A nostro modo di vedere sono da considerare strade non violente anche i percorsi di quei movimenti sociali che il pontefice argentino viene da tempo sollecitando ed «educando» perché abbandonino la violenza ed invece marcino per la giustizia e non «contro» qualcuno, come i movimenti popolari. 39
Non vanno dimenticati il movimento ecologico mondiale,40 i movimenti della cooperazione,41 i movimenti per la vita, i movimenti a difesa e promozione della famiglia, della libertà religiosa, della libertà di insegnamento, della riforma del sistema finanziario, per l’abolizione della pena di morte. Non dev’essere, poi, esclusa la preparazione di nuove generazioni di cattolici per l’impegno nella politica, una politica alta, all’insegna della carità cristiana, capace di affrontare con visione e decisione la rimozione delle cause della povertà e delle diseguaglianze.

Oggi, nell’ambito dell’azione non violenta, occorre coltivare legami internazionali, in vista di una maggior incisività su quei processi e su quelle istituzioni che operano a livello sovranazionale e multilaterale. Solo agendo su questo piano si può influire nella necessaria riforma dei mercati, delle Istituzioni e delle politiche mondiali; si possono instaurare quelle collaborazioni, quel lavoro di intelligence, quella vigilanza sulla rete web e sugli ingenti flussi di denaro, che sono determinanti nel prevenire e combattere la violenza terroristica fanatica che si avvale di mezzi nuovi e sofisticati per destabilizzare e seminare l’odio.
S.E. Mons. Mario Toso
Vescovo di Faenza Modigliana, già Segretario
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

29 Cf FRANCESCO, Messaggio, n. 1.
30 FRANCESCO, Messaggio, n. 3.
31 FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 53.
32 Ib., n. 205.
33 Cf ib., nn. 210-215.
34 Cf ib., nn. 187-192.
35 Cf ib., nn. 222-237
36 Cf ib., capitolo IV.
37 Cf J. RATZINGER, Fede, Verità, Tolleranza e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 215.
38 FRANCESCO, Messaggio, n. 6.
39 Cf ad es. FRANCESCO, Discorso al II Incontro dei Movimenti Popolari (9 luglio 2015).
40 FRANCESCO, Laudato sì’, n. 14.
41 Cf ad es. FRANCESCO, Discorso ai Rappresentanti della Confederazione Cooperative Italiane (28 febbraio 2015).