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DONNA DELLA BELLA NOTIZIA
LA PREGHIERA DEL GIORNALISTA
O Maria, la tua giovane vita è stata segnata da una notizia impensata e impensabile, che è diventata la Buona Notizia per tutta l’umanità. Tu hai provato l’emozione e il turbamento che tutti sentiamo di fronte agli eventi. E sei stata capace di dare ospitalità a Dio nella tua casa e nella nostra casa. O Maria, anche noi giornalisti siamo chiamati a dare notizie che possono costruire o possono distruggere, possono orientare o disorientare, rendere felici o rendere infelici. Aiutaci o Maria a raccontare sempre la verità con lo stile sapiente della carità per allargare la casa della speranza. O Maria, la tua libertà è stata un raggio di luce che si è piegato soltanto davanti a Dio, perchè Dio è il senso e lo scopo della libertà. Donna della Bella Notizia, aiuta noi giornalisti a non vendere mai la nostra libertà al calcolo dell’interesse o di potere, affinchè diamo acqua pulita alla gente che desidera costruire un mondo migliore.
Card. Angelo Comastri

Le ultime righe della preghiera del giornalista elaborata per l’UCSI (Unione cattolica stampa italiana) dal cardinale Angelo Comastri: «Donna della bella notizia (la Vergine Santa: tutta la invocazione è un inno alla Madonna che assista gli operatori dell’informazione nel loro percorso di lavoro), aiuta noi giornalisti a non vender mai la nostra libertà al calcolo dell’interesse o del potere, affinché diamo acqua pulita alla gente che desidera costruire un mondo migliore».
Ma qualche riga più sopra la preghiera dice: «Aiuta, o Maria, a raccontare sempre la verità con lo stile sapiente della carità per allargare la casa della speranza».

Un accenno del cardinale Comastri alla Verità (con la “V” maiuscola). Ma cos’è la “Verità”? La Verità richiede fatica, è lavoro profondo e continuo su se stessi, è dedizione verso l’altro, è un percorso senza fine che ha come traguardo lo sguardo definitivo e assoluto della Vergine: è l’incontro con Dio. Prima di quel momento c’è un labirinto di escatologico sapore che dà il senso della partecipazione e della vocazione alla pulizia, alla conoscenza, alla Sapienza (la Sophia che è uno pneuma di natura femminile, ipostatizzato, coeterno e preesistente alla creazione. Lo sottolinea magistralmente Carl Gustav Jung nel suo ultimo trattato “Risposta a Giobbe”. È quanto si legge nei “Proverbi di Salomone” dell’Antico Testamento: «Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni altra opera…»).

Questa “Sapienza di Dio” va presa a modello, va rispettata nel percorso (irto d’ostacoli) della vita dell’uomo. È la Luce da non smarrire, altrimenti il drago che sta in fondo al labirinto divora il temerario non più innocente, specie quando si formano “verità” impure, orribili, mostruose che hanno nella loro ontologia la vocazione al diabolico: gli ebrei credevano di essere nel vero quando mandarono alla crocifissione il Cristo; la Chiesa credeva di essere nel vero quando torturava le vittime dell’Inquisizione; i Crociati erano convinti di trovarsi a confronto della verità quando mettevano a ferro e fuoco i Paesi dell’Islam; conoscevano – secondo loro – la verità i giudici che mandavano al rogo le donne del Medioevo ritenute streghe; sono convinti di trovarsi nel vero gli iraniani quando lapidano le adultere; crede di essere nel vero il boia di alcuni Stati statunitensi quando inietta il farmaco letale nelle vene del condannato; così come erano convinti di essere nel vero i giovani in camicia bruna del nazismo hitleriano o in giubba rossa del comunismo stalinista; sono convinti di essere nel vero i fanciulli delle cosiddette società primitive che, attraverso un rito d’iniziazione, abbandonano la condizione di puer per accedere al collegio degli adulti a cui viene svelata la Verità (per lo più le leggi o i “segreti” della natura).

Racchiude la verità, per la giovane nigeriana indotta a prostituirsi sulle strade italiane, il sacchetto che la madam o il “sacerdote del grande serpente” le ha affidato e che conserva il suo sangue mestruale esposto all’aria nelle notti di luna piena. Insieme al “riscatto” di settanta-ottantamila euro da elargire all’organizzazione criminale che l’ha irretita, la poveretta è costretta a subire pressioni magico-religiose che sono veri ricatti psicologici iniettati nel profondo. Così spesso molte indigene, giovani cattoliche, (in un sincretismo comunque da rispettare) coniugano Cristianesimo e Vodù.
I ragazzi, invece, nelle cerimonie nascondono il loro volto con simulacri che, nella “Società delle maschere” del Senegal, inconsciamente tracciano i temi per lo studio dell’etno-antropologia e i tratti della deliziosa proprietà artistica rituale e collettiva. L’iniziato, ormai a conoscenza della “Verità”, siede nel cerchio e spesso fumando droghe, s’immerge nell’illusione teratologica della conoscenza. L’iniziazione ha risvegliato in lui ancestrali elementi di struttura magica il cui simbolismo delinea le energie scatenate nel mondo della sua cultura e del suo inconscio.
Un patrimonio di ricca cosmologia che, insieme alla devozione alla “dea ragione” e alla sacralità dello spirito, è tema del sapere massonico dove, anche lì, si respira aria di “verità” rafforzata dalla cosiddetta conoscenza che si riassume nel percorso di evoluzione noetica. Il cerchio dà poi la consapevolezza dell’energia vitale nei flussi della separazione del dentro dell’appartenenza dal fuori dell’esclusione, del dentro della sicurezza dal fuori del periglio, del movimento uroborico nella sua infinita dinamica, del temenos centralità numinosa che dà all’iniziato puro una sorta di teofania mistica o al contrario di estraneità assoluta allo scettico.

Ma sulla “Verità” (quella con la V maiuscola) c’è da ricordare quello che ha scritto un santo della prima metà del Novecento: il medico napoletano prof. Giuseppe Moscati, il cui culto è curato dai gesuiti nella chiesa del “Gesù Nuovo”: «Ama la verità – dice il Santo – mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio».
Sono le illuminate parole di un santo che ha fatto proprie le pagine della Bibbia: la Parola di Dio è quindi, per i cristiani, la Verità.

La Chiesa è da sempre impegnata a diffonderla (i vescovi italiani hanno deciso di farne, per i prossimi dieci anni, alta operazione teologica e propedeutica). Quel dettato lontano dalla diabolica entropia, custodito nel cuore della Panaghia (la Tutta Santa che il cardinale Angelo Comastri ha invocato nella sua preghiera), è la guida del nostro esistere e della nostra fiducia nell’incontro finale con l’Assoluto. Per la nascita di un mondo migliore su questa terra a cui i cattolici hanno il dovere di dare il loro contributo attraverso la solidarietà, la fraternità, l’amore universale, la correttezza del profondo sentire e del quotidiano operare c’è l’esempio di Francesco che colpito da mille malanni riceve “in spirito” la voce del Signore: «Allora, fratello, rallegrati e giubila pienamente nelle tue infermità e tribolazioni; d’ora in poi vivi nella serenità, come se tu fossi già nel mio regno». Nel sentirsi chiamare “fratello” San Francesco prova conforto e senso di gratitudine verso il Supremo.
Il “Poverello d’Assisi” ha conosciuto la Verità nella sofferenza traendone gaudio. Infatti: «Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Dice Giovanni al versetto 20 del capitolo 3. nel suo Vangelo. E questa può essere la parola definitiva del percorso che il buon cristiano deve compiere nella consapevolezza del contatto supremo con il Trascendente.

Crisostomo Lo Presti