Nel momento di definire gli obiettivi del mondo post-2015, la lotta alla povertà resta l’orizzonte. L’Oil e la Chiesa cattolica si muovono insieme indicando nel decent work per tutti la via maestra allo sviluppo.

I 15 anni che i governi si sono dati nel 2000 per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Mdg, nella sigla inglese) stanno per terminare.
È quindi possibile stilare un sommario bilancio, mentre all’Onu i diplomatici di ogni Stato sono già impegnati nel definire le priorità del 2015-2030.
Solo alcuni degli otto obiettivi sono stati raggiunti, altri in modo parziale, ma questa esperienza senza precedenti mostra che la stessa definizione comune di traguardi offre una cornice in cui le priorità acquistano forza.
Il maggiore cambiamento è stato dimezzare il numero di persone che vivono in povertà estrema. Grazie al boom economico dei Brics (soprattutto della Cina), 700 milioni di persone non sono più sotto la soglia di povertà. Le statistiche della fame nel mondo parlano di analoghe diminuzioni, ma i progressi rallentano e un individuo su nove è ancora sottonutrito.
Migliori condizioni di accesso all’acqua potabile hanno interessato ben 2,3 miliardi di persone.
Successi considerevoli ci sono stati nella lotta a malaria e tubercolosi (inferiori, ma promettenti, contro l’Hiv/Aids). Nel promuovere la parità di genere si è ridotto il divario nell’accesso all’istruzione, ma non è stato raggiunto l’obiettivo di dare un’istruzione primaria a tutti i bambini (58 milioni restano lontani dalla scuola). Insufficienti anche i dati sulla mortalità infantile e delle donne in gravidanza.
Sulle questioni ambientali, buone notizie per il buco nell’ozono, negative riguardo ai gas serra.
Infine, nel creare un partenariato mondiale ci sono stati progressi concreti rispetto al debito dei Paesi poveri, le tariffe commerciali e l’aiuto pubblico allo sviluppo.
Gli esiti sono perciò discordanti. Del resto, gli Mdg non sono nati con un piano definito di realizzazione e nessuno risponderà del loro parziale insuccesso (così funziona il sistema internazionale).
Ma innumerevoli attori pubblici, privati e non profit hanno lavorato per il loro raggiungimento. Senza la spinta di tutte le realtà non governative, sempre più influenti nell’indicare priorità globali, la definizione di traguardi precisi non ci sarebbe stata.
Ora, nel momento di stabilire gli obiettivi post- 2015, la lotta alla povertà resta l’orizzonte. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e la Chiesa cattolica si muovono di concerto indicando nel decent work la via maestra per lo sviluppo. Il termine unisce in sé il diritto al lavoro e i diritti sul lavoro, che l’Oil ha definito e gli Stati approvato nel corso dei decenni.
Se milioni di lavoratori e le loro famiglie restano intrappolati sotto la soglia di reddito di 2 dollari al giorno, allora le lotte contro il lavoro coatto e minorile, lo sfruttamento di migranti e rifugiati, la disoccupazione giovanile, la riduzione di salari e di tutele possono essere tutte riassunte in un impegno mondiale per il lavoro dignitoso.
Attivandosi in modo sempre più coordinato, molte realtà cattoliche ritengono che il decent work possa catalizzare l’impegno multiforme per la giustizia.
Il Vaticano insiste per spingerlo in cima all’agenda per lo sviluppo dei governi, così da orientare scelte politiche e finanziamenti. Al successo di una mobilitazione etica mondiale verso i più poveri e gli esclusi – al di là di ogni differenza di credo o di opinione politica – la Chiesa sta dando un contributo attivo e, nella prevista visita all’Onu di settembre 2015, papa Francesco quasi certamente rilancerà questo impegno, ma non è affatto scontato che gli Stati accetteranno.
Il 2015 sarà un anno per influenzare chi decide gli indirizzi dello sviluppo globale, indicando un percorso attraverso il decent work, ma sapendo anche che i risultati di oggi saranno in ogni caso una spinta per il futuro.

Francesco Pistocchini
(da “Popoli” dic. 2014)

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