SiriaLa foto di Aylan Kurdi, il bimbo siriano di tre anni trovato ormai senza vita sulla spiaggia di Bodrum, ha fatto il giro del mondo e non è il caso di riprodurla ancora una volta. La morte di un essere umano è sempre una ferita, anche quando giunge al termine di una vita sazia di anni. La morte di un bimbo rappresenta un’aggravante atroce, che grida vendetta al cospetto di Dio, almeno per due ulteriori motivi: anzitutto perché è una morte inequivocabilmente innocente, sulla quale non pesa nemmeno un’ombra di male; secondariamente perché contiene un volume di attese legittime e di promesse violate, che rendono quella morte assolutamente ingiusta. La giustizia fa sempre la differenza fra una morte buona e una cattiva, e l’assenza di pietà rende insopportabilmente straziante tutto questo. L’enfasi mediatica, in questi casi, non è mai troppa, è anzi sempre troppo poca.
Provando ad allargare il discorso, si potrebbe vedere nel corpicino di Aylan, adagiato sulla battigia, cioè su una linea di frontiera tra il mare e la terraferma, una metafora di tutti i conflitti che oggi non siamo in grado di gestire. Tutti i conflitti, nessuno escluso, esplodono sul filo della differenza. Ci sono differenze più complesse e invisibili, che nascono sul terreno culturale, sociale e politico, come esiti di percorsi storici diversi, e differenze più immediatamente tangibili, che prendono corpo nello spazio. Tutte possono essere attraversate, tutte possono trasformarsi in muri insuperabili. Anche Kant, con la sua meticolosa capacità analitica, aveva distinto il limite (Grenze), inteso come frontiera che delimita rispetto a un orizzonte di ulteriorità, e il confine (Schranke), inteso soprattutto come barriera e ostacolo. Sul piano spaziale la distinzione è evidente: possiamo aprire i valichi di frontiera o mettere dei paletti insuperabili. Molte guerre sono nate proprio per questo e il nazionalismo ne è stata la copertura ideologica più ripugnante.
Sul piano storico-culturale la distinzione è più sfumata e molto più insidiosa, soprattutto perché non tutte le culture sono uguali e quando il multiculturalismo (cioè non semplicemente il pluralismo culturale, ma la compresenza di culture diverse dentro una stessa società politica) conosce accelerazioni improvvise, il fenomeno diventa ancora più grave di una guerra di posizione, combattuta ai confini degli Stati.
Storicamente le culture occidentali hanno imparato ad essere particolarmente tolleranti e inclusive dopo secoli di guerre, mentre altre culture più identitarie hanno preferito proteggersi escludendo, e per questo possono essere eccezionalmente strumentalizzate da una fondamentalismo pseudoreligioso.
Oggi ci troviamo dinanzi a un fenomeno nuovo: nel mondo occidentale le culture “porose” stanno diventando intolleranti rispetto ad altre culture, solitamente chiuse nei loro recinti identitari, che invece hanno cominciato a bussare alle nostre porte e vogliono partecipare al nostro banchetto.
Paradosso incredibile: il nostro mondo industriale avanzato è impegnato in un’operazione sistematica e pervasiva di demolizione di differenze fondamentali, che tende a sfumare, minimizzandola, la differenza tra natura e cultura, tra animali e persone, tra maschile e femminile, tra bene e male, tra vero e falso; non paletti insuperabili, ma una tavolozza di preferenze individuali assolutamente insindacabili, dinanzi alle quali la politica deve alzare le mani, assumendo atteggiamenti agnostici e funzionali. L’individualismo più estremo teorizzato nella modernità non si sarebbe mai sognato di coltivare una deriva libertaria così spinta. Questo atteggiamento crede di farsi forte presentandosi come massimamente inclusivo: chi crede nella famiglia “tradizionale” o nella rilevanza della differenza sessuale può accomodarsi tranquillamente al banchetto degli indifferenti. C’è posto per tutti, nessuno impedisce a nessuno alcunché, perché strepitare?
Accade però che le masse affamate dei popoli poveri inizino un esodo di proporzioni gigantesche (che forse durerà decenni), scappando da paesi in guerra, spolpati dal colonialismo, dove le multinazionali delle armi continuano a realizzare affari d’oro. E che cosa accade? Che il mondo occidentale, libertario e tollerante, comincia a rialzare muri, a chiudere le frontiere, a rimettere in voga i vagoni blindati e la marchiatura del bestiame umano.
Ad Aylan (e purtoppo a migliaia di bambini come lui) abbiamo tolto la parola per questo; ma non è difficile immaginare che cosa potrebbero dirci: Come, la cultura dei sì solo a noi vuole dire dei no? La cultura del “tutto è negoziabile” riscopre solo con noi differenze insuperabili?
Non vi accorgete che state combattendo una nuova grande guerra, non direttamente ma per procura, e non volete vedere né sapere né sentire?
Forse la società degli indifferenti sta diventando intollerante perché non ha risolto alla radice il problema della differenza. Dove c’è indifferenza non c’è – non ci può essere – riconoscimento delle differenze, e senza riconoscimento si genera l’abisso della Grande Estraneità Reciproca che è la differenza peggiore. Quella per cui anche un bimbo di tre anni affogato in mare per scappare dalla guerra, alla fine dei conti, è solo un episodio mediatico di cui tra qualche giorno non parlerà più nessuno.

Luigi Alici (da luigialiciblogspot.it)