Come in ogni essere umano, anche nei transumanisti troviamo un radicato desiderio di felicità da loro identificata nella massimizzazione del piacere, del benessere attraverso la stimolazione micromeccanica con dei microcips o farmacologica dei centri cerebrali del piacere.
Ma ci chiediamo: come possiamo parlare di felicità creando una dipendenza dalle sostanze chimiche e da stimolazioni mentali? La ricerca di emozioni sempre più forti attraverso l’assunzione di sostanze psicotrope rivela il bisogno di sentirsi vivi e l’incapacità di accettare la vita con le sue fatiche e difficoltà. In realtà la ricerca sempre maggiore di emozioni anziché aumentare il piacere, condanna a stimolazioni sempre più forti a causa dell’assuefazione; e poi anche se in futuro attraverso la tecnologia fosse possibile ricevere stimolazioni cerebrali ininterrotte e in grado di evitare l’assuefazione, raggiungeremmo la vera felicità o non creeremmo piuttosto delle schiavitù nuove in contraddizione con il desiderio stesso di libertà e di felicità? Come possiamo dire che un individuo che cerca il proprio benessere e si estranea dal partecipare alla vita degli altri, possa essere contento?
Quanto sia importante la relazionalità per essere felici, lo dimostrano molti carcerati che provano disagio a reinserirsi nella società dopo aver scontato la pena, poiché si sentono emarginati dal consesso degli uomini “liberi” e isolati più che se fossero rimasti in carcere dove, nonostante tutto, vivevano circondati da una comunità di persone. Certo l’assenza di libertà è fortemente penalizzante, come attestano i numerosi suicidi che avvengono in carcere, ma vivere la libertà è molto difficile e richiede una grande forza d’animo e slancio interiore. Lo attestano le varie forme di schiavitù preferite dai transumanisti alla libertà che richiede di saper affrontare le fatiche delle scelte quotidiane che essi vorrebbero bandire dalla loro vita, trasgredendo l’umano.
Tuttavia per non sentirsi soli, non basta essere circondati da tante persone, perché la folla anonima può solo accentuare il senso di estraneità e di isolamento, come avviene oggi soprattutto nelle grandi metropoli. Occorre piuttosto partecipare alla vita degli altri e rendere gli altri partecipi della nostra vita in modo da rendere possibile una relazione interpersonale comunionale, poiché “la creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio” (CV 53).
Come dice Papa Francesco, occorre uscire da sé e dalle proprie comodità con coraggio (cf EG 20.21), perché l’egocentrismo porta a chiudersi nelle anguste mura del sé che soffocano e non portano la libertà. Una gratificazione nata da una forte sensazione fisica che rende superflua la presenza degli altri, è passeggera e non può bastare per dare senso alle azioni della nostra vita. Al contrario la felicità è tanto più vera quanto più esprime una condizione interiore condivisa. Lo attesta la testimonianza di quelle persone sofferenti che offrono il loro dolore per amore e provano in questo una gioia profonda e vera anche in condizioni di indigenza e di disagio materiale. Freud diceva che S. Francesco è stato una delle poche persone realizzate nella storia, eppure abbandonò gli agi di una vita comoda e agiata per affrontare in totale insicurezza e povertà, le difficoltà della vita. Pensiamo alle stigmate di Cristo impresse nel suo corpo che, pur facendolo soffrire e sanguinare, erano espressione di una letizia profonda nata dalla comunione d’amore con il corpo di Cristo!
Affidarsi totalmente alle tecnoscienze per conquistare la felicità, come fanno i transumanisti, è un’illusione. Come dice Papa Benedetto nella Spe Salvi: “Senza dubbio esso [il progresso] offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano” (SS 22). Occorre partire dalla realtà e non da ideologie che si basano su costruzioni artificiali della mente, ricorrendo a tecnologie che pretendono di superare l’umano prefigurando un transumano.
La scienza può aiutare l’uomo a superare i suoi limiti, ma non può dargli la felicità che richiede, per essere raggiunta, il soccorso di un Dio misericordioso che si è fatto povero assumendo la carne umana. Egli ci ha, così, arricchito della sua grandezza e ci ha permesso di compiere quel vero “transumanar” che Dante nel I canto del Paradiso riferisce alla condizione di chi non ha preteso nella sua vita di surclassare l’umano, ma ha accettato i limiti della condizione umana, perché possano essere colmati dalla luce di Cristo.
Lucia Baldo