Gli adulti non sono più quelli di una volta. Sembra una battuta, ma in realtà è una diagnosi ben precisa, e molto più seria e attendibile di quello che sembra. Quello degli adulti — scrive Daniele Rocchetti nell’introduzione al volumetto Nel cantiere dell’educare, scritto da don Armando Matteo e Chiara Giaccardi per I libri di Moltefedi (Cooperativa Achille Grandi, 2021, pagg 87, € 10) — è un universo in crisi, strapazzato tra quesiti ed incognite pesanti, risultati fallimentari, lusinghe giovaniliste, desiderio di ricostruzione e di maggiore tranquillità.
Non possiamo nascondere che c’è una fatica da parte dell’adulto a comprendere il cambiamento e a viverlo. L’educatore porta dentro di sé le fatiche del tempo: ferite da rimarginare, affettività negate, ombre nascoste nell’anima, territori ancora inesplorati o non pacificati, paure del domani. Ma appare con analoga evidenza che è possibile educare solo se si ha un atteggiamento di fiducia verso il futuro e se si è capaci di interpretare il presente come tempo favorevole per la trasformazione dell’uomo e del mondo, se si ha speranza.
ParafrasandoWisława Szymborska, «finché quegli uomini e quelle donne giorno dopo giorno sanno prendersi cura con fiducia dell’altro, il mondo non merita la fine del mondo». Dobbiamo essere consapevoli che «c’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana» come scrive Papa Francesco nella Fratelli tutti.
Lo aveva ben capito don LorenzoMilani, un uomo che ha giocato l’intera vita a servizio dei ragazzi. «Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola». Forse il segreto è proprio questo, conclude Rocchetti. Da un certo punto di vista — scrive Chiara Giaccardi — «il periodo della pandemia è un grande laboratorio di sperimentazione sociale e didattica. Di costruzione di prossimità proprio quando se ne sperimenta il limite. Di invenzione di modalità perché nessuno si senta escluso o lasciato indietro». Grazie al digitale è anche possibile offrire il proprio tempo per seguire a distanza ma con sollecitudine bambini e ragazzi con fragilità scolastiche, in un percorso che cura prima di tutto chi si prende cura. Sta a noi trasformare le perdite in nuovi inizi ed educare così le nuove generazioni alla speranza, dando loro fiducia.
Chiara Giaccardi conclude citando Hannah Arendt: «Nell’educazione si decide se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, se li amiamo tanto da non strappargli di mano la loro occasione di intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa di imprevedibile per noi, e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti».
Silvia Guidi
Il Cantico
ISSN 1974-2339
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