Giulio Albanese

img86 (2)Viviamo in tempi confusi e gattopardeschi. Tempi difficili da interpretare. Il mercato, il business, il materialismo pratico e l’ideologia liberista hanno contaminato il nostro modo di pensare e di agire, senza peraltro che molti se ne rendessero conto. Questo in sostanza significa che oggi, alla prova dei fatti, non ci sono più i cittadini, ma i consumatori; non più i diritti dei popoli, ma bisogni da soddisfare a seconda delle circostanze e delle convenienze; non più partecipazione, ma offerta politica; non più lavoratori, ma mercato del lavoro; non più prestazioni ospedaliere, ma consumi sanitari; non più poveri stranieri, ma migranti economici.
Da un lato viene invocata la protezione statale di pezzi importanti del capitale finanziario e industriale, ma dall’altro i lavoratori subordinati vengono in gran parte lasciati a sé stessi, in balia delle forze del mercato. Siamo di fronte a quello che, in gergo tecnico, viene definito liberismo asimmetrico, premuroso verso il capitale e pressoché indifferente ai destini del lavoro e soprattutto dei cittadini, delle persone create ad immagine e somiglianza di Dio.
Questa deriva trova peraltro un infelice riscontro anche in riferimento all’indirizzo che stiamo imprimendo alle nostre relazioni con gli altri popoli. Infatti, il trend prevalente è incentrato sui confini, sulle paure e sullo spirito di ostilità nei confronti dell’alterità. La crisi migratoria riflette questo disagio e rimanda alla palese contraddizione che l’Europa vive al suo interno: tra universalismo e nazionalismo.
Viene quasi da pensare che se Cicerone, oggi, fosse uno di noi, sicuramente esclamerebbe: “O tempora, o mores”, “che tempi, che costumi”. Eppure, il buon senso, dovrebbe indurci a comprendere come mai siamo caduti così in basso. E qui bisogna, davvero, avere l’onestà intellettuale di ammettere che la crisi è planetaria (la dice lunga quanto sta avvenendo negli Stati Uniti sotto la presidenza Trump) ed è sintomatica del deficit culturale contemporaneo, diffuso un po’ a tutte le latitudini. Personalmente, sono convinto che dipenda, in gran parte, dallo strapotere degli stupidi.
Si tratta di quei personaggi “non pensanti”, apparentemente emancipati, che costituiscono – per una serie di ragioni di ordine sociale, politico, economico e in alcuni casi addirittura religioso – la stragrande maggioranza di quello che rimane, a livello neuronico, della specie umana, meglio nota come quella dell’ “Homo sapiens sapiens”. Il compianto Carlo Cipolla (Pavia, 15 agosto 1922 – Pavia, 5 settembre 2000) nel suo saggio “The Basic Laws of Human Stupidity”già alla fine degli anni ’70 aveva messo in evidenza la nostra sottovalutazione, da una parte, del numero di individui stupidi in giro per il mondo e, dall’altra, della loro pericolosità, e di come, inoltre, la probabilità d’essere stupidi risulti indipendente da qualsiasi altra caratteristica umana.
Egli vedeva gli stupidi come un gruppo di gran lunga più potente delle maggiori organizzazioni come le mafie o le lobby industriali, non organizzato e senza ordinamento, vertici o statuto, ma che tuttavia riesce ad operare con incredibile coordinazione ed efficacia. Le osservazioni di Cipolla vennero ulteriormente sviluppate dal grande Giancarlo Livraghi (Milano, 25 novembre 1927 – Milano, 22 febbraio 2014) ne “Il potere della stupidità”. Con molta schiettezza egli ammise che “non possiamo sconfiggerla del tutto, perché fa parte della natura umana. Ma i suoi effetti possono essere meno gravi se sappiamo che c’è, capiamo come funziona, e così non siamo presi del tutto di sorpresa”. Da qui l’urgenza di studiare la “Stupidologia” . Si tratta del tentativo “di spiegare perché le cose non funzionano – e quanto ciò è dovuto alla stupidità umana, che è la causa di quasi tutti i nostri, grandi o piccoli, problemi. E anche quando la causa non è la stupidità le conseguenze peggiorano perché sono stupide le nostre reazioni e i nostri tentativi di soluzione.” Il concetto fondamentale è che, se riusciamo a renderci conto di come funziona la stupidità, possiamo controllarne un po’ meglio le conseguenze.
“La stupidità – scriveva sempre Livraghi – è la più grande forza distruttiva nella storia del genere umano. Non è eliminabile, ma non è invincibile. Capirla e conoscerla è il modo migliore per ridurne gli effetti”. Per questo motivo, sono sempre più convinto, che la vera sfida, guardando al futuro, per credenti e non credenti, sia quella di contrastare il pensiero debole contemporaneo.
Le diseguaglianze tra ricchi e poveri e più in generale la cosiddetta esclusione sociale esigono un impegno fattivo da parte delle agenzie educative per inaugurare una nuova stagione, quella della consapevolezza. Proprio come scrive papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia. Si tratta di “formare le coscienze”, non “di sostituirle” (AL, 37).