Maria Rosaria Restivo

Solo, sotto la pioggia incessante, senza ombrello, in una piazza San Pietro vuota e bagnata. Una piazza che non avevamo mai visto così. Sul sagrato della basilica l’icona della Salus Populi Romani e il crocifisso miracoloso, invocato per la liberazione della città eterna dalla peste del 1522. Entrambi venerati per supplicare la fine della pandemia dal Pontefice recatosi in pellegrinaggio nelle rispettive chiese ove le effigi sono custodite. Inizia così la preghiera straordinaria di Francesco contro il coronavirus. Questa l’istantanea, consegnata alla storia, che esprime la portata di un evento inaspettato che sta sconvolgendo il mondo intero.
Tutto intorno c’è solo silenzio, rotto a tratti dal verso dei gabbiani e dal rumore della pioggia che non concede tregua. Tutto tace, anche la città di Roma, in attesa della benedizione Urbi et Orbi del suo Vescovo. Un evento straordinario.
Nella riflessione il Vangelo della tempesta sedata, tante le analogie tra i momenti di paura e sconforto vissuti dagli apostoli e noi che oggi viviamo la pandemia: “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante”.
Come gli apostoli: “ci siamo ritrovati impauriti e smarriti”, “presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa”. “Ci siamo resi conto di trovarci tutti sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda” commenta il Papa.
“È facile ritrovarci in questo racconto – sottolinea Francesco –. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre”. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, rimprovera i discepoli: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”
. La mancanza di fede dei discepoli si contrappone alla fiducia di Gesù. “Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano”. L’errore è nelle parole: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. “Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore”, una frase che siamo abituati ad usare molto spesso anche noi, una frase che avrà scosso Gesù.
“Perché a nessuno più che a Lui importa di noi”.
Difatti, “una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati”. “La tempesta – fa notare Francesco – smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità”.
La tempesta “pone allo scoperto tutti i propositi di ‘imballare’ e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli… privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità”. Con questa “tempesta” è caduto “il trucco, quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ego sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Nelle parole di Gesù ai discepoli, Francesco vede Dio che rivolge a tutti gli uomini “un appello alla fede”, “che non è tanto credere” nell’esistenza di Dio, bensì “fidarsi di Dio”.
Queste settimane di pandemia, vissute nella Quaresima ci ricordano che questo è “un tempo di scelta”. “È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso il Signore e verso gli altri”.
Quello che stiamo vivendo, infatti, non è un viaggio solitario: accanto a noi ci sono “tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita”. “Le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate, che non compaiono nei titoli dei giornali ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia”. Tanti che hanno compreso che nessuno si salva da solo. “Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: che tutti siano una cosa sola”.
Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti, donando se stessi ogni giorno. “La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti. In questi momenti l’uomo capisce di non essere autosufficiente” ha ricordato il Papa.
“Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Con Lui a bordo non si fa naufragio.
Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai”.
Francesco ha portato simbolicamente con sé tutta l’umanità ai piedi del Crocifisso e della Madonna, facendo quello che farebbero qualsiasi papà o mamma, che sentono il peso e la gravità del momento. Ed anche la loro impotenza. In quella piazza vuota c’eravamo tutti. Secondo dati che sono stati resi noti, la pandemia di Covid-19 e il conseguente lockdown di metà della popolazione mondiale ci porterà nella crisi peggiore dalla Grande Depressione del 1929.
La sociologia della quotidianità dovrebbe permetterci, in tempi di crisi, di raccogliere quei frammenti di identità plasmate come effetto della crisi stessa, del vissuto stravolto dall’ordinario; modi e pratiche culturali di resilienza riadattate al nuovo contesto e scenario di vita. L’emergenza e la crisi dovrebbero portarci a pensare fuori dall’ordinario, a spingerci oltre i limiti di quello che mai avremmo pensato essere possibile, immaginabile.
E’ proprio su questo limes che è necessario avere una comunicazione che funga da orientamento di comportamenti proattivi e resilienti. Francesco ci offre questo esempio, sta nella barca e mantiene salda la fiducia.
Ora che la pandemia ha rotto la routine del nostro lavoro, possiamo fare tutte quelle cose che abbiamo rimandato perché non c’era tempo. Possiamo mettere in ordine, organizzare al meglio lo spazio, valorizzare quello che c’è assegnandogli un posto diverso, renderci conto che abbiamo voglia di fare cose nuove o di togliere la polvere da qualche vecchio progetto per accompagnarlo al traguardo.
E questo tempo che dedichiamo a tutte quelle cose che abbiamo rimandato non è un tempo vuoto o non produttivo, questo tempo è un’opportunità straordinaria per fermarsi, misurarsi, capire dove stiamo andando, decidere se cambiare strada, coltivare le relazioni in cui crediamo, esplorare con attenzione il nostro mondo per trovare nuove soluzioni che lo rendano, più umano e più giusto per tutti.
Insomma, dobbiamo decidere che il futuro comincia oggi e che tocca a noi dare il primo contributo, perché a questo futuro non vogliamo rinunciare. Ci siamo, siamo presenti, siamo vicini l’uno con l’altro, da lontano, e cerchiamo di vivere la difficoltà del momento con la massima responsabilità.
C’è bisogno di futuro, noi cominciamo a costruirlo oggi, perché il cambiamento è inevitabile e il miglioramento è una scelta. Stiamo nella barca e ci fidiamo, e ci impegniamo perché cambino gli stili di vita che hanno portato ad un tale disastro.
Voglio guardare al futuro con questa fiducia e con gli occhi felici e luminosi di mia figlia Ester che a diciassette mesi sorride con poco e si sorprende di tutte le piccole cose che scopre con meraviglia. A lei questa pandemia ha portato la gioia di avere mamma e papà sempre a casa. Siamo sempre insieme, tutti e tre, e niente più saluti imbronciati del mattino quando si fa ora di andare a lavoro. In questi giorni la manifesta in molti modi, è una gioia incontenibile. E guardando alla sua gioia noi troviamo la forza di sperare che da queste macerie possa fiorire un mondo migliore che abbia al centro il bene della Persona e non il denaro.
Ester non capisce ancora che l’economia e i sistemi finanziari del mondo stanno crollando intorno a lei, non ha nessun interesse verso questi accadimenti, non li comprende. Non sa che lei stessa dovrà pagare per questa catastrofe che ci sta piombando addosso. Sente di avere tutto ciò di cui ha bisogno, è felice così. Lei ha la speranza. Lei ha la fiducia. Lei ha noi, e questo le basta. Sorride e guarda al futuro, vive ogni istante in pienezza con la naturale certezza che tutto andrà bene, ogni cosa si sistemerà perché il dono più prezioso è il vivere.
Dovremo imparare a guardare il futuro con gli occhi dei bambini che sanno naturalmente dare il giusto valore alle cose e sanno mettere bene in ordine le priorità dell’esistenza. Loro sanno spingersi oltre ciò che è immaginabile come quando, per la prima volta, si alzano in piedi e d’un tratto incominciano a muovere i loro primi passi.
Sembra un miracolo, lo è. Oggi siamo tutti chiamati a muovere nuovi passi. Ci è data un’occasione, sta a noi, solo a noi, non sprecarla.