Sabrina Cliti *
C’è un elemento in comune tra la questione ambientale e la questione della pace: le fonti energetiche fossili.
E «anche la crisi climatica, che è indubbiamente una delle più gravi che l’umanità abbia mai dovuto affrontare, trova la propria origine nella nostra dipendenza tossica da petrolio, gas e carbone» a sostenerlo è Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace, durante il suo intervento a Cives – Spazio di formazione civica, promosso da quindici anni dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con la Diocesi di Piacenza Bobbio.
Tema al centro della prolusione di Onufrio il ruolo delle risorse energetiche nelle dinamiche geopolitiche, le sfide e le difficoltà della transizione e l’occasione del rinnovabile per promuovere la cooperazione internazionale. Laureato in fisica, Onufrio si è occupato da ricercatore di analisi ambientale dei cicli energetici e tecnologici e di politiche energetiche, e ha portato al pubblico di Cives (e a quello del Laboratorio di mondialità consapevole che con questo appuntamento dà il via al suo ciclo di incontri), il suo sguardo analitico e scientifico nell’affrontare la doppia tematica, pace e ambiente, senza rinunciare a quella decisione di chi crede ci sia tanto da cambiare e che il cambiamento sia necessario e urgente.
Nell’aprire il suo intervento Onufrio va subito al punto: «La transizione ecologica è già in atto, ma se è troppo lenta rispetto al passo che ci servirebbe per avere più probabilità di evitare un collasso climatico, è allo stesso tempo abbastanza veloce da mettere in discussione il grande potere economico e geopolitico dei possessori delle fonti fossili ».
«La transizione verso le energie rinnovabili mette in discussione il potere economico di paesi il cui bilancio nazionale dipende in gran parte dall’esportazione di materie prime dall’indotto che ne deriva». Un report dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili disegna il panorama futuro sulla “geopolitica delle rinnovabili”, cioè sugli equilibri internazionali creati dal nuovo assetto energetico globale dove le rinnovabili sono centrali e le energie fossili residuali: uno scenario in cui la Cina è in vantaggio, grazie alla capacità di produrre a basso costo; seguono gli Stati Uniti e, a ruota, l’Unione Europea. In fondo alla classifica, Russia, Arabia Saudita e altri paesi produttori di petrolio. Quindi perché la Russia dovrebbe voler cambiare? Perché dovrebbe farlo l’Arabia Saudita?».
Parla di una “faglia sismica” della storia, il direttore di Greenpeace Italia, nella quale le cose stanno cambiando, «a prescindere dall’urgenza della crisi climatica; sta cambiando l’epoca, più rapidamente di quanto vediamo, sia nell’industria che nel clima (che era fuori scala nel 2023 ed è già peggiore nel 2024): l’umanità si gioca l’osso del collo».
Tuttavia, la stretta di mano sulla cooperazione tecnologica tra Cina e America è una delle migliori notizie che potevamo aspettarci dalla Cop 28: «questo dialogo può bloccare la pericolosa deriva verso un conflitto globale, quello che Papa Francesco ha definito la Terza Guerra Mondiale a pezzi. Non siamo mai stati così vicini alla catastrofe e alla soluzione allo stesso tempo».
Prosegue Onufrio che, citando il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, sottolinea che «se agiamo insieme, se collaboriamo, il progetto di trasformare il mondo in senso rinnovabile è il progetto di pace del 21esimo secolo”.
Servono, insomma, meno muscoli e più dialogo.
* Cattolica News
Il Cantico
ISSN 1974-2339
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