Nota della Pontifica Accademia della Vita sull’emergenza da Covid-19: l’intera umanità è alla prova, siamo solidali e interdipendenti nella vulnerabilità e nel limite, affrontiamo la pandemia con spirito critico sui nostri modelli di sviluppo. L’agire politico non si riduca alla risposta tecnica, si rafforzi l’alleanza tra scienze ed etica, si tutelino sempre i più fragili, si capisca il senso e la forza della preghiera.

“L’intera umanità è alla prova.” Entra subito nel cuore dell’emergenza da Covid-19 la Nota diffusa il 30 maggio dalla Pontifica Accademia della Vita (Pav), che già nel titolo “Pandemia e fraternità universale” pone l’urgenza di una riflessione sul significato del nostro vivere che travalica il dolore, l’ansia, lo sconcerto del momento presente.

Una crisi inedita, drammatica, di portata globale.
“La pandemia di Covid-19 – è la premessa – ci pone in una situazione di difficoltà inedita, drammatica e di portata globale: la sua potenza di destabilizzazione del nostro progetto di vita cresce giorno per giorno. La pervasività della minaccia mette in questione evidenze che nel nostro sistema di vita venivano date per scontate. Stiamo dolorosamente vivendo un paradosso che non avremmo mai immaginato: per sopravvivere alla malattia dobbiamo isolarci gli uni dagli altri, ma se dovessimo imparare a vivere isolati gli uni dagli altri non potremmo che renderci conto quanto il vivere con gli altri sia essenziale per la nostra vita”.

Impreparati a riconoscere la nostra vulnerabilità.
“Nel bel mezzo della nostra euforia tecnologica e manageriale – constata la Pav – ci siamo trovati socialmente e tecnicamente impreparati al diffondersi del contagio: abbiamo fatto fatica a riconoscerne e ad ammetterne l’impatto. E ora, siamo in affanno anche soltanto ad arginarne la diffusione. Ma altrettanta impreparazione – per non dire una certa resistenza – riscontriamo riguardo al riconoscimento della nostra vulnerabilità fisica, culturale e politica di fronte al fenomeno, se consideriamo la destabilizzazione esistenziale che esso sta provocando”.

L’urgenza dei vaccini e di ridare senso alla vita.
“Questa destabilizzazione – prosegue la Nota – è fuori dalla portata della scienza e della tecnica degli apparati terapeutici. Sarebbe ingiusto, e sbagliato, caricare gli scienziati e i tecnici di questa responsabilità”. Ma è “vero che una maggiore profondità di visione e una migliore responsabilità” “sul senso e sui valori dell’umanesimo, ha la stessa urgenza della ricerca dei farmaci e dei vaccini”.
“L’esercizio di questa profondità e di questa responsabilità – sottolinea il dicastero vaticano – crea un contesto di coesione e di unità, di alleanza e di fraternità, a motivo della nostra umanità condivisa che, lungi dal mortificare l’apporto degli uomini e delle donne di scienza e di governo, grandemente ne sostiene e ne rasserena il compito. La loro dedizione, che già ora merita la giustificata e commossa gratitudine di tutti, ne deve certamente uscire rinforzata e valorizzata”.

Un sistema fragile che non abbiamo vigilato abbastanza.
Se la pandemia “mette in luce con inattesa durezza la precarietà che radicalmente segna la nostra condizione umana”, il documento ricorda che in alcune regioni del mondo più povere e sottosviluppate “la precarietà dell’esistenza individuale e collettiva è un’esperienza quotidiana”, mentre in altre regioni più ricche e avanzate si è arrivati a illudersi “di essere invulnerabili o di poter trovare una soluzione tecnica per tutto”.
“Dobbiamo riconoscere che non è così. E oggi siamo addirittura indotti a pensare che, insieme con le straordinarie risorse di protezione e di cura che il nostro progresso accumula, si sviluppano anche effetti collaterali di fragilità del sistema, sui quali non abbiamo vigilato abbastanza”. “Appare traumaticamente evidente che non siamo padroni del nostro destino”. “Tocchiamo con mano quanto strettamente siamo tutti connessi: anzi, nella nostra esposizione alla vulnerabilità siamo più interdipendenti che non nei nostri apparati di efficienza”. “E così scopriamo come l’incolumità di ciascuno dipenda da quella di tutti”.

Modelli impropri di sviluppo e limiti della scienza.
Sollecita quindi la Pav, da un lato a criticare gli attuali modelli di sviluppo, specie “lo sfruttamento di aree forestali finora inviolate dove risiedono microorganismi ignoti al sistema immunitario umano, con una rete di connessioni e di trasporti veloce e ad ampio raggio”, e d’altro lato a considerare i limiti della scienza e della tecnica ché non prendano il sopravvento sui nostri affetti più cari e profondi, dove la malattie e la morte non impongano “l’abbandono della loro giustizia e la rottura dei loro legami”. “Le risorse di una comunità che si rifiuta di considerare la vita umana solo un fatto biologico, sono un bene prezioso, che accompagna responsabilmente anche tutte le necessarie attività della cura”.

Dedizione per gli altri oltre la logica della remunerazione.
“Mai come oggi la relazione di cura – osserva la Pontificia Accademia – si presenta come il paradigma fondamentale della nostra umana convivenza”, di cui sono espressione la dedizione degli operatori sanitari, la cui professionalità “si dispiega ben oltre la logica dei vincoli contrattuali, testimoniando così che il loro lavoro è anzitutto un ambito di espressione di senso e di valori, e non solo ‘atti’ o ‘merci’ da scambiare con la remunerazione”. E così pure le “collaborazioni tra reti di centri di ricerca per protocolli sperimentali che accertino la sicurezza e l’efficacia dei farmaci”. Ed anche tutti gli uomini e le donne che “pur in situazioni oggettivamente difficili, continuano a fare in modo onesto e coscienzioso il proprio lavoro”, tra cui le migliaia di volontari che non hanno smesso il loro servizio e fra questi le religiose e i religiosi e i sacerdoti che continuano a servire le persone loro affidate, anche a costo della vita, come già accaduto ai tanti presbiteri contagiati e morti.

La politica risponda oltre gli interessi nazionali.
Non manca, nella Nota della Pav, un invito fermo ai responsabili politici “ad avere uno sguardo ampio” nei rapporti internazionali, evitando “una logica miope e illusoria, quella che cerca di dare risposte in termini di ‘interessi nazionali’. Senza una collaborazione effettiva e un efficace coordinamento, che affronti con decisioni le inevitabili resistenze politiche, commerciali, ideologiche e relazionali, non si fermano i virus”.
Quindi il monito a non ridurre le scelte politiche sulla base dei soli dati scientifici, producendo risposte tecniche e tralasciando di rispettare “le differenze fra le culture, che interpretano salute, malattie, morte e sistemi di cura attribuendo significati che nella loro diversità possono costituire una ricchezza da non omologare secondo un’unica chiave interpretativa tecno-scientifica”.

Gli anticorpi della solidarietà al Covid-19.
Il Covid-19 si sconfigge invece con “un’alleanza tra scienza e umanesimo, che vanno integrati e non separati, né, peggio ancora, contrapposti. Si sconfigge anzitutto con gli “anticorpi della solidarietà”. Occorre “contrastare – raccomanda la Pav – la tendenza alla selezione dei vantaggi per i privilegiati e alla separazione dei vulnerabili in base alla cittadinanza, al reddito, alla politica, all’età”.
“Le condizioni di emergenza in cui molti Paesi si stanno trovando possono arrivare a costringere i medici a decisioni drammatiche e laceranti di razionamento delle risorse limitate”. In questi casi la decisione non potrà mai “basarsi su una differenza di valore della vita umana e della dignità di ogni persona, che sono sempre uguali e inestimabili” ma dovrà riguardare “le necessità del paziente” e “la valutazione dei benefici clinici che il trattamento può ottenere, in termini di prognosi”.

Non si possono discriminare gli anziani.
“L’età non può essere assunta – ribadisce la Nota – come criterio unico e automatico di scelta, altrimenti si potrebbe cadere in un atteggiamento discriminatorio nei confronti degli anziani e dei più fragili”. Per questo è necessario “formulare criteri per quanto possibile condivisi e argomentativamente fondati, per evitare l’arbitrio o l’improvvisazione nelle situazioni di emergenza”. “In ogni caso, non dobbiamo mai abbandonare la persona malata, anche quando non ci sono più trattamenti disponibili: cure palliative, trattamento del dolore e accompagnamento sono un’esigenza da non trascurare mai”.

Il rischi dell’infodemia che sparge incertezza.
Sul piano della sanità pubblica, la Pav auspica “un coordinamento globale dei sistemi sanitari” e il riferimento all’autorità che può considerare le emergenze con uno sguardo complessivo, prendere decisioni e orchestrare la comunicazione” per “evitare il disorientamento generato dalla tempesta comunicativa che si scatena (infodemia), con l’incertezza dei dati e la frammentazione delle notizie”.

La forza della preghiera di intercessione.
La tutela dei più deboli, in questo tempo di pandemia, evidenzia la Pav, mette alla prova anche la fede evangelica, quale segno della vittoria di Gesù risorto. “Ogni forma di sollecitudine, ogni espressione di benevolenza è una vittoria del Risorto. È responsabilità dei cristiani testimoniarlo. Sempre e per tutti”. In tale frangente, “non possiamo dimenticare le altre calamità che si abbattono sui più fragili come i profughi e gli immigrati o quei popoli che continuano ad essere flagellati dai conflitti, dalla guerra e dalla fame”. “È in questa luce – spiega la Nota – che dobbiamo comprendere il senso della preghiera. Come intercessione per ciascuno e per tutti coloro che si trovano nella sofferenza, che anche Gesù ha portato solidarizzando con noi, e come momento in cui imparare da Lui il modo di viverla nell’affidamento al Padre”.

La fraternità espressa dalla fede in aiuto di tutti.
Un atteggiamento di fede bene espresso dalle parole del vescovo di Bergamo, città flagellata in Italia dal Covid-19, riportate in chiusura della Nota. Scrive monsignor Francesco Beschi: “Le nostre preghiere non sono formule magiche. La fede in Dio non risolve magicamente i nostri problemi, piuttosto ci dà un’interiore forza per esercitare quell’impegno che tutti e ciascuno, in modi diversi siamo chiamati a vivere, in modo particolare coloro che sono chiamati a arginare e a vincere questo male”. “Anche chi non condivida la professione di questa fede – conclude la Nota della Pontifica Accademia della Vita – può trarre in ogni caso dalla testimonianza di questa fraternità universale tracce che orientano verso la parte migliore della condizione umana”.

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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