penitenza1UN LEGAME VITALE
Nel grande tema del Meeting di Fraternità quest’anno “La via della penitenza. Risposta all’Amore”, ci fermiamo a guardare il legame che unisce la penitenza alla fraternità. Diciamo subito che si tratta di un legame vitale ed imprescindibile, senza il quale sarebbe difficile comprendere e vivere la penitenza cristiana. Di solito la penitenza ci rimanda al peccato e alla sua espiazione-purificazione, ma il binomio “peccatopenitenza” va letto nel grande progetto umano-divino dell’amore, come giustamente indica il titolo di queste giornate. Dunque non più un binomio “peccato-penitenza”, ma un trittico “amore-peccato-penitenza” dove ognuno richiama l’altro e si comprende con il confronto con l’altro. All’origine infatti non c’è il peccato ma l’Amore.

Il peccato si definisce infatti soltanto in rapporto con l’amore. L’amore viene sempre prima del peccato. L’amore esiste prima del peccato, è l’energia originale dell’uomo, è la radice dell’uomo; in virtù di questa radice che si chiama ‘Amore’ l’uomo è capace di relazioni e in definitiva è capace di divenire umano! L’amore è la radice delle nostre relazioni e del nostro divenire umani. Il peccato viene dopo perchè il peccato è il rifiuto di questa radice, è un rifiuto dell’amore, è una volontaria dimenticanza della propria radice che si chiama amore, è una chiusura nell’autosufficienza.

Ma Gesù Cristo è morto per farmi ritrovare la mia radice, per farmi tornare alla mia sorgente, all’amore, dunque per “riconciliarmi”, per rilanciare la mia capacità di relazione e rilanciare il mio processo di ‘umanizzazione’. Gesù Cristo morendo così ci ha mostrato che Dio è amore fedele e che anche noi siamo radicale capacità di amare. Con il suo sacrificio ci ha offerto nello stesso tempo la capacità di recuperare la nostra radice e quindi rilanciare la nostra “avventura di uomini”. Questa possibilità di recuperare la propria radice, quindi la propria capacità di relazione, divenendo sempre più umani, si chiama Penitenza! Il peccato è una defezione dell’amore e non riguarda le cose, gli ideali, i progetti, ma sempre relazioni, rapporti personali, persone. La penitenza non può essere quindi se non via dell’ amore, di un amore che è stato ferito e che la penitenza spera di risanare e di far crescere.

Il peccato come ferita all’amore inquina, limita, svia la nostra capacità di amare che è costitutiva del nostro essere immagine e somiglianza di Dio amore-relazione. Il peccato introduce nella nostra capacità di amare l’egoismo ed ogni andare all’altro viene come segnato dalla sua impronta. Il nostro amore è inquinato, prigioniero del virus dell’egoismo.

LA PENITENZA IN S. FRANCESCO
Questo intendeva Francesco quando nel Testamento dice: “Essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi”. L’incominciare a fare penitenza, la conversione del proprio io a Dio, il risanare la capacità di amare, la concretezza di un Dio che sta nella storia, (“il Signore stesso mi condusse tra loro”) dà a Francesco la possibilità di amare come non aveva mai amato prima e gustare la bellezza di un amore libero dall’egoismo: “ed io usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi (peccati) ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. Indi attesi un poco e uscii dal mondo”.

“Penitenti di Assisi” fu la prima denominazione adottata dai frati di S. Francesco. Il significato di “fare penitenza” è più o meno identico a quello di metanoia biblica cioè penitenza e conversione. A questo si collega il ruolo del vangelo nel quale Francesco incontra il Cristo vivo. “Convertitevi e credete al vangelo” – o, come commentava un predicatore, se crederete al vangelo, sarete veramente sulla strada della conversione, strada che porta dall’io a Dio e ai fratelli. Ricordiamo la celebre pagina di Don Tonino Bello sulla quaresima: “cenere in testa e acqua ai piedi”, la cenere di conversionepenitenza del mercoledì delle ceneri sulla nostra testa, per arrivare all’acqua del servizio e dell’umiltà per lavare i piedi dei nostri fratelli il giovedì santo. Gli uomini pertanto sono divisi in due categorie: coloro che fanno penitenza (che crescono nell’amore), e coloro che non fanno penitenza (prigionieri del proprio egoismo e peccati).

Scrive p. Iriarte: “La conversione iniziale sincera e la volontà sostenuta di conversione rinnovata è il presupposto insostituibile della vita fraterna. Infatti, quella stessa tensione che impulsa costantemente il vero frate minore a scoprire in sé e a distruggere ogni forma di egoismo alienante, ogni orgoglio, ogni appropriazione, lo dispone simultaneamente ad aprirsi all’amore di Dio, e ad accogliere il fratello” (Iriarte, “Vocazione Francescana”). Si può dire che qui si radica tutta l’ascetica personale e tutta la pedagogia del Poverello come fondatore: nello stabilire il contrasto tra il proprio io e la carne e lo spirito del Signore. Atteggiamento penitenziale significa il riconoscimento umile e minoritico della propria condizione creaturale, della propria limitatezza e fragilità, anche morale, sentirsi povero davanti a Lui, attribuire a lui ogni bene, sopportare pazientemente ogni avversità e afflizione di anima e di corpo, ogni persecuzione. Una tale vita diventa testimonianza e messaggio, interpella coloro che non vivono in penitenza. Così nacque la predicazione francescana come messaggio esclusivamente penitenziale.

L’annuncio del regno di Dio comportava due elementi inseparabili la pace e la penitenza, pace e riconciliazione: “Il valorosissimo soldato di Cristo passava per città e villaggi annunciando il regno di Dio: la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati” (1Celano 33-36). “La vita e il messaggio di Francesco, uomo penitenziale provocò in tutti gli stati sociali un risveglio inusitato. Uomini e donne senza abbandonare la propria famiglia né il proprio mestiere o posizione sociale entravano nella corrente di vita evangelica, che guardava come modello le opzioni della fraternità dei frati e delle sorelle povere. La penitenza conversione divenne così non soltanto un cambiamento di condotta, ma un impegno di crescita cristiana che ha dato origine al francescanesimo secolare” (Iriarte “Vocazione Francescana” p. 38).

penitenza2PENITENZA: VIA PER TORNARE AD AMARE
Nell’ambito del nostro discorso “fare penitenza” o “con-vertirsi” significa tornare ad amare, rilanciare, rinverdire la nostra capacità di amare, spingendoci fino alla “follia”. Convertirsi significa tornare alla radice e far fiorire la mia capacità di amare portandola fino a quel fondo che è l’amore folle di Gesù Cristo in croce. Penitenza quindi non significa soltanto ‘tornare ad amare’, ma tornare ad amare spingendo la propria capacità fino alla croce! Io mi converto, cioè decido di tornare ad amare come ha amato il mio Signore Gesù Cristo, fino alla follia della croce, vale a dire, ad amare senza misura! Ed allora la penitenza acquista un’altra dimensione: quando io faccio penitenza, cioè quando mi decido a portare fino in fondo la mia capacità d’amare, non sono solo.

Se faccio penitenza nel senso di ‘tornare ad amare’ ma con la voglia di andare fino in fondo alla via dell’amore come ha fatto Gesù Cristo, allora la penitenza non la faccio da solo, ma la faccio con Gesù Cristo prendendo parte al mistero della sua morte e Risurrezione. Creati ad immagine e somiglianza di Dio, dunque capaci di amare, il battesimo ci immette in quel dinamismo di amore che è lo Spirito santo, che ci introduce al modo di amare di Dio manifestato da Gesù. Nella parola conversione c’è quel “cum”, quel “con” che nasconde tre idee, tre realtà. La parola conversione suggerisce innanzitutto l’idea dell’accompagnamento: la parola conversione porta in sé questo significato di ‘insieme ad un altro’. ‘io mi converto’, cioè ‘faccio strada con Gesù Cristo’. Sarebbe meglio dire: mi converto, cioè permetto a Gesù Cristo di fare strada con me. Mi suggerisce anche un’altra idea quel “con”, un’altra realtà, quella della partecipazione conversione… Io partecipo, prendo parte all’amore di Gesù Cristo che si spinge fino alla follia e Gesù Cristo prende parte al mio amore che osa anch’esso spingersi fino alla follia.

Ma c’è un’altra idea o un’altra realtà, quella della gradualità, della successione, quindi della trasformazione, una nuova volontà e energia sta subentrando gradualmente nella mia vita e mi trasforma! La penitenza significa recuperare la capacità di amare, permettendole tutto lo sviluppo del suo potenziale; ma, essendo cristiana essere penitenti significa camminare con Gesù Cristo, partecipare alla vicenda di Gesù Cristo, e vedersi quotidianamente trasformati, assimilati a Lui. Essere penitenti, persone che ‘segnano’ il passo di Gesù Cristo, che sono entrati in sintonia perfetta con il ritmo dei passi di Gesù Cristo, con l’andatura di Gesù Cristo; qualcuno che osa ogni giorno rimettere se stesso, o mettersi ancor più, sotto l’influsso dello Spirito del Risorto che è la sua energia personale di amore. Allora tutto il tempo dell’esistenza terrena è tempo di penitenza!

La penitenza è una realtà molto grande e non tutta è insita nel peccato. C’è insita la mia volontà di promuovere, passo dopo passo il mio processo di ‘umanizzazione’ che coincide con il mio divenire ‘uguale’ al Figlio di Dio, altro Cristo. Tutta la mia esistenza è tempo di penitenza, a cominciare dalla prima penitenza, dalla prima clamorosa professione di voler essere penitente che si chiama il Battesimo, fino all’ultima penitenza, all’ultima professione pubblica di penitenza: la morte! Sulla quale spunta la Risurrezione come sigillo definitivo di una vita che ha camminato nell’Amore.

Tratto dalla relazione di Sr. Lorella Mattioli al Meeting di fraternità
(Assisi 19-23 agosto 2012)