Convegno “Custodia del creato come stile di vita”
Bellamonte 28-30 agosto 2013
Contributo di Rosario Lembo, Presidente Cicma
1. LA QUESTIONE AMBIENTALE: CHE COSA RAPPRESENTA
Il genere umano interagisce con la natura per poter crescere e svilupparsi, ma questo deve avvenire entro certi limiti, alterando cioè il meno possibile il contesto biofisico globale, cioè Madre Terra. Questa consapevolezza è presente nella Bibbia – Libro della Genesi (“Dio pose l’uomo e la donn e bvenia sulla terra perché la coltivassero e a custodissero”, cfr 2,15). La salvaguardia del creato ha trovato in San Francesco d’Assisi – nel Cantico delle Creature – il suo difensore con il richiamo ad “avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo”
(Papa Francesco, Omelia 19/3/2013).
La questione ambientale è una “emergenza” di cui si ha la consapevolezza da quando l’uomo ha cominciato a sfruttare la terra e le sue risorse. Per tanti secoli l’uomo e la società umana si sono sviluppati rispettando le leggi della natura ed il ciclo naturale del creato. Il rapporto tra uomo ed ambiente, cioè la questione ambientale e la sostenibilità del modello di sviluppo fondato sullo sfruttamento delle risorse naturali, è diventata la “priorità” dopo 2000 anni. È nel XXI secolo a seguito dei rapporti e denuncie lanciati dai Centri di Ricerca e scienziati e poi dalla Conferenza internazionale di Rio+20, ma soprattutto per l’esaurirsi di alcune risorse naturali e l’accentuarsi degli sconvolgimenti dei territori e dei disastri ambientali, che la questione ambientale è diventata una “criticità”.
L’attenzione ai problemi ambientali era stata avviata 45 anni fa con le denunce contenute nel Rapporto del Club di Roma (1968) dell‘economista italiano Aurelio Peccei che per primo analizzò le problematiche e le relazioni tra economia- società-ambiente, identificando alcune criticità, criticità che la comunità internazionale non ha voluto affrontare e che sono alla base della attuale “crisi ambientale” del XXI secolo.
La comunità internazionale ha infatti affrontato per la prima volta la questione ambientale nel 1992 con la Conferenza ambientale di Rio de Janeiro, che si concluse rilanciando il termine “sviluppo sostenibile“, coniato nel Rapporto Brundtland del 1987, per collocarlo al centro di una nuova analisi di politica socio economica denominato “Agenda 21”. Il numero 21 accanto alla Agenda stava a significare proprio il “ventunesimo secolo” come scadenza entro la quale era necessario raggiungere alcuni importanti risultati alla base di un modello di sviluppo sostenibile, cosi identificate:
• Le attività umane non avrebbero dovuto superare la velocità di riproduzione delle risorse rinnovabili e la capacità di assorbimento della natura.
• Lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili avrebbe dovuto essere finalizzato al potenziamento delle strutture energetiche rinnovabili nel lungo periodo in modo da poter sostituire gradualmente le prime.
Purtroppo, alla fine del primo decennio del XXI secolo “la sostenibilità ambientale” non è ancora un obiettivo raggiunto, come è possibile rilevare dalle denunce contenute in alcuni importanti rapporti come il Rapporto mondiale sull’ambiente dell‘UNEP (GEO 5), il rapporto dell’European Environment Agency sull‘acqua, alla base del “Water Blueprint”, che fotografa la situazione in Europa ed a livello italiano da alcuni rapporti di Legambiente e dal rapporto sulla valutazione ambientale redatte dall’ OCDE.
I principali problemi a livello planetario, alla base della attuale “crisi ambientale”, individuati dal Rapporto UNEP, possono essere raggruppati in cinque categorie:
• problemi trasversali, relativi alla “governance” dei processi di sostenibilità globale, le capacità/difficoltà dei sistemi umani di procedere verso la green economy, l’integrazione tra scienza e azione politica, le nuove sfide dell’umanità poste dai cambiamenti ambientali globali;i• problemi legati ad alimentazione,biodivesità e uso del suolo, quali la sicurezza alimentare, la lotta contro la perdita di biodiversità, l’urbanizzazione e gli insediamenti umani, la speculazione sull’accaparramento dei suoli;
• problemi relativi all’acqua e al mare, quali l’uso sostenibile delle risorse idriche, delle risorse marine, la protezione degli ecosistemi acquatici delle acque interne e marine;
• problemi sui cambiamenti climatici, quali la riduzione delle emissioni di gas serra e la prevenzione dei maggiori rischi indotti dai cambiamenti del clima, la prevenzione delle conseguenze negative degli eventi climatici estremi e della ritirata dei ghiacciai;
• problemi riguardanti l’energia e i rifiuti, quali l’uso di fonti energetiche rinnovabili, la riduzione dei rischi industriali e chimici, l’utilizzo efficiente delle risorse naturali ed in particolare delle minerarie e delle risorse naturali strategiche, i rifiuti, ma in particolare i rifiuti radioattivi e lo smantellamento del nucleare.
Malgrado gli innumerevoli piani, programmi ed iniziative, la sostenibilità delle nostre economie e del nostro modo di vivere è un obiettivo ancora molto lontano. A metà agosto 2013 si è registrato(I l‘Earth overshoot day( Il giorno del sorpasso della terra), cioè la data in cui il consumo di risorse naturali ha superato la produzione che la Terra è in grado di mettere a disposizione nel corso dell’anno.
Una delle modalità con cui misurare l’impatto dell’attuale modello di sviluppo sull’ambiente è l’impronta ecologica. I dati più recenti dell’impronta ecologica mondiale mostrano che in solo otto mesi, le Regioni più sviluppate del mondo hanno usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il Pianeta rigenera in un anno.
I 27 Stati membri dell‘Unione – cioè la prima grande economia del mondo – hanno fatto registrare nel 2007 una impronta ecologica di 4.55 gha (global hectares per persona), rispetto a 2.70 del resto del mondo. L’impronta idrica italiana si situa a 4.99 gha. La maggioranza dei paesi dell‘Unione Europea si trova di fatto in una situazione di “deficit ecologico”. Solo i paesi del Nord-est (Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia) dispongono di una riserva ecologica importante. In questa graduatoria, l‘Italia si trova al di sopra di 3 gha/pers di deficit in compagnia dei Paesi Bassi, Spagna, Grecia e Regno Unito.
E’ opportuno segnalare che per le Regioni del Nord Italia, il “sorpasso della Terra” è avvenuto già nel mese di Aprile di ogni anno. Tuttavia nessuno se ne è accorto e ciascuno di noi continua a “godere” della ricchezza e del tenore di “sviluppo” unicamente, pur nella attuale situazioni di “crisi”, grazie al prelievo delle risorse naturali delle altre regioni del Pianeta. L’impronta ecologica risulta infatti essere più elevata per le persone e gruppi sociali che hanno un buon “reddito”. Normalmente, i paesi “ricchi” compensano il “deficit ecologico” con le importazioni, beneficiando così delle risorse naturali e dei “servizi ambientali, ecologici” degli altri paesi per assicurarsi l’approvvigionamento delle risorse necessarie al loro modello di vita e al mantenimento dei consumi.
Ecco il vantaggio della globalizzazione, di cui beneficiano la maggioranza dei paesi europei occidentali.
Se da un lato la dipendenza da importazione di alcuni Paesi fa crescere la “ricchezza” dei paesi esportatori (il che non significa che questa ricchezza vada alle popolazioni locali), dall‘altro è evidente che il “commercio” dei beni della natura (creato) contribuisce ad aumentare l’impronta ecologica complessiva nel mondo.
Da qui l’importanza crescente che, da alcuni anni, ha assunto il concetto di “acqua virtuale”, cioè l’acqua contenuta nella produzione e commercio soprattutto di prodotti alimenti e dei beni di consumo, di cui si “gode” importando beni e servizi dal resto del mondo.La questione ambientale si presenta quindi piuttosto “complessa” e deve esser affrontata a diversi livelli. I due principali possono essere individuati:
a) rapporto tra un sistema( territorio) e le risorse naturali messe a disposizione dalla Terra che chiama in causa il modello di sviluppo e quindi l’economia, cioè le regole di cui una comunità si dota per gestire queste risorse
b) rapporto tra le disponibilità ed accesso a queste risorse da cui dipendono innumerevoli altri fattori quali la salute fisica delle persone (qualità dell’acqua e dell’aria), l’edificabilità (qualità del terreno) e persino l’occupazione lavorativa, cioè il modello di sviluppo, di crescita e di benessere adottato da ogni comunità in relazione alle risorse di cui dispone.
Per svilupparsi, un sistema (uno Stato, un territorio, una comunità) deve innanzitutto consumare le risorse di cui dispone in quantità minore – o al massimo uguale – di quanto ne riesca a produrre il ciclo naturale.
Dalla urgenza di rispettare questo principio di “salvaguardia” , cioè di “rispetto della natura” sono nati e si stanno definendo i concetti di sostenibilità e di sviluppo sostenibile e gli indicatori di sostenibilità ambientale che costituiscono l’approccio con cui la Comunità Internazionale intende affrontare la questione ambientale. Con il tema “sostenibilità ambientale” si intende quindi l’insieme di relazioni tra le attività umane e la biosfera per perseguire uno “sviluppo sostenibile”
. 2. LA QUESTIONE AMBIENTALE: UNA EMERGENZA CHE RICHIEDE UN CAMBIAMENTO RADICALE
L’introduzione del concetto di “sviluppo sostenibile” si è dimostrato però fin dai primi momenti “antitetico” al consolidatomodello di “sviluppo economico” basato sulla crescita senza limiti, associata allo sfruttamento delle risorse naturali ed inquinamento dell’ambiente.
Il concetto del “limite” non piacque e non è mai stato accettato dalla cultura dominante basata sul business model da “Far West”, cioè della conquista della natura. Nel momento in cui le risorse disponibili di un territorio/paese sono in fase di esaurimento ecco che viene in soccorso la “globalizzazione” nelle sue varie modalità (liberalizzazione dei mercati, privatizzazione dei beni naturali e loro finanziarizzazione) che ha costituito la risposta economica per superare questo vincolo.
Il documento “Agenda 21” lanciato nel 1992, per promuovere il modello di “sviluppo sostenibile”, chiedeva la responsabilizzazione dei governi rispetto allo sfruttamento delle risorse, l’introduzione degli obiettivi di sostenibilità ambientale nelle politiche economiche nazionali ed il monitoraggio del carico inquinante delle attività umane, in particolar modo delle emissioni di gas serra nell’atmosfera terrestre.
Ancora oggi l’economia ed i modelli di sviluppo di quasi tutti i Paesi sono quasi esclusivamente fondate sullo sfruttamento senza limiti delle risorse fossili e le emissioni globali di CO2 nell‘atmosfera terrestre; entrambe queste tendenze non hanno fatto riscontrare cenni di rallentamento o inversioni di tendenza.
Per queste ragioni nonostante siano passati oltre venti anni dalla Conferenza di Rio ancora oggi la “sostenibilità ambientale” non solo non è ancora diventata una “prassi”, ma dopo la Conferenza di Rio+20 (giugno 2012) questo obiettivo è stato rinviato nel tempo (come si può vedere alla Scheda “Le proposte della conferenza di Rio).
3. QUESTIONE AMBIENTALE E COMUNITÀ INTERNAZIONALE: RIO+20
Sebbene il Rapporto Brundtland redatto dalla Commissione delle Nazioni Unite sull’Ambiente e sullo Sviluppo, avesse già definito nel 1987 lo “sviluppo sostenibile” come “un modello che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”, il documento finale di Rio+20 non propone un piano di azione nè ha fissato una scadenza per concretizzare questo modello di sviluppo sostenibile, ammesso che esso possa costituire una reale “alternativa” per promuovere un “futuro sostenibile”. L’agenda di “Rio 20+20” si è limitata infatti a rinviare le decisioni su un nuovo arco temporale:
2012 al 2015: definizione degli indicatori e delle misure necessarie per valutare l’implementazione e scegliere il know-how, le competenze e la tecnologia;
2015 al 2030: implementazione e monitoraggio periodico; 2030: rendicontazione degli obiettivi realizzati.
4. QUESTIONE AMBIENTALE: LE PROPOSTE E LA VISIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE Le visioni della crisi ambientale della società civile e quelle degli scienziati hanno trovato riscontro, in occasione del Vertice di Rio+20, attraverso la produzione di diversi documenti alternativi e l’organizzazione di alcuni eventi alternativi al Forum ufficiale. Due sono stati i documenti più significativi.
Il documento “Il Rio+20 che non vogliamo” – prodotto da rappresentanti della società civile, scienziati, leader di grandi associazioni internazionali – non soltanto ha contestato la dichiarazione finale della conferenza ma ha lanciato anche alcune precise proposte, cosi sintetizzabili: assicurare una responsabilità di stewardship planetaria, includendo tutti gli stakeholder e mantenendo un approccio integrato in termini di equità sociale,rispetto ambientale e di sostenibilità economica; prendere azioni urgenti che vadano incontro alle necessità globali per l’alimentazione, l’acqua e l’energia in una maniera sostenibile; ripensare il modello economico, i modelli di produzione e consumo, disaccoppiando la crescita e la prosperità dall’utilizzo delle risorse, andando oltre il PIL come misura del progresso delle società; avviare un’azione decisiva per il raggiungimento dei Millennium Development Goals (MDGs), con l’adozione di Obiettivi di sviluppo sostenibile SDGs) e la conclusione di un accordo sul clima.
Il secondo documento, frutto del lavoro di comitati di base ed organizzazioni della società civile che si sono ritrovati nel “Vertice dei Popoli”, denuncia esplicitamente le cause strutturali della crisi globale, identificandole: nel sistema capitalista associato al patriarcato, al razzismo e alla omofobia; nel ruolo delle corporation multinazionali che violano sistematicamente i diritti dei popoli e della natura nella assoluta impunità, nella perdita del controllo sociale, democratico e comunitario sulle risorse naturali e sui servizi strategici, che continuano a essere privatizzati, con la trasformazione di diritti in merci e la limitazione dell’accesso dei popoli ai beni e servizi necessari alla sopravvivenza; nell’aggravarsi dell’indebitamento pubblico-privato, il superstimolo al consumo, l’appropriazione e concentrazione delle nuove tecnologie, i mercati del carbonio e della biodiversità, l’appropriazione indebita di terre e il loro passaggio nelle mani di proprietari stranieri e i partenariati pubblico-privato.
Le alternative del Manifesto del Vertice dei Popoli costituiscono un importante punto di riferimento per quanti vogliono impegnarsi per una giustizia ambientale a difesa dei beni del creato. Le piste di impegno possono essere così riassunte:
• recupero delle conoscenze, delle pratiche e dei sistemi produttivi, che dobbiamo conservare, rivalorizzare e promuovere su larga scala in un progetto contro-egemonico e trasformatore; • difesa degli spazi pubblici nelle città, con gestione democratica e partecipazione popolare, attraverso forme di economia cooperativa e solidale;
• sovranità alimentare, un nuovo paradigma di produzione, distribuzione e consumo;
• cambiamento del modello energetico
• difesa dei beni comuni attraverso la concretizzazione di una serie di diritti umani e della natura, come, per esempio, la difesa del “Ben vivere”, cioè forma di esistere in armonia con la natura, il che presuppone una transizione giusta, che deve essere costruita con i lavoratori e le lavoratrici e i popoli sui vari territori.
5. LA QUESTIONE AMBIENTALE E LE TENDENZE IN ATTO
Alla luce di queste considerazioni appare evidente che, a minacciare l’attuale modello di sviluppo – tutt’altro che sostenibile – e il deterioramento delle condizioni di vita dell’intera popolazione mondiale, non sarà un flop di Wall street o una nuova crisi economica delle Tigri asiatiche ma la crisi ambientale. Gli effetti dei cambiamenti climatici sono un eloquente segnale che la natura comincia a ribellarsi. Le cause strutturali alla base della crisi-questione ambientale sono ben descritte e denunciate dal Manifesto del Vertice dei popoli. La Comunità internazionale deve trovare il coraggio e la volontà per contrastare l’attuale modello di globalizzazione dell’economia mondiale fondato sulla mercificazione e finanziarizzazione delle risorse naturali che stanno determinando la rarefazione delle risorse disponibili, disuguaglianze crescenti nell’accesso alle risorse di base.
Purtroppo la Comunità internazionale si è dimostrata finora incapace, non soltanto di dare attuazione agli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM) da raggiungere entro il 2015, ma di affrontare i nodi legati alla crisi ambientale che sono emersi a partire dalla Conferenza di Rio+20. Le tendenze in atto sono infatti orientate a non contrastare l’attuale modello di globalizzazione e quindi di sviluppo fondato sullo sfruttamento delle risorse di madre Terra; la sostenibilità ambientale si riduce ad alcuni provvedimenti “paliativi” senza mutamenti dei modelli di produzione e sfruttamento delle risorse. L’approccio prevalente, in antitesi con la “sostenibilità” continua ad esser quello di considerare le risorse come beni da “sfruttare” e sui quali innescare modelli di speculazione finanziaria a sostegno della crescita.
Di fronte a questi atteggiamenti è urgente e necessario che come cittadini del pianeta terra ed in quanto componenti di una stessa famiglia, l’umanità, cominciamo a far sentire la nostra indignazione, cioè a criticare l’inerzia dei nostri Governi, ma soprattutto stimolare sui territori la messa in atto di nuove politiche a difesa dei beni comuni ed a salvaguardia dell’ambiente, attraverso modalità di partecipazione attiva e di controllo delle politiche messe in atto dai nostri amministratori nelle città e sui territori in cui viviamo.
Riprenderemo successivamente questa riflessione interrogandoci sul “che cosa fare”.
6. QUESTIONE AMBIENTALE E RISORSE IDRICHE
Mi sia consentito, come “militante” impegnato nella difesa di una visione dell’acqua come bene comune e diritto umano per tutti, di richiamare brevemente la vostra attenzione, nell’ambito della nostra riflessione su una delle sfide ambientali prioritarie del nostro secolo: l’urgenza di mettere in atto campagne di salvaguardia del bene comune acqua dell’umanità e di ogni essere vivente, cioè di quella risorsa che San Francesco chiama “sorella acqua” e che rappresenta nel creato la fonte stessa della vita.
La questione ambientale rispetto all’acqua, come bene comune dell’umanità, è legata oggi, a livello planetario, ai seguenti fattori di “criticità”:
1. difficoltà a garantire approvvigionamento di risorse idriche per i diversi utilizzi possibili. È questa la principale causa della pressione sullo stato quantitativo delle acque, delle criticità di bilancio idrico, del mancato rispetto del minimo deflusso vitale e della riduzione delle riserve idriche temporanee. La conflittualità nella gestione e nell’utilizzo della risorsa idrica, in particolare tra usi irrigui, industriali e ricreativi ed ambientali, è la causa principale delle difficoltà di conciliare esigenze sociali/umane, economiche ed ambientali, obiettivo che dovrebbe essere, su ogni territorio, alla base di una politica di sostenibilità ambientale;
2. il progressivo impoverimento della disponibilità di risorse idriche;
3. l’abbassamento delle falde freatiche con conseguente abbassamento del livello piezometrico associato alla riduzione della fascia delle risorgive e delle riserve (ghiacciai);
4. l’inquinamento dei corsi d’acqua superficiali e delle acque sotterranee;
5. l’inquinamento delle acque costiere e dei mari/oceani.
Le soluzioni proposte per contrastare la rarefazione della risorsa e garantire la sicurezza idrica sono affidate dalla Comunità Internazionale, come è stato in precedenza descritto, alla green economy; alle soluzioni tecnologiche finalizzate al riciclo delle acque per uso umano; ai meccanismi di mercato (selezione usi, monetarizzazione di ogni fase del ciclo); al ricorso alla finanza internazionale ed alla creazione di strumenti finanziari speculativi per reperire risorse (creazione delle Borse dell’acqua).
A livello europeo la strategia ambientale è dettata da alcuni documenti prodotti dalla Commissione: la “Strategia Europa 2020” ed il “Water Blueprint” che inquadrano il divenire dell’acqua del nostro continente al 2027 identificando quattro campi di azione: l’agenda ambientale (l’acqua come risorsa naturale da salvaguardare); l’agenda dei servizi (l’acqua classificata fra i servizi di interesse economico generale, quindi aperti al mercato). l’agenda della nuova crescita “verde”/sostenibile (l’acqua come campo significativo di applicazione dell’innovazione tecnologica e di uno sviluppo fondato sull’uso efficiente delle risorse); l’agenda della governance (l’acqua come terreno di sperimentazione e concretizzazione della monetarizzazione delle risorse naturali e dell’ambiente e della gestione fondata sui portatori d’interesse).
7. QUALI PERCORSI DI CITTADINANZA A SALVAGUARDIA DEI BENI COMUNI
Sulla base di questa ricostruzione delle dimensioni e modalità con cui si presenta la questione ambientale, si pone quindi l’interrogativo del cosa si può fare.
I segnali di crisi legati al modello di globalizzazione finora praticato, fondato su liberalizzazione, privatizzazione, finanziarizzazione, grazie anche alle campagne di mobilitazione di cittadini, in diverse parti del mondo, aprono oggi alcuni possibili scenari rispetto alla “questione ambientale”:
– il primo è quello della paura, dei nazionalismi, del far ricorso alla difesa dei proprio benessere, pensando che sia possibile rinviare le decisioni o attraverso i vantaggi della globalizzazione.
– il secondo è quello della assunzione delle responsabilità, come popoli, come cittadini, come tutori dei beni comuni della Terra, in quanto componenti di una stessa famiglia che è l’umanità.
Questa seconda “opzione” si fonda sulla capacità di saper ridefinire le nostre società sostituendo i paradigmi del vecchio modello globalizzazione con dei nuovi paradigmi come ad esempio: l’approccio della mondialità, l’affermazione della cultura dei “beni comuni”, la valorizzazione dell’altro/ diverso da associare ai percorsi di salvaguardia, un nuovo rapporto con l’ambiente ed i beni comuni della Terra (creato).
La promozione di una cultura ambientale di partecipazione responsabile comporta :
• la partecipazione attiva, a partire dai territori, come cittadini dei processi decisionali rispetto alle scelte relative ai beni comuni, da parte delle istituzioni;
• la messa in atto di comportamenti individuali, a livello di stili di vita e di usi/consumo dei beni perché questi comportamenti possono condizionare i mercati ed i cicli produttivi. Questi richiami sul “cosa fare” possono sembrare accademici o scarsamente incisivi. Vorrei richiamare alcuni esempi o percorsi innovativi, a difesa dell’ambiente della natura, in parte legati alla mobilitazione della società civile.
A livello di Stati. Un esempio a sostegno della questione ambientale è testimoniato dall’Ecuador che ha introdotto nella propria Costituzione, Il riconoscimento dei diritti della natura, dei diritti delle persone e delle collettività. Il riconoscimento dei “diritti della natura” si fonda sul diritto del “buon vivere”, il modello di sviluppo che i cittadini dell’Ecuador si sono dati per vivere in armonia con ciò che sta intorno a loro e con gli altri. Per farlo hanno sancito come diritti inalienabili: la difesa dell’ambiente; la sovranità alimentare; la salvaguardia dei suoli che vanno conservati, protetti; la terra ai contadini; l’acqua non si può privatizzare; i popoli indigeni hanno gli stessi diritti degli altri; il divieto di introdurre gli organismi geneticamente modificati; l’impegno a ridurre l’emissione della Co2.
Questa esperienza, a cui si associano esperienze di altre comunità e Paesi dell’America Latina, dimostra che i popoli ed i cittadini, possono organizzarsi e decidere nuovi criteri con cui rapportarsi con la natura, con i beni comuni presenti sui propri territori.
A livello di territorio, la piattaforma delle “Agende locali 21”, adottata al primo vertice mondiale della Terra “Rio 1992“, ha trovato concretizzazione in Italia con le “Agenda locale 21” dapprima attraverso le Province, poi i Comuni, con l’avvio di “percorsi virtuosi” a difesa dell’ambiente. Questi percorsi hanno portato alla nascita di associazioni di Comuni, autodefinitisi “virtuosi” e grazie alla mobilitazione dei cittadini, si è riusciti a passare sui territori dalle affermazioni a politiche e pratiche di comportamenti responsabili a tutela dell’ambiente. Si registrano cosi oggi diverse graduatorie di “Comuni virtuosi” rispetto al ciclo dei rifiuti, allo sfruttamento della terra, di energia pulita, di trasporti, di prodotti alimentari a km zero…. Alcune statistiche pubblicate dall’ISTAT e rapporti di associazioni ambientaliste ci aiutano a scoprire queste realtà.
L’esperienza delle “città sostenibili”, sperimentata a livello europeo da alcune città. Le esperienze messe in atto si sono fondate non soltanto sulla innovazione tecnologica, ma sulla interrelazione tra le variabili ambientali, sociali, politico culturali ed economiche, che hanno visto la partecipazione dei cittadini nella progettazione e messa in atto di pratiche sociali efficaci sul piano della sostenibilità ed integrazione tra i vari usi dell’acqua, delle inter-relazioni tra la città e la “campagna”, tra i settori produttivi e le varie attività di servizi locali.
Infine va segnalato il ruolo che le città, possono svolgere come luogo prioritario delle politiche ambientali. In un mondo in cui tra trent’anni oltre due persone su tre vivranno in città e già oggi la popolazione urbana supera la metà di quella globale, qualità e sostenibilità delle città sono questioni cruciali e ineludibili. Le città, soprattutto le città metropolitane, sono chiamate a svolgere un ruolo costruttivo di cooperazione e di coesione territoriale rispetto ai temi ambientali ma sopratutto con riferimento a modelli innovativi di sostenibilità in termini di “economia verde”.
Se vorrà avere un futuro sostenibile, l’economia verde non potrà che fondarsi su modelli di cooperazione e di sviluppo rispettosi della giustizia, del “ben vivere” insieme e della salvaguardia dei beni comuni e queste pratiche devono trovare concretizzazione a partire dai luoghi del nostro vivere quotidiano, come cittadini, come custodi del creato.
Il rafforzamento di queste esperienze di organizzazione e gestione diretta dei beni e dei servizi sui territori, cioè nelle nostre città, nei quartieri, nei condomini in cui viviamo, finalizzati alla salvaguardia dei beni naturali deve però passare attraverso non solo attraverso comportamenti individuali responsabili, ma comportamenti e richieste collettive volte ad ottenere la loro classificazione come “beni comuni”, una gestione pubblica, associata a modelli di partecipazione diretta dei cittadini nella gestione. Mobilitazione individuale e collettiva costituisce il primo livello di rafforzamento di modelli economici alternativi finalizzati alla difesa dei diritti ed alla costruzione di comunità più forti sul piano dei comportamenti responsabili nei confronti dell’ambiente.
La trasformazione sociale, e la mobilitazione dei cittadini, esige convergenze di azione, collegamenti e agende comuni a partire dagli stili di vita, da azioni collettive di resistenza e soprattutto la messa in rete di queste esperienze.
Ecco allora che arriviamo ad affrontare quale può essere il contributo che ciascuno di noi come cittadino, come consumatore, può dare.
Certamente rispetto alla complessità della “sfida ambientale”, che è stata in precedenza descritta possiamo sentirci impotenti. In questa ricerca sul cosa fare ci può aiutare ad identificare un primo percorso anche il richiamo che le Nazioni Unite lanciano ogni anno in occasione della “Giornata Mondiale dell’Ambiente” che si è celebrata nel mese di Giugno. Quest’anno lo slogan lanciato è stato “Pensa, mangia e risparmia”.
La riduzione degli sprechi alimentari nelle nostre famiglie sono un primo comportamento responsabile. Spesso si dimentica che per produrre il cibo che finisce in pattumiera servono risorse, come acqua e terra, e si inquina l’aria con le emissioni di gas serra per il trasferimento dei prodotti. Secondo la FAO, ogni anno nel mondo gli esseri umani buttano via 1,3 tonnellate di avanzi, il 30% circa del cibo prodotto e più o meno quattro volte quel che servirebbe per sfamare le persone che soffrono la fame. Secondo un rapporto stilato dal “Barilla Center for Food and Nutrition” un cittadino americano butta mediamente via, ogni giorno, l‘equivalente di 1.334 chilocalorie; un cittadino europeo, invece, ne spreca solo 720 al giorno. Due normali cittadini occidentali a sprecare 2.054 kg/cal ogni giorno, cioè il fabbisogno calorico medio di una persona. Senza contare che anche per produrre. Ridurre gli sprechi alimentari, consumo di prodotti a km Zero, sono alcune dei comportamenti responsabili che possiamo praticare.
Queste cifre hanno stimolato papa Francesco, nel corso della Udienza in Piazza San Pietro del 5 giugno, a lanciare alcuni forti richiami di responsabilizzazione ambientale che toccano sia la sfera dei nostri stili di vita che il piano delle relazioni umane, cioè la capacità di saper rapportarci con l’altro, cioè contaminarci a vicenda rispetto alla promozione di una nuova cultura responsabile verso il creato.
Papa Francesco ha sottolineato la necessità di un serio impegno a rispettare e custodire il creato, una maggior attenzione ad ogni persona, a contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro.
Consentitemi di richiamare alcuni passaggi del discorso del papa Francesco: l’invito a “coltivare e custodire” non solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, si associa alla necessità di recuperare i rapporti umani e guardare ai bisogni altrui con la stessa attenzione e cura in cui dobbiamo difendere l’ambiente, affinché “il mondo sia un giardino abitabile per tutti”. Quello che comanda oggi, ha ricordato papa Francesco “non è l’uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano”. “E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. Noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”.
Per contrastare la crisi ambientale il richiamo di papa Francesco, non è solo a compiere piccoli gesti quotidiani, ma un impegno a farsi carico di “custodire” ed avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo.
Questo richiamo si rivolge ad ognuno di noi. A prescindere dal proprio credo religioso, ogni essere umano deve farsi carico di assunzione di responsabilità per far sì che: l’acqua, la terra, il cibo, la vita, la ricchezza e l’energia, il petrolio e molti altri elementi diventino beni comuni e non un lusso per pochi. Non è possibile chiedere ai giovani, alle nuove generazioni, comportamenti responsabili se non siamo capaci di cominciare a praticarle noi stessi per primi..
Ecco l’urgenza che ad un impegno per una ecologia ambientale si affianca oggi l’urgenza di una ecologia umana, cioè di responsabilizzazione e di mobilitazione come cittadini, come cristiani o credenti, anche in termini di atti politici, per sollecitare cioè da parte delle istituzioni locali, nazionali nuove politiche di sviluppo e nuovi atteggiamenti nei confronti dell’ambiente e per contrastare il primato del denaro, della economia e della finanza sulla vita, su ogni uomo o essere vivente.
Di fronte alla crisi ambientale, è urgente e necessario evitare di cadere nel rischio della privatizzazione della propria esperienza o della verità delle proprie convinzioni o del proprio “io”, evitare la privatizzazione della nostra sensibilità ecologica riducendola cioè solo a testimonianza o stile di vita. E’ necessario trovare il coraggio di uscire dal rischio della “autoreferenzialità” per agire in termini di partecipazione e di responsabilizzazione collettiva. Questo impegno assume un rilievo ancora più forte per una comunità come la vostra comunità francescana che si richiama alla testimonianza ed al messaggio a salvaguardia del creato che San Francesco d’Assisi ha diffuso. San Francesco è stato un missionario nel suo impegno a salvaguardia del beni del creato; ogni comunità francescana è chiamata non solo a vivere e praticare i valori francescani ma a contaminare e coinvolgere il maggior numero di persone rispetto alla salvaguardia del creato.
Le Dolomiti, proclamate patrimonio della umanità, che hanno fatto da sfondo a questo convegno, la esperienza testimoniata dalla Magnifica Comunità della Val di Fiemme di gestione della terra, del bosco, delle montagne come beni comuni collettivi, affidati cioè alle regole che questa comunità di valle si è data e che hanno saputo tramandare e praticare nel tempo e che hanno consentito di conservare fino a nostri giorni queste montagne, questi parchi, queste risorse, se associate all’appello lanciato da papa Francesco rispetto alla emergenza ambientale, costituiscono due stimoli per far si che ciascuno di noi possa tornare a casa con una sufficiente consapevolezza ed entusiasmo con cui mettere in pratica l’impegno personale e collettivo alla salvaguardia dei beni comuni della terra e del creato che sono stati affidati in gestione all’umanità. C’è lavoro per tutti e ciascuno è chiamato a fare la sua parte.
Buon lavoro.
Dott. Rosario Lembo
Presidente Cicma
Coord. Italiano Contratto Mondiale dell’Acqua