Comunicato stampa di “Scienza e Vita” (23-11-2021)

In questi giorni, il Comitato etico (CE) dell’Asur delle Marche ha dato parere positivo a che “Mario” (nome fittizio), 43 anni, persona tetraplegica da 11 in conseguenza di un incidente d’auto, possa accedere – è il primo caso in Italia – alle procedure per il suicidio assistito. Molti media hanno titolato la notizia con una sorta di trionfalismo, ma è davvero una vittoria? Scienza & Vita ritiene che si tratti in realtà di una pesante sconfitta, sotto vari aspetti.
Anzitutto la sconfitta di una vita umana segnata dalla malattia e dalla sofferenza, che non riesce a riconoscere più in se stessa quella dignità personale in verità mai perduta.
Poi, una sconfitta per l’esercizio della medicina, il cui plurisecolare paradigma di dedizione assoluta alla cura e all’assistenza delle persone malate, sempre in favore della vita, viene adesso sovvertito, quasi “ribaltato”, includendo in quell’assistenza anche la possibilità di “dare la morte” intenzionalmente.
È una sconfitta anche per la comunità civile, che non riesce a manifestare adeguatamente e sufficientemente il proprio impegno di solidarietà, vicinanza e condivisione verso i più fragili e bisognosi dei suoi membri. Cosicché, al grido di dolore di chi soffre segnato dalla malattia, risponde spianando la via ad una sbrigativa (e più economica?) “scorciatoia” verso la morte procurata, ergendosi a paladina di una malintesa “libertà personale”, del tutto individualistica e autoreferenziale.
Infine, vogliamo sottolineare come il parere del CE riconosca nella condizione clinica di Mario l’occorrenza dei quattro requisiti previsti dalla sentenza 242/19 della Corte Costituzionale (persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, presenza di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, soggetto pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli). Forse, però, in modo troppo “estensivo”, con una creatività al limite del fantasioso. Come non stupirsi, infatti, leggendo che “la sussistenza di trattamenti di sostegno vitale”, in Mario sarebbe determinata dal fatto che il soggetto “ha impiantato un pacemaker, è fornito di un catetere vescicale a permanenza ed è sottoposto a manovre di evacuazione manuali”? Non è un po’ poco, rispetto alla sterminata letteratura sul tema che fino ad oggi ha considerato in quella nozione la ventilazione assistita, la idratazione e la nutrizione artificiali (come, peraltro, riconosciuto dallo stesso CE)?
Pur rimanendo, in questa occasione, una sensazione di amarezza e di sconfitta per la medicina e, più in generale, per quei criteri di sussidiarietà nella cura cui la nostra Costituzione ci ha sempre invitati e che, proprio in questi mesi di pandemia, sembravano riemergere in modo vivo nella comunità, Scienza & Vita riafferma pienamente la sua fiducia e il suo concreto impegno perché, alla sofferenza autentica delle persone segnate dalla malattia, si possa dare risposta con iniziative efficaci di “cura solidale” e di solidarietà fattiva. Nel convincimento che ciascuna persona, pur se gravata da condizioni di malattia e difficoltà, non smarrisce mai la sua dignità umana.

L’Ufficio per la Pastorale della salute della Cei “Quando una persona sceglie di terminare la propria vita si impongono atteggiamenti di profondo rispetto per chi vive una sofferenza tale da decidere di smettere di vivere. La sofferenza delle persone va sempre considerata e se porta ad una scelta così estrema significa che è molto alta”, afferma don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della Cei.
“Un altro atteggiamento richiesto è di vicinanza fraterna a chi soffre in questo modo, perché non si senta solo. La comunità cristiana prega e accompagna ogni sofferente”.
“Al tempo stesso – prosegue il direttore dell’Ufficio Cei – non è condivisibile ogni azione che vada contro la vita stessa, anche se liberamente scelta. La vita è un bene ricevuto, che va tutelato e difeso, in ogni sua condizione. Nessuno può essere chiamato a farsi portatore della morte altrui. La coscienza umana ce lo impedisce. La comunità civile, anche attraverso le sue scelte pubbliche, è chiamata ad assicurare le condizioni perché ogni sofferente sia sollevato dal dolore, anche attraverso i percorsi palliativi, e garantire le cure necessarie ai malati che sono al termine della loro vita”.

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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