via penjpegUna visione della vita che si basi sulla sola economia e sulla forza del possedere e del disporre, rende lo spirito incapace di vedere l’altro e scoprire valori gratuiti: la vita, l’amicizia, l’affettività, la bellezza, l’armonia spirituale, la generosità e il sacrificio.
Educarci alla sobrietà è il primo passo per stare dalla parte degli esclusi del mondo e non sottrarre ad altri le risorse fondamentali di vita ed entrare in una logica di attenzione, di cura, di prossimità. È anche il primo passo per liberarci da quella corrosione che ci porta ad una vita falsa, vuota, giocata tutta sulla dimensione dell’avere, a cui ci si affida per perseguire la felicità.
In un contesto come quello attuale dove tutto è mercificato, dove il creato stesso, ridotto a merce, è sottratto alla sua qualità di dono e dove tutto è guidato dai canoni di un consumismo devastante, è determinante liberare la vita dalla mercificazione. Occorre prendere coscienza della necessità di un cammino di esodo dalla cultura consumistica che tutto preforma e cosifica, per uscire dalla atrofia spirituale che il consumismo genera nella nostra vita e dalla schiavitù prodotta sulla vita di tanti uomini e popoli.
Assumere un’etica della frugalità, della sobrietà non è una questione soltanto sociale o economica, è addirittura una questione antropologica ed esistenziale perché è fondamentale oggi per l’umano non soffocare la libertà, soprattutto la libertà interiore davanti alla brama del possedere e del consumare che inquina la vita.
Il consumismo si è trasformato in stile di vita, in avventura frenetica e in sete insaziabile di divorare oggetti, persone, valori, tempo, idee, immagini, relazioni. E sta portando ad uno svuotamento del senso del vivere, ad un addormentamento del dinamismo profondo dello spirito che rende incapaci di scoprire e vivere i grandi valori dell’esistenza (cf. J.A. Merino “Etica della frugalità cammino di liberazione nello spirito di S. Francesco”, in “Il Cantico” 3-4, 2012).
Secondo l’insegnamento del Vangelo la nostra vera ricchezza sarà data dalla scelta di una povertà e di una sobrietà intese non come rinuncia e privazione fini a se stesse, ma come apertura in noi di spazi di libertà in cui Cristo ponga la sua dimora per farci vivere in spirito di gratuità e di restituzione dei doni che il Creatore ci ha elargito.
L’esemplarità di S. Francesco nel farsi povero per farsi fratello sulle orme di Cristo ci è riproposta dalla Chiesa oggi come sapienza di vita per opporsi alla povertà iniqua e trovare così vie di riconciliazione e di pace. A questo ci richiama Papa Benedetto XVI: “L’amore per noi ha spinto Gesù non soltanto a farsi uomo, ma a farsi povero… ‘Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà’ (IICor 8,9). Testimone esemplare di questa povertà scelta per amore è san Francesco d’Assisi… C’è una povertà, un’indigenza, che Dio non vuole e che va “combattuta”; una povertà che impedisce alle persone e alle famiglie di vivere secondo la loro dignità; una povertà che offende la giustizia e l’uguaglianza e che, come tale, minaccia la convivenza pacifica. In questa accezione negativa rientrano anche le forme di povertà non materiale: emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale (cf Messaggio Giornata Mondiale della Pace 2009)… Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo. Occorre allora cercare di stabilire un ‘circolo virtuoso’ tra la povertà ‘da scegliere’ e la povertà ‘da combattere’. Si apre qui una via feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità: per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali” (Benedetto XVI, Solennità di Maria Santissima, 2009).
S. Francesco è colui che ci porta in presenza con la sua vita povera e umile che l’uomo potrà realizzare se stesso non vivendo da padrone della propria vita,bensì vivendo nella prospettiva opposta, in un continuo rimando al Creatore. Lo sforzo costante di Francesco sarà di restituire tutto a Dio, di non trattenere per sé, condividendo con i fratelli.
E proprio in questo “vivere senza nulla di proprio” – non nell’appropriazione, ma nel rendimento di grazie – è la radice di quell’etica della frugalità tanto necessaria oggi per un cammino di liberazione dai modelli consumistici imperanti ed aprirci alla prospettiva del convivere e del condividere.
Il “vivere senza nulla di proprio” dice anche a noi oggi come la vera ricchezza non sta nell’appropriazione, ma nel riconoscere che ogni bene è dono da accogliere con gratitudine e da restituire, mettendolo a frutto con il mio lavoro, con il mio impegno, a favore di ogni uomo che devo rendere nei fatti mio fratello.
Dobbiamo imparare a parametrare la nostra vita non sul metro della società consumistica ma sulla Parola di Dio che ci chiama a sentire il grido degli impoveriti della terra; ci interpella a farci poveri per farci prossimo, per farci fratelli, un farci poveri che riguarda anche la nostra vita laicale.
L’essere amministratori, e non padroni, dei beni ricevuti, siano essi materiali che spirituali, è la modalità della povertà che deve attraversare la nostra vita e divenire linea di condotta sociale.
Come i francescani di un tempo, a partire dalla scelta della povertà per amore, seppero trovare nuovi percorsi di fraternità esaminando i meccanismi della ricchezza, più che mai ora, se vogliamo accettare la sfida della povertà per amore, dobbiamo esaminare il nostro rapporto con i consumi e renderci più avvertiti dei nostri atti quotidiani.
Che valore avrebbe infatti proclamare la fraternità tra tutti gli uomini, se continuassimo ad usare gli stili di vita propri della logica di un mercato onnipotente che mette al di sopra di tutto il profitto, e non l’uomo, e usa e getta uomini e cose, escludendo dalla possibilità di vita e di futuro?
Il vivere non da padroni, ma da amministratori fedeli dei beni ricevuti, diventa fondamentale percorso di giustizia per combattere ogni degradante povertà e risanare la vita.

Argia Passoni