Dalla relazione del Prof. Stefano Zamagni

Nel mese di ottobre “Frate Jacopa” ha promosso due incontri a Bologna in collaborazione con la Parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo nell’ambito della rassegna Segnali di pace 2013 – Tavola provinciale per la pace. Pubblichiamo il primo intervento proposto dal Prof. Stefano Zamagni martedì 1 ottobre 2013 mentre nel prossimo numero pubblicheremo la traccia dell’intervento del Prof. Pierluigi Malavasi (11 ottobre 2013)

SPERANZA DI PACE

zamagnijpegSecondo il pensiero dominante la guerra è uno stato ineliminabile; è sempre esistita e fa parte della natura profonda dell’uomo. Perciò si può solo cercare di limitarne i danni e di aiutare coloro che soffrono per le diverse forme di guerra.
Questa convinzione ha radici antiche, ma ha ricevuto vigore nell’epoca della modernità a cominciare dal filosofo inglese T. Hobbes, autore del “Leviatano”. Egli sostiene che l’uomo è per natura cattivo e, attraverso la violenza, cerca di ottenere ciò che non potrebbe ottenere per via ordinaria. Questa visione, che è stata contestata, è quella che oggi corrisponde alla “realpolitik”. Dobbiamo essere realisti: l’unico modo per proteggersi è usare gli armamenti. “Se vuoi la pace, prepara la guerra”; da qui tutta la politica degli armamenti. Così si pensa di ottenere la pace preparandosi a far fronte ad eventuali attacchi.
Tuttavia, pur ammettendo che la guerra c’è sempre stata, si può affermare che gli episodi di violenza (si pensi a Caino e Abele, a Romolo e Remo…) non rappresentano la parola definitiva sul tema della pace e della guerra.
Negando l’affermazione dei Romani: “Si vis pacem, para bellum”, si può dire: “Si vis pacem, para civitatem”, cioè chi vuole la pace deve preparare la “civitas”, la “civilitas” ossia la civilizzazione. Si tratta di organizzare gli uomini che vivono in società, in modo che la dimensione socioeconomica abbia un rilievo importante. Se vogliamo la pace dobbiamo smettere di fare gli ipocriti, di piangerci addosso. Dobbiamo invece operare di più per creare istituzioni che garantiscano il mantenimento della pace stessa. In altre parole, se vogliamo la pace, dobbiamo creare istituzioni di pace. Non bastano la buona volontà o i buoni sentimenti.
Oggi le istituzioni maggiormente esigite per ottenere la pace sono di natura economica.
Nel passato non si poteva dire la stessa cosa, poiché c’erano altre componenti, ad es. le guerre di religione.

LE DISUGUAGLIANZE SOCIALI
Argomentiamo le ragioni di questa tesi. Come mai dal dopoguerra ad oggi sono cresciuti i focolai di guerra? Dopo la fine della guerra fredda e la caduta dell’impero e del modello sovietico, i focolai di guerra sono aumentati enormemente, fino a contare sessantasei guerre civili.
Queste guerre non sono come quelle del passato quando un Paese chiamava in guerra un altro Paese, ma sono guerre guerreggiate tra gruppi sociali diversi all’interno dello stesso Paese. Si pensi alla Siria, all’Irak, all’Afghanistan, all’Africa…
La guerra civile è sempre la conseguenza della presa d’atto delle disuguaglianze socio-economiche: quando esse superano una certa soglia, coloro che restano indietro diventano preda di qualche manipolatore che fa credere loro che, con l’atto violento della guerra, riusciranno ad impossessarsi dei beni altrui. Chi resta indietro e scopre che non ha la possibilità di raggiungere per via pacifica il miglioramento delle proprie condizioni di vita, si arma e muove guerra all’altro gruppo sociale che in quel momento detiene il potere. La guerra civile è un modo per ottenere con la durezza ciò che non si può ottenere sul piano del diritto.
Ma perché succede tutto ciò?
Nel 1503 Erasmo da Rotterdam pubblicò il libro: “Enchiridion militis christiani”, in cui anticipò la comprensione di questo stato di cose. Egli capì che, se si vuole evitare la guerra, si devono intensificare gli scambi commerciali. Bisogna rafforzare il mercato, perché dove passano le merci non possono transitare gli armamenti. Chi ha bisogno dei servizi di un altro non gli fa la guerra! Lo scambio commerciale è importante perché nessun Paese è autosufficiente, cosicché il mercato può diventare uno strumento per la pace.

IL MERCATO CIVILE
Erasmo aveva percepito quest’idea del mercato dalla grande Scuola Francescana.
L’economia di mercato è stata inventata dai Francescani. Basti pensare alle omelie di S. Bernardino da Siena che erano tutte di carattere economico. Così S. Bernardino da Feltre e tanti altri.
I Monti di Pietà erano tutti francescani. Essi non erano organizzazioni filantropiche, ma vere e proprie banche che facevano pagare gli interessi. E c’è la spiegazione di questo.
I Francescani pensavano che non si debba dare l’elemosina perché questa crea dipendenza. Inoltre chi diventa dipendente prima o poi odierà il suo benefattore perché si sentirà umiliato da lui.ecojpeg
Lo ha sottolineato anche papa Francesco in una sua omelia: non è carità cristiana mettere una moneta nel piatto del povero, ma lo diventa se ci si ferma a dialogare con lui. C’è un modo che offende la dignità dell’altro. Ciò di cui ha bisogno il povero è una vicinanza, una relazione interpersonale. L’economia di mercato è una grande invenzione del pensiero francescano. Essa serve la “civitas”, il bene comune della città, cioè è civile.
S. Francesco aveva la mentalità imprenditoriale; infatti nella Regola raccomanda di creare “opere di bene” (creare i lavori) e non di “fare il bene” con l’elemosina.
Aveva capito che se si vuole la pace bisogna fare opere o istituzioni di pace, affinché a chi è disperato non venga la tentazione di aggredire… Se vuoi la pace, devi creare le premesse della pace.

IL MERCATO CAPITALISTICO
Ma nel ‘500 tutto cambia. Molteplici sono le ragioni che qui non possiamo percorrere. I francescani si dedicano prevalentemente alla preghiera, alla contemplazione, all’assistenza delle mense, fanno i “cercatori”, cioè vanno alla questua..
L’economia di mercato civile diventa economia di mercato capitalistica, che si svilupperà con la rivoluzione industriale.
Nell’Ottocento C. Marx, che non conosce il pensiero francescano, vedendo tutte le rapine e lo sfruttamento perpetrati dal capitale pensa che la colpa sia del mercato. Invece la colpa è del mercato capitalistico!
Il mercato, che agli inizi era fattore di pace, è diventato fattore di guerra!
Bisogna far conoscere la verità! Come diceva Rosmini, la forma più alta di carità è quella intellettuale. Il cristianesimo non è una religione dei sentimenti. “In principio era il Verbo”, perciò la fede cristiana va sempre unita alla ragione, al contrario delle altre religioni (vedi l’enciclica “Fides et Ratio”). Gli scambi commerciali oggi non servono più a garantire la pace, ma servono a rapinare, perché nello scambio i furbi possono rapinare i più ingenui o i meno intelligenti.
Col colonialismo il mercato capitalistico ha cominciato ad arraffare appropriandosi delle risorse. In Africa ha trovato petrolio, minerali, diamanti… A partire dagli anni ’60 del Novecento, dopo il colonialismo lo sfruttamento ha assunto il volto delle istituzioni economiche internazionali. Si pensi al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, alla Banca Centrale Europea, a tutte le regole dello scambio internazionale, fatte a uso e consumo delle potenze occidentali mediante accordi con i capi locali dei paesi del terzo o quarto mondo. Queste regole sono formalmente il frutto di un accordo, ma la realtà è quella che si è manifestata soprattutto in questi ultimi venticinque anni!
Ora la Cina ha comprato un terzo di tutta l’Africa (vedi land grabbing) pagandolo ai capi locali. Vi pianta i prodotti che le servono per aumentare i suoi profitti (ad es. per produrre il bio carburante) aggravando così la situazione dei poveri che vedono ridotta ulteriormente la produzione del grano e del riso. Tutto ciò avviene nel rispetto del mercato capitalistico!

LE REGOLE DEL GIOCO ECONOMICO
Se si vogliono eliminare i focolai di guerra, bisogna riscrivere le regole del gioco economico, cioè le istituzioni economiche. Le regole non sono mai neutrali. O sono il frutto di un accordo di tutti i partecipanti o favoriscono solo alcuni.
Oggi le disuguaglianze non solo sono alte, ma sono in continuo aumento. Sono diventate endemiche: aumentano nel tempo in progressione geometrica e con una rapidità inesistente nei secoli passati. Questa è anche una conseguenza della globalizzazione. Se non si cambiano le istituzioni economiche le disuguaglianze raggiungeranno un punto di rottura e i gruppi sociali si armeranno e provocheranno la guerra.
Bisogna distinguere la povertà assoluta dalle disuguaglianze. I poveri assoluti (hanno potere d’acquisto che non consente di introitare milletrecento calorie al giorno) non fanno paura perché non si reggono in piedi. Sono i diseguali coloro che portano la guerra, poiché non hanno alcuna prospettiva di salire in altro modo la scala sociale. Essi sono anche aiutati da altri che, per esempio, si danno coperture religiose, come il fondamentalismo islamico. Se vogliamo scongiurare la guerra, dobbiamo ridurre le disuguaglianze che, pur non essendo eliminabili totalmente, vanno portate entro confini ragionevoli.
Bisogna cambiare le regole del gioco economico, bisogna cambiare l’assetto, come è ribadito anche nell’ultimo capitolo della “Caritas in Veritate”. Invece chi ha il potere economico-finanziario si dà all’elemosina per avere reputazione agli occhi della gente. I ricchi sono i più grandi filantropi!

LA DEMOCRAZIA
Si può anche notare che nessuna guerra è mai stata combattuta tra democrazie, perciò bisogna incrementare la democrazia. Purtroppo nel mondo la democrazia “vera”, dove c’è libertà di religione, di stampa…, è minoritaria. Al di fuori di essa si fa solo assistenzialismo buonista, poiché chi è assistito è dipendente, non è libero e, coltivando l’odio, prima o poi si ribella. Bisogna estendere la democrazia. Su questo ci deve essere una acculturazione. Occorre che ci chiediamo quali sono i fattori generativi della guerra. Ecco perché, se vogliamo essere seri, dobbiamo ritornare al mercato civile.

IL PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ
Il mercato non va abolito, ma va convertito in mercato civile, cioè a servizio del bene comune e non del bene totale, mentre il mercato capitalistico mira al bene totale. Per fare questo occorre basarsi sul principio di reciprocità che è un dare senza perdere e un prendere senza togliere. Leggendo la preghiera sulle offerte della XX domenica per annum troviamo la migliore definizione della reciprocità. Essa dice: “Accogli i nostri doni, Signore, in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua ricchezza. Noi ti offriamo le cose che Tu ci hai dato e Tu donaci in “cambio” te stesso”. Non si parla di scambio che si ha quando si dà qualcosa per essere pagati, ma di “cambio”! Su questo principio di reciprocità i Francescani nel ‘200 – ‘300 hanno edificato l’economia di mercato civile.

CONCLUDENDO
Noi veniamo da decenni in cui non si fa più cultura. Il primo punto è educare. La dottrina sociale della Chiesa (DSC), che fa parte della teologia morale, non viene più studiata. I teologi insegnano solo la teologia fondamentale. Giovanni Paolo II tentò di rendere obbligatorio nei seminari lo studio della DSC , ma non ci riuscì. Tale situazione è grave perché l’ignoranza può portare a fare il male pensando di fare il bene.
Il secondo punto: rimboccarsi le maniche. Siamo chiamati a passare all’azione. Le comunità cristiane potrebbero incalzare, ad una sola voce, i governanti.
De Gasperi portò avanti, insieme a Schumann e Adenauer (tutti e tre cattolici a cui si è aggiunto Monnet anch’egli cattolico), il progetto europeo che ha portato al periodo più lungo di assenza di guerre mai verificatosi prima. È solo un esempio per dire che la situazione attuale può cambiare. Però bisogna che le comunità cristiane si mobilitino, provocando un moto di convergenza su visioni strategiche capaci di contribuire a promuovere la società civile.
Non si tratta di finanziare beneficenza verso i Paesi poveri, ma di cambiare le regole che, per ora, costituiscono contratti capestro, perché si sa che tali Paesi non possono fare diversamente.
Sembra che papa Francesco voglia stimolare i cristiani ad uscire dalle sacrestie e ad agire nel mondo.
Occorre inoltre accelerare il processo di democratizzazione che porta al rispetto dell’altro e a non usare la forza delle armi o dei soldi per avere la meglio.
Non lasciamo spegnere la candela della speranza! Essa – come ci ricorda la parabola delle quattro candele – può accendere le candele della pace, della fede, della carità.

Prof. Stefano Zamagni
Ordinario di Economia Politica
Università di Bologna (Testo tratto dalla viva voce)