misericordiaSiamo convocati a stare nel mondo con cuore misericordioso. È il mandato fondamentale che l’anno giubilare vuole riportare alla nostra memoria, sentendone più che mai l’urgenza in questo nostro tempo che tende ad emarginare dalla vita la misericordia, a distogliere il cuore umano dalla misericordia, aumentando così l’abisso sociale e il deserto spirituale.
Le opere di misericordia corporali e spirituali, in cui si condensa la saggezza della Chiesa lungo i secoli, non a caso sono particolarmente consegnate alla nostra attenzione perché costituiscono una vera e propria pedagogia di incarnazione, aperta alla possibilità di ogni persona e alle potenzialità di tutta la comunità ecclesiale, per divenire fermento di cura e di servizio alla incommensurabile dignità di ogni uomo nella stessa società civile.
Il Cardinal Walter Kasper (cf La sfida della misericordia, Ed. Qiqajon) prospetta la misericordia come chiave dell’esistenza cristiana nella società, a partire dalle opere di misericordia di cui sottolinea l’attualità: “dare da mangiare e bere ci chiama alla giustizia in un mondo in cui le risorse della vita sono distribuite in modo molto ingiusto; ospitare i forestieri diventa una questione di coscienza di fronte a milioni di rifugiati… visitare i malati e gli anziani diventa sempre più importante in una società in cui conta spesso solo chi è giovane, chi è sano e forte… liberare i prigionieri significa migliorare e umanizzare la loro situazione e impegnarsi per coloro che ingiustamente sono in prigione…
Tutto il realismo cristiano viene alla luce quando ci rivolgiamo alle opere della misericordia spirituale. Infatti, non esiste solo la povertà materiale, ma anche la povertà culturale, quella povertà di coloro che non hanno accesso alla cultura; la povertà relazionale, cioè la povertà di comunicazione di chi è in solitudine; non ultima la povertà spirituale, il vuoto e sempre crescente deserto interiore, la mancanza e lo smarrimento di orientamento nella vita.”
Queste opere – prosegue Kasper – non sostituiscono l’ordine di una società giusta, ma ne costituiscono l’ispirazione, la motivazione profonda, indispensabile per la edificazione di una società più giusta ed umana. Assumere la misericordia come stile di vita diventa così possibilità di feconda rigenerazione personale e sociale, in definitiva di feconda umanizzazione. È il “pellegrinaggio” a cui siamo invitati in una prassi ininterrotta di contemplazione e azione che chiama in causa tutte le facoltà della persona.
In questo cammino, da “figli” e “fratelli”, per fare della misericordia il nostro stile di vita, ci viene incontro l’esemplarità di S. Francesco che ha assunto la misericordia come modalità della sua vita, unendola ad un cammino di conversione sempre rinnovato nell’ardente desiderio di conformarsi a Cristo e di avvicinare gli uomini alle fonti della misericordia.

L’esemplarità di S. Francesco
S. Francesco coglie la misericordia come il grembo materno dove nasce la vita. Come ci svela nel Testamento, l’esperienza della misericordia divina sta all’origine della sua vocazione. In Cristo egli ha innanzitutto la rivelazione dell’amore misericordioso del Padre. Toccato da questo amore trasformante e liberante, egli stesso «usa misericordia». e intende la sua missione in questa ottica di misericordia: profezia per quanti sono ancora prigionieri di se stessi e attendono di essere sorpresi anch’essi dall’annuncio trasformante e liberante dell’amore del Padre (cf S. Bovis, Francesco e la Parola, Ed. Porziuncola, 1999).
La misericordia di Dio che a lui si dona, che gli rivela il mondo rivestito di ineffabile misericordia, apre la sua vita alla dimensione unica del dono. Francesco non può trattenere per sé, deve gridare con le parole econ la vita che «Dio ci salva per sua sola misericordia » (FF 69). E la misericordia, il volgere la faccia a colui che è nella necessità, al “lebbroso”, all’uomo indurito dal peccato, diventa il modo del rapporto con l’altro (cf Lettera a un ministro, FF 234-235), dove al centro è lo sguardo, innanzitutto la percezione dell’altro, il sentire ritrovato di una comune umanità.
L’“usare misericordia” rimanda alla sovrabbondante misericordia del Padre, al suo disegno di amore, di comunione con tutte le creature, e si fa via di evangelizzazione. Tutta la vita di Francesco è così tesa a far riconoscere agli uomini i doni divini e a lodare il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, perché in Dio solo riposa il nostro bene, la nostra autentica possibilità di gioia.
L’incontro col lebbroso rappresenta il punto di svolta: “…il Signore mi condusse tra loro ed usai con essi misericordia” (FF 110). L’incontro avviene per iniziativa di Dio, un’iniziativa accolta, fatta propria. Ne consegue qualcosa di grande perché l’”amaro” si trasforma in “dolcezza” di anima e di corpo.francesco e lebbroso
Cade l’ultima barriera, l’ostacolo che ancora Francesco aveva alla fraternità e al conformarsi a Cristo che ha assunto su di sé fino in fondo la fragilità della carne umana. Il lebbroso rappresenta tutta l’umanità; abbracciando l’ultimo dell’umanità, con l’amore per il corpo piagato di Cristo, Francesco diventa fratello di tutti. Sente la non verità di una vita egoisticamente incentrata su se stesso, una vita escludente, e sente in se la gioia dell’alternativa che il Signore gli dona di assaporare.
Misericordia è infatti accoglienza, accoglienza della fragilità dell’altro e della propria fragilità.
Nell’atto di consegnare la sua eredità ai frati – questo è il suo Testamento – egli rimanda a rimeditare nello Spirito, quale evento paradigmatico dell’inizio della conversione, quell’incontro rivelativo di un modo d’essere. E l’“usare misericordia” si manifesta in un farsi prossimo ai lebbrosi, in uno stare con loro, tra loro, rendendosi a loro familiari e prendendosi cura di loro. È la scuola del privilegiare il punto di vista del povero per poter accogliere ogni aspetto della condizione umana e soccorrerla.
Osare incontrare l’altro, il diverso, come “possibile fratello” diventa modalità di vita. Per S. Francesco in ogni persona c’è sempre la dignità dell’essere “a immagine di Dio”, in ogni persona c’è un possibile discepolo e apostolo: si tratta di aiutarlo a conoscersi per quello che è, un amato da Dio, un cercato da Dio. Esemplare a questo riguardo la pedagogia da lui adottata nei riguardi dei briganti di Monte Casale (cf FF 1646).
Francesco d’Assisi prosegue poi nel suo Testamento “… Di lì stetti un poco e uscii dal mondo” (FF 110): queste parole testimoniano la trasformazione radicale, conseguente all’incontro col lebbroso. Esse indicano la decisione di cambiamento di vita. Francesco intende passare da una vita incentrata sulle proprie forze ad una vita incentrata sulla misericordia ed inizia così il cammino di penitenza.
L’uscita dal mondo che contrassegna la conversione non è dunque una fuga dal mondo per vivere in un’isola dei beati: è l’uscire dalla logica del mondo, la logica della sopraffazione dell’altro, dell’esclusione, dell’indifferenza, la logica dell’appropriazione, dell’autosufficienza e dell’individualismo egocentrico incapace di guardare l’altro.
Questo “uscire dal mondo” riconsegna anche a noi oggi, alla luce dell’esperienza di S. Francesco, questa responsabilità, rispondere al tu di Dio per uno stare nel mondo in modo misericordioso, poiché, in Cristo, Dio ha usato misericordia con noi e vuole renderci collaboratori del suo usare misericordia.

Nel mondo col cuore misericordioso di Cristo
Proclamare e introdurre nella vita il mistero della misericordia di Dio vuole dire dare un’anima al mondo (cf Dives in Misericordia 14). Questo è il servizio amoroso e fedele connaturato al cammino di ritorno al Padre con i fratelli. Ed è di una attualità sconcertante se consideriamo i tratti di questo nostro mondo globale dove siamo sempre più desiderosi di contatti ma sempre più incapaci di specchiarci nell’altro, di sentirci abitati dall’altro e dunque sempre più in agonia di amore e di fraternità.
Questa nostra società proclama come non mai la dignità umana eppure la disattende in modo crescente, dando luogo all’esclusione sistematica di tanta parte dell’umanità dai più elementari diritti umani e corrodendo la stessa socialità, mentre emergono nuove inedite forme di schiavitù, frutto del considerare non solo il creato ma la stessa vita umana disponibile a proprio piacimento, manipolabile e fruibile.
È in gioco dunque il riportare la tenerezza nel mondo, e solo lo specchiarsi in quell’amore fontale può liberare la vita dalla mercificazione in atto e dalla sua alienazione. Solo il balsamo della misericordia può salvare il mondo dal decadimento. È in gioco il fare di tutta l’umanità una società fraterna cooperando per la giustizia e la pace attraverso il lavoro, la preghiera, la vita familiare, con l’offerta della propria sofferenza, in una relazione alle persone e alle cose che sia grazia e partecipazione, e non distruzione, sfruttamento, dominio. È in gioco l’immettere uno stile misericordioso nel tessuto della vita quotidiana, declinandolo nelle varie occupazioni del mondo, in quel rendere onore al piano d’amore del Padre proprio del laico, ordinando le cose temporali secondo Dio.
Siamo ben lontani dal poter pensare in termini intimistici tutto questo percorso: siamo chiamati alla coltivazione della interiorità per poter abbracciare il mondo. Non si tratta di appartarsi dal mondo, si tratta di uscire dall’egocentrismo con i suoi esiti drammatici di violenza e ingiustizia; si tratta di uscire dall’indifferenza complice della cultura dello scarto per assumere la nostra condizione di vita nel mondo, in modo nuovo, nella logica del rendimento di grazie e della restituzione, avendo nel cuore la passione per l’uomo ferito dal peccato e la passione per il volto sfigurato di questa nostra umanità. Siamo collaboratori della infinita misericordia di Dio, proprio interessandoci del mondo, a partire dalla nostra quotidianità affinché sia il mondo dei figli di Dio.
Cristo, assumendo la fragilità della nostra carne umana per farsi nostro fratello, fino a dare la vita perché l’umanità possa riconciliarsi all’immagine del suo Creatore, svela a S. Francesco come il movimento della nostra vita non debba essere nel distacco, ma debba assumere la prospettiva inversa, vale a dire la prospettiva del condividere, dello “stare con”, “stare in mezzo”, “stare a fianco”, accogliendo e valorizzando ogni uomo.
Lungi dal distoglierci dal mondo, il portare con Cristo le sorti del mondo ci chiede di essere “tenda del Signore” in mezzo agli uomini, in ascolto degli impoveriti della terra, pronti all’accoglienza e al soccorso della dignità calpestata di ogni uomo, in una mobilitazione perseverante per la vera pace e il vero bene.
E ci rimanda all’esigenza imprescindibile della costruzione fedele del noi ecclesiale, per alimentare nella custodia fraterna e nella vigilanza evangelica, con la grazia sacramentale, questo essere nel mondo col cuore misericordioso di Cristo.