Dalla prefazione di Simone Morandini a “Gli orti di Predazzo”

ortijpegQuando Lucia Baldo mi ha chiesto di scrivere una breve presentazione del suo racconto “Gli orti di Predazzo”, ho accettato volentieri, in primo luogo per il legame che anch’io mantengo con il paese della Val di Fiemme, da cui è originaria anche la mia famiglia. Fin da piccolo vi ho trascorso ogni anno periodi di vacanza – più o meno lunghi a seconda dell’età e delle fasi della vita – ed anch’io ricordo luoghi e volti di persone che mi consentono di apprezzare davvero la narrazione e lo sfondo che essa evoca. Anch’io conosco bene la bellezza e la ricchezza degli orti predazzani, che del racconto costituiscono quasi i protagonisti.
In questo senso, è importante che il lettore prenda sul serio il titolo, ad evitare l’impressione che si tratti semplicemente di una storia minimalista, che indulge a raccontare piccole storie di piccole persone (se mai vi sia qualche persona cui si possa applicare quest’aggettivo). Al centro sta davvero l’orto, come luogo d’incontro davvero significativo per una comunità, come “centro di vita forse ancor più della piazza centrale del paese, perché là dove si coltiva la vita, nelle sue varie forme, si propaga la vita” – per riprendere le parole stesse dell’autrice. Non a caso ella si sofferma con attenzione curiosa sulla varietà delle coltivazioni in esso presenti, così come sulle relazioni che attorno ad esso si intessono. Ci narra dell’orto come spazio di educazione al contatto con la vita, come luogo di saperi antichi, in cui i bambini vengono confrontati con la realtà di un mondo che suscita stupore e sorpresa. Un luogo che ha il suo linguaggio, che occorre sapere intendere ed interpretare: la “foresta” (forestiera) Desirée e la sua altrettanto “foresta” amica – pur con tutta la loro frequentazione del mondo e della cultura – non si mostrano all’altezza e ne restano sconcertate. Un luogo segnato da gesti di affetto e gratuità (la “vecia” Maria che cura l’orto di chi non può farlo), come anche da piccoli scontri. Uno spazio di quotidianità intensamente vissuta, nel quale solo talvolta irrompe il dramma di una grande storia, lasciandovi tracce che possono talora essere anche mortali.
Certo, ciò che narra il racconto è in parte la memoria di un tempo che sta sparendo, di un tessuto di valori e di relazioni che non sempre riesce a mantenere tanta intensità. È la memoria di un modo di esistere profondamente legato al mondo della natura, ai suoi tempi ed alle stagioni, di fronte ai quali chi ne partecipa avverte come un senso di sacralità. È il ricordo di un sapere della terra mosso da un gusto per l’essenzialità, che sa che persino quelle che diciamo “erbacce” hanno un loro ruolo nel ciclo ecosistemico e nella propagazione della vita.
Un sapere che meriterebbe migliore attenzione anche da parte di chi disegna scenari futuri per la nostra economia e la nostra forma sociale. Quella che ci viene narrata, infatti, è una forma di vita profondamente umana, nella quale il sentimento di appartenenza alla terra e la condivisione dei suoi ritmi conferiscono anche alle parole che ne narrano un gusto prezioso, pregnante, efficace. In questo senso è bello trovare nel racconto anche realtà delle quali il lettore troverà numerose tracce che restano ben vive nel presente di Predazzo (come di tanti altri luoghi), a partire dal corpo volontario dei Vigili del Fuoco, espressione di una volontà solidale di autodifesa di una comunità, ma anche nelle istituzioni locali per la gestione dei beni comuni (la Magnifica Comunità ed il Feudo). Sono realtà che sostengono e danno forma – certo con modalità sempre diverse e necessariamente mutevoli – ad una vita di persone che ancora si sanno profondamente legate alla terra e che ben comprendono che solo in un’azione solidale, radicata in un tessuto relazionale, possono mantenersi. Una realtà che resta anche oggi ritmata dal suono della campana, quotidiano memoriale del legame profondo che tale forma di vita intrattiene con la fede nel Creatore, a sostenere i legami tra le persone e con il creato, anche nei tempi più difficili.
Ma una presentazione non può che accennare alla ricchezza di un reale che solo il racconto può davvero trasmettere, che solo il lettore può cogliere in tutta la sua fascinazione. A lui (o lei), dunque, di addentrarsi in questa storia di vite per scoprirne la bellezza e gli intrecci delle tante storie che vi si narrano.

Simone Morandini
Docente di Teologia della Creazione
(Facoltà Teologica del Triveneto) e di Teologia Ecumenica
(Istituto di Studi Ecumenici “S. Bernardino” Venezia)