Il passaggio pasquale
Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica “Gaudete et Exultate” chiama i cristiani alla santità affinché, nell’unione con Cristo, vivano una vita felice allontanandosi dal malumore e dalla tristezza. Il santo è capace di vivere con la gioia nel cuore, perché realizza se stesso attraverso il progetto di vita unico e irripetibile che Dio ha voluto per lui da tutta l’eternità (cfr. GE 13).
Al di fuori di questo cammino di santità non regna la vera gioia, bensì l’insoddisfazione di chi, credendo di bastare a se stesso, diventa incapace di riconoscere i doni di Dio, poiché “quando il cuore si sente ricco, è talmente soddisfatto di se stesso che non ha spazio per la Parola di Dio… Per questo Gesù chiama beati i poveri in spirito, che hanno il cuore povero, in cui può entrare il Signore con la sua costante novità” (GE 68).
Il papa ci invita a guardare in faccia la verità di noi stessi e recuperare uno spazio personale, a volte doloroso ma sempre fecondo, in cui intavolare un dialogo sincero con Dio (cfr. GE 29).
Tutta la nostra vita è fatta di passaggi, di porte che si chiudono e porte che si aprono. Nel dialogo con Dio non si percorre questo cammino da soli, ma ci si lascia condurre vivendo con Lui questi passaggi che, grazie a Lui, diventano pasquali. Si aprono giorni nuovi che solo il Signore può offrire e che sono un anticipo del regno di Dio. Si aprono orizzonti segnati da novità prima inimmaginabili.
“La Parola ha in sé la forza per trasformare la vita” (GE 156), ma può trovare spazio solo in un cuore povero e umile che ripone la propria fiducia in Dio, crede nella sua Parola fondando su di essa le sue scelte. Perciò, come suggerisce il papa, “torniamo ad ascoltare Gesù, con tutto l’amore e il rispetto che merita il Maestro. Permettiamogli di colpirci con le sue parole, di provocarci, di richiamarci a un reale cambiamento di vita” (GE 66)!
Lasciamoci trasformare dalla “bellezza della sua Parola” (GE 122) anche in mezzo alle tribolazioni! Egli ci può trasformare purché viviamo il nostro tempo in unione con Lui, cioè rinunciando agli idoli che non lasciano spazi in cui possa risuonare la voce di Dio e perciò danno un senso di insoddisfazione.
Per uscire da questa prigione non possiamo fare altro che sanare il nostro cuore nel passaggio pasquale ad una nuova disposizione di spirito verso la realtà, sconfiggendo l’ambizione di dominarla col pensiero umano e vedendola con gli occhi di Cristo.
Ci sono momenti nella vita in cui si sente più forte il desiderio di reimpostarne la rotta e ci si pongono domande da cui prima si era stati anestetizzati a causa di una certa superficialità.
I santi possono aiutarci con la loro testimonianza, non perché cerchiamo di copiarla, in quanto Dio ha un progetto unico e irripetibile per ciascuno, ma perché essa ci può stimolare nel cambiamento. “Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme di testimonianza” (GE 11).

La testimonianza di S. Francesco
Il giovane Francesco perseguiva sogni di gloria mondana, voleva diventare un “grande principe” (FF 1399). Ma un giorno, mentre si accingeva ad andare a combattere per poterli realizzare, Dio intervenne nella sua vita interpellandolo con una domanda: “Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” (FF 1401).
Il giovane Francesco si sentì messo in discussione ed ebbe modo di riflettere approfonditamente sui progetti che aveva fatto per la sua vita, finché diede ad essa una svolta fondamentale, annunziando ai suoi amici di voler sposare la ragazza più nobile e ricca e bella: la povertà.
Tale scelta significava che egli voleva spogliarsi del suo ambizioso progetto di partire per la guerra e di conquistare il titolo di cavaliere, ubbidendo ai propri idoli: l’affermazione di sé, il dominio, la gloria mondana…
Prese consapevolezza di avere escluso Cristo dalla sua progettazione giovanile e, così facendo, di avere servito il servo, cioè se stesso, e non il padrone, cioè Dio.
La Leggenda dei Tre Compagni, che è un trattato spirituale sotto forma di biografia, dà alla scelta della povertà una posizione assolutamente centrale nella spiritualità di S. Francesco, fondata sull’esperienza della Parola di Dio, in un itinerario che cambia il cuore e la visione della vita.
Un cuore povero rinnega se stesso cercando in Dio il suo senso, mentre un cuore ricco si fa dio di se stesso, cioè ubbidisce ai propri idoli.
Scegliendo la povertà il giovane Francesco “smise di adorare se stesso e persero via via di fascino le cose che prima amava. Il mutamento però non era totale perché il suo cuore restava ancora attaccato alle suggestioni mondane. Ma svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo nell’intimo del suo cuore” (FF 1403).
Un cuore povero vuole fare la volontà di Dio e perciò accetta che Dio, il “grande Elemosiniere” (FF 665.1130.1143), gli offra i suoi doni e gli corrisponde con fiducia, ovvero con fede. Si nutre della misericordia e della sapienza di Dio, e perciò agisce compiendo gesti di vera fraternità.
Le biografie raccontano tanti atti vissuti da S. Francesco in comunione con Cristo. Essi sono l’opera di Dio poiché sono compiuti nella corrispondenza ai doni ricevuti.
L’episodio più noto è l’incontro con i lebbrosi, che lo stesso S. Francesco descrive nel suo Testamento in cui riconosce che l’iniziativa è stata di Dio: “… e il Signore stesso mi condusse tra loro, e usai con essi misericordia” (FF 110). S. Francesco si sente peccatore, ma se ne rende conto solo quando Dio prende l’iniziativa e si incammina sulla sua strada concedendogli di fare penitenza per uscire da sé, dai propri progetti mondani e salvarsi. Per corrispondere alla misericordia ricevuta da Dio, e non per obbedire al dovere per il dovere, il Poverello va incontro ai lebbrosi. Ed ecco che il suo cuore cambia nel compimento di questo atto di fede che trasforma anche la sensibilità del suo corpo: “… ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo” (FF 110). È il segno che la conformità del Poverello a Cristo lo trasfigurò, lo portò a condividere la sua Pasqua.

Le sue parole
Lungo un cammino spirituale compiuto attraverso altri atti di fede in risposta all’offerta dei doni di Dio, il “cavaliere di Cristo” cominciò a predicare il regno di Dio e la penitenza. Le sue parole semplici e penetranti esprimevano la “magnificenza del suo cuore” (FF 358) riempiendo di ammirazione e di fervore chi lo sentiva predicare e lo vedeva “totalmente diverso da come era prima” (FF 358). “Appariva a tutti come un uomo di un altro mondo” (FF 383).
Nelle sue parole di amore verso i nemici (FF 158), di perdono (FF 235), di ricerca della gloria nella croce (FF 154)… vediamo i segni della presenza in lui dello spirito del Risorto.
Un segno fisico dell’aver raggiunto la conformità a Cristo, è dato dalle stimmate. Ai frati del suo tempo fu concesso il privilegio di verificarne l’esistenza, come poté fare Tommaso quando mise il dito nelle piaghe di Cristo.
A noi tutti è concessa la possibilità di fare una vitale esperienza spirituale per assaporare e seguire le parole edificanti e ispirate che il Santo di Assisi ci ha lasciato in eredità nei suoi Scritti, quale segno della presenza del Risorto in lui. “Il fuoco bruciante” (FF 358) della sua parola continua ancor oggi a farci percepire la sua partecipazione alla vita divina, che ha trasfigurato la sua umanità a immagine dell’umanità del Figlio.

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata