I Vescovi invitano a nuovi stili di vita in relazione oggi con la crisi sanitaria,economica e sociale causata da Covid-19

Bruno Bignami

Propongo un esercizio di immaginazione. Chiudi gli occhi. Pensa allo stile di vita di un uomo primitivo, con pochi ed essenziali oggetti a sua disposizione. Immagina una famiglia nell’antico Egitto o nella Roma imperiale. Oppure concentra l’attenzione sui beni materiali di un uomo del Medioevo. O focalizza la ricerca su quali sprechi poteva permettersi una persona durante la Grande Guerra… Ora riapri gli occhi.
Guardati intorno e conta la montagna di cose che ti appartengono. Molte sono utili e preziose, altre in un cassetto chissà da quanto tempo! I beni sono il prolungamento della nostra vita e dicono molto di noi. Il numero spropositato di oggetti che entrano nelle nostre case rivela la nostra epoca come il regno de gadget, soprammobili, ricordi, regalini, elettrodomestici, strumenti digitali… L’«usa e getta» domina sul «ripara e riutilizza».
Che valore può avere la sobrietà in un mondo così? È valore d’altri tempi o si può proporre anche oggi?
Nella Bibbia san Paolo la consiglia alle comunità cristiane e ai destinatari delle sue lettere. Invita, per esempio, Tito a disporsi a «vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt2,12). La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro ha scelto questa frase per aiutare i credenti a celebrare la Giornata del Creato 2020. Da anni si parla di “nuovi stili di vita” come distintivo di un cristianesimo attento alla cura per l’ambiente, che è dono ricevuto dal Creatore. L’espressione è meravigliosa, ma come tutte le cose belle rischia di essere svuotata dal di dentro se non corrisponde a un’esigenza condivisa e concretamente attuata.
Il Messaggio dei vescovi mette in relazione la sobrietà con la crisi sanitaria, economica e sociale causata dalla pandemia: non sembra un azzardo proporre uno stile di vita sobrio a chi non arriva alla fine del mese?
Come può una persona rimasta al palo, senza lavoro o con la serranda del negozio chiusa, un povero o un disoccupato sentirsi interpellato dalla sobrietà? Perché proporre rinunce a chi vive di stenti? Ecco il problema. Abbiamo fatto coincidere sobrietà e rinuncia, stile di vita e austerità, allineandoci con la tradizione filosofica stoica, mentre ci siamo dimenticati che il cristianesimo è incarnazione. La sobrietà in stile cristiano è la scelta di stare dentro la storia.
Il coronavirus ci ha resi più fragili? Capiamo la novità di uno stile di vita sobrio perché nessuno si salva da solo! La crisi ha messo in ginocchio il lavoro e le aziende? La sobrietà è giustizia sociale nella distribuzione delle risorse. Il Covid-19 rivela l’insostenibilità ecologica odierna? Lo stile di vita adatto è fare della sostenibilità il criterio d’azione in campo economico, familiare e sociale. L’epidemia ha costretto a frenare le nostre corse frenetiche? La sobrietà invita a tessere l’elogio della lentezza, a poter lavorare da casa e a non rincorrere l’ultimo messaggio pubblicitario segnalato da Internet. La pandemia ha messo in discussione il nostro pensarci padroni del pianeta? Uno stile di vita sobrio educa alla contemplazione e alla cura!
Il Messaggio dei vescovi ricorda che «gli stili di vita ci portano a riflettere sulle nostre relazioni, consapevoli che la famiglia umana si costruisce nella diversità delle differenze». Il punto centrale è proprio la relazione. Stili di vita consumistici, inquinanti e violentisono un problema relazionale sia con i fratelli sia con il creato. La stessa Laudato si’ rappresenta un caloroso invito a farci carico delle relazioni che ci rendono più umani: «Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali » (LS 219).
In fondo, i cambiamenti climatici, il pianeta e la vita stessa si fanno beffa di posti di blocco, dogane e filo spinato. La pandemia non ha guardato in faccia ai nostri passaporti. Ecco perché conta lo stile di vita. Possiamo fare le scelte che custodiscono relazioni di giustizia, a partire da ciò che mettiamo nel nostro carrello della spesa. Possiamo acquistare beni “insanguinati”, prodotti in modo ingiusto attraverso lo sfruttamento del lavoro, l’evasione fiscale, la frode, le mafie, il caporalato, il lavoro nero, gli appalti truccati… oppure beni “giusti”, frutto di un’attività onesta, di agricoltura biologica, di finanza etica, di riconoscimento della dignità dei lavoratori. Un mondo diverso lo si costruisce attraverso gesti semplici e ordinari. Essi rafforzano un sistema iniquo o lo contestano. Portano respiro, benefici e liquidità economica a chi investe con giustizia o lo mandano gambe all’aria. Dovrebbe essere chiaro che non tutto è uguale. Essere giusti non equivale a essere sfruttatori. Dobbiamo imparare a chiederci: quanta disuguaglianza promuoviamo attraverso i nostri stili di vita? Quanta ingiustizia dipende dalle nostre scelte quotidiane? La nostra distanza dalla sobrietà corrisponde a un pezzo di fraternità negata!
I vescovi chiedono che «prevalga il senso sul vuoto, l’unità sulla divisione, il noi sull’io, l’inclusione sull’esclusione ». Non è poco, se pensiamo ai lavaggi del cervello che ci hanno abituati a guardare ciò che accade nel mondo con senso di impotenza. Certo, il sogno di uno solo è poca cosa. La scelta di molti, però, ribalta le prospettive. Che sia la volta buona?

Bruno Bignami
Direttore dell’Ufficio nazionale Cei
per i problemi sociali e il lavoro

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata