Assisi, 11-13 novembre 2016

Riflessione di Sr. Lorella Mattioli

L’ABITARE
img105Che cosa significa abitare un luogo, una casa? Abitare deriva da “habitus” (=abitudine, virtù). Ha a che fare con una forza, con una capacità di imprimere qualcosa nella realtà.
Noi non abitiamo un luogo come fanno gli animali, ma creiamo intorno a noi un’energia che impregna anche i muri. L’umano trasforma un luogo anonimo in un luogo che ha un’espressione. Per esempio le nostre case nel nostro modo di sistemare gli oggetti parlano di noi, poiché diamo agli oggetti qualcosa di noi.
La casa esprime lo stile, la vita di chi vi abita. Se un luogo è vissuto da persone cattive diventa un luogo invivibile. Se invece entriamo in luoghi abitati da persone sante, sentiamo che essi emanano qualcosa della santità di quelle persone.
Percepiamo un’armonia che ci fa entrare in sintonia con loro. Così accade che questo luogo di S. Damiano esprima l’umano.
In particolare sono le relazioni che rendono un luogo come una casa. Quanti di noi amano tornare nella casa in cui sono vissuti con i genitori, con i nonni…!
Oggi è da ricostruire la casa comune, poiché l’abitare è diventato problematico. Quasi tutti vorrebbero una casa per conto proprio, poiché vivono male insieme agli altri. È diffusa una mentalità individualistica, un’esaltazione del singolo, che rende difficoltoso costruire insieme. Il nostro abitare è diventato un abitare privato e non più pubblico o civile. Abbiamo una grande difficoltà alla socializzazione.
Nelle città di una volta erano importanti le piazze, i luoghi comuni… Oggi le piazze non servono più per incontrarsi, anzi i luoghi ampi ci fanno quasi paura. Non vogliamo più incontrare nessuno, non sappiamo più abitare la città. Siamo abituati ad abitare il nostro piccolo appartamento. Non sappiamo più stare con gli altri, anche a livello di Chiesa.

DALL’IO A DIO
Qui in S. Damiamo percepiamo quello che S. Francesco ha vissuto, ci immergiamo nella sua esperienza che continua, immettendoci in quella scia. Chiediamoci innanzitutto come S. Francesco sia arrivato qui e come quest’esperienza abbia segnato la sua vita. È un’esperienza che il Celano copre di silenzio, tuttavia possiamo percepirla, gustarla.
Il giovane Francesco è pieno di desideri che lo portano a partire per la Puglia allo scopo di combattere e divenire un grande cavaliere. Ma poco dopo essere partito sente una voce che gli chiede se è più utile servire il servo o il padrone. “«Il padrone» risponde Francesco. «E allora – riprende la voce – perché cerchi il servo in luogo del padrone?» E Francesco: «Cosa vuoi che io faccia, o Signore?»” (FF 587).
Questa è una frase con la quale dovremmo evangelizzarci tutto il giorno. È la prima conversione: dall’io a Dio. Non quello che io voglio fare!
Noi di solito siamo delusi, tristi, angosciati perché si rompono i nostri progetti. Invece questa delusione può essere una grazia, un momento in cui comprendiamoil progetto di Dio su di noi, purché non soffochiamo la voce dello Spirito Santo che ci è stato donato nel Battesimo.
Ricordiamo che lo Spirito ha condotto Gesù nel deserto, luogo di lotta!
La nostra vita o è condotta da noi o è condotta dallo Spirito. La nostra vita non è banale.
Alla domanda di Francesco il Signore risponde inizialmente allontanandolo dall’impresa militare, poiché il giovane Francesco dovrà scoprire il progetto di Dio piano piano.
Questo vale anche per noi. Dio è dentro di noi, vuole collaborare con noi senza toglierci la libertà! A Francesco dice solo: “… ritorna alla tua terra natale”. A casa sua, nel suo ambiente il Signore lo aspetta.
Il ritorno sui propri passi è l’inizio della conversione! Qualcosa inizia già a cambiare, perché egli ha scelto di non porre più se stesso al centro della sua vita, ma il Signore.

IL CROCIFISSO LO ATTIRA A SÉ
Tornando a casa trova gli amici che lo fanno re delle feste. Lui accetta questo ruolo, ma interiormente è cambiato anche se apparentemente non sembra.
Inizia a mangiare con i poveri. Vince la paura che per lui ha un nome: lebbroso. Incontrandolo vince la paura. Poi va a vivere con i lebbrosi. Diventa un uomo libero! Non ama più il frastuono, le feste, ma il silenzio, il ritiro, la solitudine. Cerca Dio perché Dio lo sta cercando. Potremmo dire che non gli capita di arrivare a S. Damiano per caso. È Dio che lo attira. Questa attrazione è la prima cosa che il Crocifisso fa. Dopo gli parlerà.img112
Quella prima scelta che fa nel ritornare ad Assisi lo rende “del tutto mutato nel cuore e prossimo a divenirlo anche nel corpo” (FF 593).
Ci sono scelte nella vita che sono una svolta di non ritorno.
Il Signore lo attira a S. Damiano per rispondere a quella domanda che lo Spirito Santo aveva suggerito a S. Francesco.
“Passò accanto alla chiesa di S. Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti”. Non per curiosità, ma “condotto dallo Spirito entra a pregare”, cioè a incontrare Qualcuno che lo cerca da sempre; “si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato”. È la grazia divina che lo converte. È la forte esperienza della grazia divina a toccarlo. Grazie ad essa egli può ascoltare il Crocifisso che gli parla da sempre. È la grazia divina che permette di avere orecchie nuove e occhi nuovi.
Potremmo dire che il Crocifisso parla sempre a tutti, ma, poiché lo si abbandona, non lo si può ascoltare. Forse anche Francesco era già passato in quel luogo, ma non lo aveva ascoltato.

IL CROCIFISSO GLI DÀ UN MANDATO
“Mentre egli era così profondamente commosso, all’improvviso – cosa da sempre inaudita! – l’immagine di Cristo crocifisso, dal dipinto gli parla, movendo le labbra. «Francesco – gli dice chiamandolo per nome – va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina»”.
Francesco è chiamato per nome, cioè riceve la chiamata ad un mandato particolare.
Fa anche un’altra esperienza più interiore, che capirà più tardi, ma che è iniziata qui: riceve le stimmate interiori (alla Verna si manifesteranno anche esteriormente) che lo fanno diventare tutt’uno col Crocifisso. Sperimenta Cristo che vive in lui. Gli fa spazio e diventa la casa di Dio.
“Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore” (FF 594).
In ogni incontro che facciamo con Cristo riceviamo le sue stimmate nell’avere gli stessi sentimenti, lo stesso amore per l’umanità.
È questo il fuoco che permetterà a Francesco di avere lo stesso amore di Cristo per la sua Chiesa. È il cuore stimmatizzato che gli consentirà di ricostruirla, di ripararla. “Ma, a dir vero, poiché neppure lui riuscì mai ad esprimere la ineffabile trasformazione che percepì in se stesso, conviene anche a noi coprirla con un velo di silenzio” (FF 593).
C’è poi un altro episodio fondamentale: alla Porziuncola legge il Vangelo e capisce che cosa deve fare per riparare la casa: portare l’annuncio del Vangelo vivendolo. In tal modo egli diventa una Parola vivente.