L’Avvento, tempo che stiamo vivendo, ci ricorda che viene qualcuno importante, qualcuno che ci interessa, perché viene per noi, per aprirci una strada alla nostra felicità. E noi siamo sollecitati ad attendere, a non farci prendere dal sonno o dalla indifferenza. La liturgia in questo tempo ci ripete: Vegliate, attendete! Colui che viene è il Figlio di Dio, è Dio!
A Natale anche quest’anno celebreremo la sua venuta, un avvenimento incredibile, mai accaduto prima e che mai si ripeterà nell’arco di tutta la storia umana: non siamo noi a cercare Dio, ad innalzarci a Lui, ma è Dio stesso che scende a noi, per una liberissima sua decisione, che noi neppure potevamo immaginare. Dio viene assumendo tutta l’umanità, ecclissando la sua divinità, divenendo del tutto uno di noi. Si affianca a noi, pone la sua tenda fra di noi per aprire i nostri occhi, la nostra mente e il nostro cuore su chi è Dio, e su chi siamo noi; Dio è il nostro Padre e noi sue creature fragili ma figli suoi.
Oltre che attendere, vegliare ed aprire tutta la nostra vita per accogliere Colui che viene, noi siamo sollecitati a metterci in movimento a nostra volta verso Gesù Cristo dal momento che Lui viene a noi. E qui troviamo un maestro eccezionale che è il padre S. Francesco: lui animato da un amore di ritorno verso Colui lo ha amato per primo e lo ha chiamato per nome a S. Damiano, ci insegna come camminare e come aprire la nostra vita per accoglierlo.
In questo prossimo Natale avremo la gioia di ricordare la originale memoria che di questa venuta fece S. Francesco precisamente 800 anni fa a Greccio. Accadde così. S. Francesco si trovava nelle vicinanze di Rieti dove i suoi amici tentavano di far curare i suoi occhi gravemente malati. Era prossima la Festa di Natale 1223. Il Santo confidò a Giovanni Velita, un suo amico di Greccio, questo suo grande desiderio: “Vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme e in qualche modo intravvedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello” (FF 468).
Giovanni, con l’aiuto della gente di Greccio si diedero subito da fare e diedero così inizio alla felice abitudine di costruire il presepio che per tanti bambini, ma anche per adulti, rappresenta la nascita o la ripresa di una fede spesso sbiadita.
Per tutti noi questo avvenimento rappresenta qualcosa di molto importante: in esso possiamo vedere come S. Francesco si avvicinava alla Parola di Dio e come tramite essa incontrava Gesù Cristo. Greccio ci fa intravvedere una via che il Santo percorreva, ci mostra come il Santo pregava. Non immergeva la mente in verità profonde, in qualche definizione o in un dogma, ma cercava una riproduzione dell’ambiente dove la Parola era nata e dove potersi inserire anche lui a fianco alle persone semplici e con loro voleva toccare la presenza di Dio.
Di Gesù voleva conoscere tutto, voleva conoscere i disagi, voleva sapere come si era trovato sulla paglia e sul fieno, dentro una mangiatoia, riscaldato dal fiato di un bue e di un asino. S. Francesco vive un modo nuovo di incontrare Gesù Cristo: si pone anche lui nell’avenimento evangelico, mettendosi nei panni di Maria o di Giuseppe o di qualche pastore. Vuole prendere in braccio il Bambino e abbracciare l’umanità di Gesù. Vuole andare fisicamente verso il Natale: andare dove sta Gesù, mettersi a fianco a Lui, per far suo il cuore di Gesù, il suo modo di sentire, di amare, di agire. S. Francesco è un innamorato e solo in questo orizzonte può essere compreso. Così lo presenta Tommaso Da Celano: “Il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante pieno di devota compunzione e pervaso di gaudio ineffabile” (FF 469).
Anche la sua bocca lasciava trasparire la tenerezza del suo rapporto con Cristo:
“Quando voleva pronunciare il nome di Gesù, infervorato diimmenso amore, lo chiamava “il Bambino di Betlemme” e quel nome “Betlemme” lo pronunciava come il belato di una pecora, riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto” (FF 470).
E qui tocchiamo forse il segreto della vita di S. Francesco: immedesimarsi in Gesù, assumere tutto di Lui, aprirsi perché solo Lui apparisse nella sua vita e tramite la sua vita si rendesse presente per portare Salvezza alle persone che incontrava.

P. Lorenzo Di Giuseppe

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata