Nel Dizionario della Dottrina sociale della Chiesa, Rosangela Lodigiani si sofferma sulla misura del Reddito di Cittadinanza, al centro del dibattito politico in Italia. Una misura che fa riflettere sul senso del welfare e sul lavoro come multiforme ambito di sviluppo per l’uomo.

Mentre i contraccolpi della crisi pandemica e ormai anche della guerra alle porte d’Europa si riversano sull’occupazione e l’impoverimento della popolazione (sono circa 5,6 milioni gli individui in povertà assoluta, secondo l’Istat), il dibattito politico si è acceso su i pro e i contro di una misura di inclusione lavorativa e sociale come il Reddito di Cittadinanza (RdC), discutendone la capacità di attivare le persone nel mercato del lavoro – obiettivo prioritario della misura secondo i dettami del paradigma europeo del welfare attivo.
Per i detrattori, il RdC produce dipendenza dal welfare piuttosto che scongiurarla, non essendo sufficientemente sviluppate né le politiche di attivazione né i vincoli di condizionalità introdotti per assicurare che i beneficiari non restino passivi percettori del sostegno economico. Ma mentre si alimentano lo stereotipo del “divanista” e l’idea che la povertà sia una colpa, poco si vigila sull’adeguatezza delle opportunità offerte, né si considerano le implicazioni che comporta il “legare” il welfare al lavoro.
Al riguardo la Dottrina sociale della Chiesa offre riferimenti chiari. Il rifiuto dell’assistenzialismo si accompagna al duplice riconoscimento: del ruolo dello Stato e della società tutta nel contrasto alle disuguaglianze; della responsabilità della persona, secondo la propria vocazione, le capacità e possibilità alla contribuzione per il bene comune. Il lavoro è al cuore di questa contribuzione quale dimensione costitutiva della condizione umana, come insiste Papa Francesco nel solco aperto dalla Laborem Exercens. Operare affinché sia riconosciuto e tutelato come diritto per ogni uomo e ogni donna non basta.
Occorre anche assicurare che risponda ai criteri con forza indicati dal magistero, quelli del «lavoro decente e dignitoso» (CIV 63), che preservano il lavoro dal divenire esso stesso fattore di ingiustizia e consentono di riconoscerne il valore anche al di fuori del mercato. Principio guida è «la sussidiarietà [che] rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista» (CIV 57). Rincalza Francesco nella Laudato si’ (127): l’essere umano non è solo l’autore, ma deve essere il centro e il fine di tutta la vita economicosociale; è nello stesso tempo capace di divenire responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale. E «il lavoro dovrebbe essere l’ambito di questo multiforme sviluppo personale ».

Rosangela Lodigiani
 Docente di Sociologia economica e del lavoro