Un commento alla “Esortazione ai fratelli e sorelle della penitenza” (FF 178), prima redazione della “Lettera ai fedeli” di S. Francesco D’Assisi ci accompagnerà dalle pagine del Cantico a coglierne i tratti fondamentali per porci in una prospettiva di profonda conversione in questo Anno della Fede.

La Lettera a tutti i Fedeli (1ª redazione) è una traccia che ha orientato la riflessione e l’operare lungo secoli di storia. Ed oggi, in un tempo in cui la mentalità comune è contro qualunque regola in nome della libera scelta, si impone più che mai la domanda: qual è il suo senso? La mentalità corrente valorizza l’effimero: il tempo passa senza lasciare tracce nella vita, non ha valore. L’oggi è considerato più progredito di ieri perché viene dopo. Secondo il linguaggio sartriano il “baro”, che si pone sempre al di fuori delle regole, rappresenta l’esistente libero ed autonomo nell’ errare e sbandare da un’esperienza all’altra. A chi è insoddisfatto di questo modo di vivere che approda al nichilismo che non cerca nessun senso o valore, la Lettera propone una traccia per uscire dall’effimero riscoprendo la preziosità del tempo per tracciare un progetto di vita nella conquista e nella ricerca dei valori tra i quali il primato spetta all’amore.

lettera-ai-fedeli1. “TUTTI COLORO CHE AMANO…” Francesco, mentre vagava smarrito per le strade di Assisi e piangeva perché l’amore non era amato, esprimeva e preannunciava il desiderio ed il programma di riaccendere nel cuore degli uomini l’amore. Ecco perché la Lettera ai Fedeli designa i destinatari col nome dell’amore. Sono “tutti coloro che amano con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la loro forza”. Ad essi S. Francesco dà un programma di vita che trasforma l’esistenza dandole la capacità di esprimere un amore senza misura, totale. È un programma di penitenza intesa nel suo profondo significato evangelico che consente la realizzazione in noi dell’essere immagine e similitudine di Cristo. È un itinerario di crescita dell’umano nell’uomo. È una ricerca dei valori. La Lettera dà il primato all’amore, non è una precettistica. Guai se fosse intesa come un complesso privilegiato di pratiche speciali che darebbero origine a ghetti di sterile conformismo farisaico! L’Amore di Dio domanda incessantemente una risposta d’amore.

Ma “Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «prima» di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi… Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai «concluso» e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle – volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso.

Allora cresce l’abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia (cfr Sal 73,23- 28)”(Deus Caritas Est, n.17). Le pratiche richieste dalla Lettera non sono che espressione di amore. La penitenza per S. Francesco è finalizzata all’assunzione in noi dell’Amore, non è subita masochisticamente come una punizione del corpo o come disprezzo della soggettività. Essa viene finalizzata alla conversione del nostro spirito all’ordo amoris espresso da Cristo nella sua vita. La conversione non è un episodio che si realizza una volta nella vita, ma è uno sforzo, una lotta, un rinnovamento continuo, una grazia come ci ricorda S. Francesco nel suo Testamento: “il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a fare penitenza” (FF 110). “Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne” (FF 199). Infatti, come dice S. Paolo, abbiamo bisogno di una trasformazione spirituale poiché lo spirito della carne, che abita in noi, ci dà solo il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo (cfr. Rm 7,14-ss). Ma dobbiamo avere la sapienza dello Spirito che invece “vuole che la carne sia mortificata e disprezzata, vile, abbietta, e ricerca l’umiltà e la pazienza, la pura e semplice e vera pace dello spirito; e sempre e soprattutto desidera il timore divino e la divina sapienza e il divino amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (FF 48).

2. “… ED ODIANO IL PROPRIO CORPO CON I SUOI VIZI E PECCATI” L’odio è rivolto al corpo o ai suoi vizi e peccati? Possiamo innanzitutto pensare che Esser scelga la seconda ipotesi, poiché, secondo la sua traduzione,coloro che fanno penitenza “hanno in odio se stessi con i loro vizi e peccati”. Non possiamo certo pensare che S. Francesco sia stato influenzato dal movimento dei Catari o dei Flagellanti che consideravano peccaminoso tutto ciò che aveva a che fare con la materia. Ma non si può nemmeno dire che sia stato immune dall’influenza platonica che non dà pari dignità all’anima ed al corpo considerato come una prigione. Leggiamo nelle biografie che egli si libera dal “carcere” (FF 473) del corpo per volare nel soggiorno dei beati. Così S. Chiara “arde e sospira nel desiderio di essere liberata da questo corpo di morte” (FF 3240).

Tuttavia è molto interessante l’interpretazione opposta a quella platonica che S. Francesco dà all’espressione biblica che vede nell’uomo l’immagine e similitudine di Dio. Recita infatti la 5a Ammonizione: “Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto Dio che ti creò e ti fece a immagine e similitudine del suo Figlio secondo il corpo, e a sua immagine secondo lo spirito” (FF 153). Questa interpretazione è nettamente diversa da quella di stampo platonico che vede l’uomo creato ad immagine di Dio in quanto ha l’anima dotata di intelligenza e di volontà, mentre è a similitudine di Dio quando l’anima è in grazia. In questa visione il corpo è chiuso nella prigione dell’anima che vuole evadere dalla vita concreta di tutti i giorni, dal quotidiano per rifugiarsi in un mondo ideale, nel disprezzo della materia. Invece è suggestiva l’immagine francescana dell’anima che si rifugia nel corpo come il frate che vive nella sua cella lontano da discorsi frivoli o vani.

“E se l’anima non vive serena e solitaria nella sua cella, ben poco giova al religioso una cella eretta da mano d’uomo” (FF 1636). Corpo ed anima sono dunque grandi alleati che spendono tutte le loro energie e sensibilità a servizio dell’Amore (cfr. FF 270). Dagli Scritti o nelle biografie si può dedurre anche che egli ha sempre grande cura per il corpo degli altri. Verso i suoi frati ha lo scrupolo di aver chiesto troppo ai loro corpi. Ce lo ricordano alcuni episodi di commovente delicatezza (FF 1545-46; 1549) nonostante le norme sul digiuno siano assai moderate in rapporto all’uso del tempo (FF 12; 84). E preso dallo scrupolo di aver chiesto troppo al suo corpo gli chiede perdono (FF 800). Non può certo dimenticare che le sensazioni di dolcezza che il suo corpo gli ha fatto provare quando pronunciava le parole “Bambino di Betlemme o Gesù” (FF 470). “Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca” (FF 787). Nella sua esperienza di penitente la dolcezza della sua anima è stata accompagnata dalla sensazione di dolcezza provata anche dal corpo (cfr. FF 110).

D’altra parte, ricordando il Vangelo, afferma che “ tutti i vizi e peccati escono e procedono dal cuore dell’uomo” e che i nemici che mandano in rovina l’anima sono: la “carne”, il “mondo” e il “diavolo”( FF 204). In questo contesto che cosa significa la parola “carne” (sarcs)? Nel Nuovo Testamento troviamo valutazioni assai diverse della carne. Può significare: corpo umano, parentela e, soprattutto in S. Paolo, l’essere dell’uomo che possiede un’intenzionalità diretta contro Dio. Quest’ultimo significato è quello cui fa riferimento il Prologo che identifica i sapienti secondo la carne con “quelli che non fanno penitenza”. Essi sono “ciechi perché non riconoscono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Non possiedono la sapienza spirituale, poiché non possiedono il Figlio di Dio che è la vera sapienza del Padre, dei quali è scritto: la loro sapienza è stata divorata” (FF 178/4). Essi “servono col corpo al mondo, ai desideri della carne ed alle sollecitudini del secolo ed agli affari di questa vita”. E per il loro corpo è “cosa dolce… commettere il peccato e cosa amara servire Dio” (FF 204). Ma coloro che fanno penitenza odiano il corpo coi vizi e peccati, cioè il corpo quando è campo espressivo dello spirito della carne. (Continua)

Graziella Baldo