La preghiera di S. Francesco “Saluto alle virtù” è un canto di lode alle virtù. Esse sono invocate a coppie in quanto sorelle tra loro e sono personificate in questo ordine: la “regina sapienza” con sua sorella la “santa, pura semplicità”, la “santa povertà” con sua sorella “la santa umiltà”, la “santa carità” con sua sorella la “santa obbedienza”. Ad esse il Santo si rivolge con la deferenza che si deve alle “signore” e invoca su di esse la salvezza del Signore: “Santissime virtù,/voi tutte salvi il Signore/dal quale venite e procedete” (FF 256) .
Ciò che caratterizza tutte queste virtù è la santità, ovvero il loro provenire dal Signore e non essere ritenute una conquista dell’uomo virtuoso, come era per le virtù cardinali secondo la mentalità degli antichi i quali ritenevano che esse potessero essere raggiunte solo con la propria volontà e intelligenza. Per S. Francesco le virtù somme che avvicinano a Dio richiedono un cammino che dura tutta la vita, possibile solo all’uomo che muore a se stesso: “Non c’è proprio nessuno in tutto il mondo, /che possa avere una sola di voi/se prima non muore a se stesso”. Possiamo dire che contrariamente a quello che pensavano gli antichi prima di Cristo, l’uomo virtuoso non è quello che afferma se stesso, ma quello che rinuncia alla propria autoaffermazione e autodeterminazione per divenire sempre più immagine e similitudine di Cristo.
Il pensatore francescano S. Bonaventura assegna all’umiltà un ruolo di spicco tra le virtù, poiché dice che senza l’umiltà “non si dà virtù” (Della vita perfetta II, 3, in “I mistici, sec. XIII, Editrici Francescane, p. 430). E ancora: “Da architetto avveduto, egli [S. Francesco] volle edificare se stesso sul fondamento dell’umiltà, come aveva imparato da Cristo” (FF 1103).
Nella preghiera “Saluto alle virtù” S. Francesco parlando dell’umiltà scrive: “La santa umiltà confonde la superbia e tutti gli uomini che sono nel mondo e similmente tutte le cose che sono nel mondo” (FF 258). Per questo S. Bonaventura, in continuità con il Santo di Assisi, contrappone all’umiltà, fondamento di ogni virtù, il vizio della superbia che è principio di ogni peccato, anche del peccato di falsa umiltà, come è quello degli ipocriti (cf S. Bonaventura, ibidem II, 1, p. 429) che dissimulano se stessi per ingannare gli altri volendo apparire quello che non sono allo scopo di ricevere ammirazione e consensi.
S. Bonaventura come esempio di superbia cita Lucifero che fu umiliato e posto nell’“estremo avvilimento”, divenendo “il più infelice dei demoni” (S. Bonaventura, ibidem, II, 2, p. 430).
Superbo è il vecchio uomo Adamo che poteva mangiare di qualunque albero del paradiso (cf FF 146), fuorché dell’albero della scienza del bene e del male. Ma egli ascoltò Lucifero e mangiò di quell’albero. Per S. Francesco mangiare dell’albero della scienza del bene e del male significa appropriarsi della propria volontà attribuendo a se stessi il bene che il Signore compie in noi. E così il bene si trasforma “nel pomo della scienza del male” (ibidem). E prosegue S. Bonaventura: “… quanti ce ne sono oggi di questi Luciferi!” (S. Bonaventura, ibidem, II, 3, p. 430).
L’uomo umile non cerca di fare la propria volontà, ma segue la volontà del Signore da cui soltanto può venire la salvezza e la vera letizia. Egli sa di essere solo un povera creatura.
Allora l’umiltà, “custode e ornamento di tutte le virtù” (FF 1103), per S. Francesco sarà quella virtù che, ponendo “sempre sotto la verga della correzione (FF 173) renderà capaci di godere nell’umiliazione e di rattristarsi per le lodi (cf ibidem), “perché [S. Francesco] sapeva che l’insulto spinge a emendarsi, la lode a cadere” (ibidem). Per questo nell’Ammonizione XIX il Santo di Assisi chiama “beato il servo il quale non si ritiene migliore quando viene magnificato ed esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più” (FF 169).

Lucia Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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