L’autoreferenzialità

L’Esortazione Apostolica “Gaudete et Exultate” (GE) dà concretezza al problema del male osservando che la richiesta di liberazione dal male espressa nel Padre Nostro sarebbe più precisa invocando la liberazione dal Maligno, anziché dal male.
Ma chi è il Maligno? La GE spiega che il Maligno non è un’idea, ma è Satana, cioè un “essere personale che ci tormenta” (GE 160) con le sue tentazioni e contro il quale bisogna lottare.
Pensare che sia un simbolo o un’idea è un inganno dello stesso Satana, che porta ad “abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti… E così mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita” (GE 161) entrando nel nostro cuore per abitarlo con impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità… cioè con le cosiddette opere della carne compiute nel rifiuto della volontà di Dio e quindi nell’autoreferenzialità.
Nella GE il Papa osserva anche che le tentazioni più insidiose, perché passano inosservate, sono quelle di coloro che, non avendo commesso gravi mancanze contro la Legge di Dio, si lasciano andare ad una specie di “stordimento o di torpore” (GE 164) che fa “scivolare verso la corruzione” (GE 165).
Ma ancora più nascoste sono le forme di autoreferenzialità di coloro che usano la Legge compiacendosi di se stessi per aver fatto tante cose buone. Costoro pensano che il proprio impegno li salvi grazie alla loro capacità di seguire in toto la Legge di Dio senza vivere un rapporto d’amore col Padre. Costoro hanno la stessa superbia di coloro che si ribellano a Dio e rifiutano di compiere la sua volontà.
La parabola del figliol prodigo porta due esempi di autoreferenzialità: quella del figlio minore che inizialmente si ribella, poiché considera un peso il suo legame col Padre e, quando si pente di essersi allontanato dalla casa paterna, ritorna sui suoi passi per pura convenienza.
Poi c’è l’autoreferenzialità del figlio maggiore che rimane nella casa del Padre, cioè ne accetta la Legge, ma non ne condivide l’amore. Come il figlio minore anch’egli pretende che il Padre sia al suo servizio e rivendica privilegi al di fuori di un rapporto d’amore.
Le varie forme di autoreferenzialità hanno motivazioni diverse, ma il filo conduttore è sempre quello di realizzare la propria identità secondo il proprio desiderio, ignorando il legame col Padre.

Il piano di salvezza
Anche Gesù subisce le tentazioni di Satana che vuole porlo in opposizione alla volontà del Padre, ma le vince ribadendo che la sua identità è nel legame col Padre.
Per esempio, quando è istigato dai soldati a scendere dalla croce in opposizione alla volontà del Padre, Gesù sceglie di obbedire al Padre e di rimanere crocifisso senza vendicarsi per il male subito. Così facendo crocifigge la sua carne e offre il perdono agli uomini affinché, specchiandosi in Lui, possano vedere nelle sue ferite l’effetto del loro peccato e si possano pentire.
Come nel serpente innalzato da Mosè nel deserto (cfr Nm 21,4-9), così nel Cristo crocifisso l’umanità può vedere specchiato il veleno della lontananza da Dio. Il Crocifisso svela il peccato, ma non per emettere un giudizio di condanna, bensì per liberare l’uomo. E il primo passo è raggiungere la consapevolezza della propria condizione, perché se un malato non conosce la propria malattia non si curerà mai.
Gesù, di cui il Padre si compiace, ci può insegnare ad essere figli veramente legati al Padre.
Ancor prima della creazione del mondo, il Padre ha predisposto un piano che ci predestina ad essere suoi “figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (Ef 1,5).
Vivendo in comunione col Figlio l’uomo può imparare la vera figliolanza.
Il Figlio incarnandosi ha rinunciato ai superpoteri di una vita divina e ha assunto tutti i limiti e i vincoli della natura umana. In queste condizioni ha mantenuto il suo legame col Padre insegnandoci così qual è la vera figliolanza che il Padre desidera e che è ben distante da desideri mondani o utilitaristici del nostro cuore.
La sequela delle parole e delle azioni del Figlio ci dà la possibilità di essere veri figli e di esercitare nella vita quell’abbandono fiducioso, senza dubbi o diffidenze, alla volontà del Padre che non ci fa mai sentire soli o abbandonati, ma sempre nel suo pensiero, anche quando attraversiamo la valle oscura.
La vera figliolanza dà un’identità alla singola persona, ma ha anche una dimensione fraterna.
Come dice il Papa, ogni persona è chiamata ad essere figlio o figlia di Dio anche per la costruzione della fraternità, poiché “senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possono essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità… perché la ragione da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità” (FT 271-272).

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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